Fallito a Ginevra il negoziato sul commercio mondiale
Inestricabili contraddizioni interimperialistiche e tra i paesi imperialisti e i paesi "in via di sviluppo" sugli scambi commerciali, industriali e agricoli

Il negoziato del Doha Round per la liberalizzazione del commercio mondiale si era aperto a Ginevra il 21 luglio scorso alla presenza di più di 30 ministri e alti rappresentanti dei 153 paesi membri del Wto, l'organizzazione mondiale per i commercio, con po-
che speranze di riuscire a trovare un punto di compromesso sui tagli ai sussidi agricoli e la riduzione dei dazi per l'apertura dei mercati per i prodotti agricoli e per i prodotti industriali; infatti il 29 luglio il direttore generale Pascal Lamy ha dovuto annunciare che i negoziati erano falliti. "Divergenze inconciliabili" tra alcuni stati membri rendevano impossibile l'accordo e il ciclo negoziale aperto a Doha nel 2001 è al momento chiuso con un nulla di fatto.
Cinque anni fa a Cancun una delle ragioni del fallimento era stata la diatriba sui dazi al cotone che contrapponeva gli Stati Uniti e alcuni Paesi africani; il tema era ancora sul tappeto ma il dibattito a Ginevra non ci è neppure arrivato, si è fermato sulla questione della clausola di salvaguardia invocata dall'India e da alcuni paesi in via di sviluppo per poter alzare i dazi sui prodotti agricoli in caso di aumento delle importazioni per proteggere le proprie produzioni.
Come di consueto il nocciolo della discussione si è svolto tra i ministri delle sette maggiori potenze commerciali (Usa, Ue, India, Cina, Brasile, Australia e Giappone) dove il rappresentante indiano si opponeva alla proposta degli Usa di fissare la soglia per far scattare la clausola di salvaguardia a un aumento del 40% delle importazioni di un prodotto; Nuova Delhi col sostegno di Pechino proponeva che la soglia fosse posta a un aumento del 10%. Ipotesi respinta dagli Usa che la ritenevano in grado di innescare con troppa facilità una chiusura protezionistica.
Fra gli altri temi di contrasto vi erano quelli che opponevano Cina e India agli Usa accusati di impegnare in sussidi ai produttori agricoli, soprattutto di cotone e zucchero, la cifra 7 miliardi di dollari con la possibilità di raddoppiarla. I paesi europei reclamavano una protezione dei propri marchi geografici e di qualità dalle invasioni dei prodotti contraffatti o similari quali lo champagne americano o il prosciutto di Parma cinese.
Il Doha Round è partito sette anni fa con l'ipotesi di concedere l'apertura dei mercati occidentali alle importazioni agricole dei paesi emergenti, con la riduzione dei dazi e delle sovvenzioni, in cambio dell'apertura dei mercati di quest'ultimi ai prodotti industriali e, in prospettiva, a banche e assicurazioni dell'Occidente. I tagli alle misure protezionistiche sono spesso avvenuti a senso unico, a vantaggio delle multinazionali dei paesi più forti economicamente ma nel corso dei sette anni di negoziato sono cambiate anche altre situazioni fra le quali quelle di Cina, India e Brasile divenuti centro dell'industria manifatturiera mondiale e esportatori di prodotti industriali. Non più paesi in via di sviluppo ai quali concedere facilitazioni, ma aggressive potenze economiche sui mercati mondiali. Una potenza che a Ginevra hanno fatto pesare.
Nel recente passato erano Stati Uniti e Europa a dettare legge nei negoziati commerciali multilaterali. Il Doha Round col suo fallimento ha registrato i nuovi equilibri che si stanno assestando fra le maggiori potenze nel mondo.

24 settembre 2008