Gli interessi delle superpotenze Usa e Cina e delle altre potenze imperialiste prevalgono sulla lotta contro i cambiamenti climatici
Fallito il vertice di Copenaghen, l'accordicchio non è vincolante
Rivolta dei paesi poveri. Ambasciatore del Sudan: "Un piano che per l'Africa è simile all'Olocausto"
Solo il socialismo può salvare l'umanità, la terra e il clima

"Abbiamo un accordo con effetto operativo immediato", ha sostenuto la mattina del 20 dicembre il Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon che però ha dovuto ammettere che sui tagli alle emissioni di CO2 (anidride carbonica) "la tempistica non è chiara" e ha promesso che si farà "di tutto affinché l'accordo diventi legalmente vincolante nel 2010", grazie alle conferenze già in programma a Bonn nel prossimo giugno e a Città del Messico del dicembre 2010. Non ha però spiegato quale evento miracoloso dovrebbe accadere per produrre un accordo in 12 mesi dopo il fallimento di trattative durate due anni. Eppure la Conferenza sul clima che si è svolta a Copenaghen dal 7 al 19 dicembre aveva ben altri obiettivi, a partire dal mettere "nero su bianco gli impegni di riduzione delle emissioni", come sosteneva la presidenza danese; non ne è stato raggiunto uno e l'accordicchio finale, per nulla vincolante, ha segnato il fallimento del vertice.
"La conferenza decide di prendere nota dell'Accordo di Copenaghen del 18 dicembre del 2009", ha dichiarato a fine lavori il presidente della sessione plenaria della Conferenza, registrando che i rappresentanti dei 185 paesi presenti si limitano a "prendere nota di un testo chiamato accordo di Copenaghen", un testo corretto come concordato la sera di venerdì 19 dai presidenti di Usa, Cina, India, Sudafrica e Brasile, e messo sul tavolo; tutti gli altri paesi, Ue compresa che l'ha accettato a collo torto, si sono trovati di fronte al fatto compiuto. Un testo che registra nessun accordo sulla riduzione delle emissioni, vaghe promesse e aiuti economici pari a elemosine per i paesi in via di sviluppo.
Il documento afferma che l'aumento globale delle temperature del globo non dovrebbe superare i 2 gradi e impegna le parti "per una vigorosa risposta immediata", consistente nei necessari "tagli profondi nelle emissioni globali". Quanto profondi non viene detto. Infatti i paesi industrializzati "si impegnano a implementare, individualmente o congiuntamente, gli obiettivi di riduzione di CO2 per il 2020 di una quota rispetto ai livelli del '90 e rispetto a quelli del 2005 a patto che questa politica di riduzione sia rigorosa, robusta e trasparente". I paesi in via di sviluppo si impegnano a "attuare azioni di mitigazione in base alle loro specifiche caratteristiche nazionali" e ogni due anni dovranno fare rapporto sui risultati degli interventi. I finanziamenti li mettono i paesi più sviluppati fornendo risorse nuove e aggiuntive pari a 30 miliardi di dollari all'anno fra il 2010 e il 2012 e si impegnano a arrivare a 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020. Quanto agli impegni vincolanti i partecipanti alla conferenza rimandano il compito alla prossima assise sul clima, la Cop16, prevista a fine 2010 a Città del Messico.
Un risultato inferiore persino alle già insufficienti misure definite nel precedente protocollo di Kyoto e andate lettera morta.
È stata ignorata la proposta del gruppo di scienziati messi al lavoro dalle Nazioni Unite che indicava un taglio delle emissioni di gas che producono l'effetto serra del 25 - 40% entro il 2020 e un taglio del 50% nel 2050. Come ignorato il rapporto steso dall'Organizzazione mondiale del commercio (Wto, nella sigla inglese) e dal programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (Unep) che ha calcolato che il 21,5% delle emissioni di diossido di carbonio dipende dalle attività legate al commercio internazionale. Come dire che più di un quinto delle emissioni inquinanti derivano dalle merci che nel libero mercato globalizzato sono spostate dalle multinazionali da un capo all'altro del pianeta allo scopo di massimizzare i profitti.
Le grandi potenze imperialiste non potevano certo mettere mano ai loro lucrosi affari, cosiccome i più grandi inquinatori del mondo non hanno intenzione di modificare i loro apparati produttivi capitalistici e rischiare di perdere terreno nella loro contesa globale. Nella lista dei paesi inquinatori stilata dall'Onu la Cina è balzata al primo posto col 20,7% di emissioni planetarie totali, seguita dagli Usa col 15,5%, dalla Russia col 5,6% , da India e Giappone, rispettivamente col 4,9% e 4,6%. L'Italia è decima con l'1,7% di emissioni totali prodotte ogni anno.
È evidente che solo un cambiamento del sistema economico capitalistico, solo col socialismo è possibile salvare l'umanità, la Terra e il clima.
Una posizione che a Copenaghen è in parte stata rappresentata dal venezuelano Hugo Chavez e dal bolivariano Evo Morales nei loro interventi del 16 dicembre. Chavez ha affermato che i negoziati sono una farsa imposta dai paesi ricchi: "In questo pianeta viviamo sotto una dittatura imperiale. Ci sono un gruppo di paesi che si credono superiori a noi del Sud, del Terzo Mondo, agli Stati sottosviluppati". "Il capitalismo - ha detto il presidente venezuelano - minaccia l'esistenza stessa della specie umana e, per questo, riguardo alla questione ambientale, bisogna cambiare non tanto il clima quanto il sistema, solo così inizieremo a salvare il pianeta". "Se il clima fosse stato una banca - ha concluso il suo intervento - già lo avrebbero salvato".
"Se vogliamo salvare la Terra e l'Umanità dal cambiamento climatico dobbiamo prima farla finita con il capitalismo", ha sostenuto Morales, precisando che "il cambiamento climatico è l'effetto e non la causa del sistema capitalistico".
L'assemblea generale della Conferenza ha registrato la rivolta dei paesi più poveri. "Se dovessi sommare tutti i soldi che i Paesi sviluppati ci hanno promesso nei diversi G8 cui ho partecipato - ha sostenuto il premier del Senegal - arriverei a centinaia di miliardi. Che nessuno però ha mai visto". Ian Fray, il capo delegazione di Tuvalu, ha detto che "ci hanno offerto 30 denari per tradire il nostro popolo e il nostro futuro. Ma il nostro futuro non è in vendita, mi dispiace di dovervi informare che Tuvalu non può accettare". Cuba, Bolivia, Ecuador e Nicaragua hanno accusato la presidenza danese e gli Stati Uniti di aver condotto i negoziati con procedure "arbitrarie e non trasparenti", con "metodi dittatoriali". Il delegato sudanese Lumumba Dia-Ping, portavoce dei 131 Paesi del G77, ha accusato che "si sta chiedendo all'Africa di firmare un patto suicida, una soluzione basata sui valori che hanno portato sei milioni di persone alle camere a gas" e definito "l'accordo peggiore della storia" simile all'Olocausto.

22 dicembre 2009