Recandosi in pellegrinaggio nel bosco di Levashovo
Fassino rende omaggio ai controrivoluzionari condannati ai campi di lavoro
Al pari del neoduce Berlusconi attacca Stalin e il comunismo: "un regime totalitario che ha creduto di poter realizzare uguaglianza e giustizia separandole dalla libertà"
Il 29 giugno il segretario dei DS Piero Fassino si è recato in pellegrinaggio nel bosco di Levashovo, situato a una trentina di chilometri a Nord di San Pietroburgo, per rendere omaggio a quell'accozzaglia di controrivoluzionari antisovietici, fra cui anche circa mille italiani: cospiratori, traditori, sabotatori, spie della reazione interna e internazionale e collaborazionisti dei nazi-fascisti e dei paesi capitalisti, che a partire dalla metà degli anni '30 furono processati, riconosciuti colpevoli dei loro crimini e inviati a Levashovo nei campi di lavoro.
"Sono qui oggi per portare il saluto commosso mio e dei Democratici di Sinistra italiani e per onorare la memoria di una storia di terrore, di ingiustizia, di dittatura, ma anche e soprattutto per rendere onore a donne e uomini che hanno pagato con la vita e con atroci sofferenze la loro fede nella libertà e nella dignità" ha detto Fassino, ospite d'onore e "primo politico che ha voluto dare un esempio", all'inaugurazione del "cimitero memoriale in ricordo delle vittime comuniste" realizzato dal "Centro nomi restituiti" e dal "Comitato per la foresta dei giusti".
Tra le "vittime di Stalin" Fassino ha annoverato anche le "migliaia di soldati italiani e tra questi tanti alpini" che insieme alle orde hitleriane aggredirono l'Unione Sovietica e a suo dire non furono carnefici ma "vittime innocenti e incolpevoli che subirono lo stesso destino tragico internati come prigionieri di guerra a Tambov, Suzdal, Suslanger, Oranky, Bunkerlanger, Krinovaja cui vennero fatte ingiustamente pagare le sofferenze inflitte al popolo russo dal fascismo".
Ma questa volta il vero obiettivo di Fassino, che si è preparato per tempo e con estrema cura a questa adunata reazionaria, non è stato tanto quello di vomitare il solito cumulo di menzogne e falsità storiche prese a prestito da "Il libro nero del comunismo" di Berlusconi per accreditare l'ennesima revisione storica o rivendicare la completa riabilitazione degli aguzzini in camicia nera dell'Armir; il vero obiettivo è stato quello di sferrare un attacco infame, e senza precedenti contro Stalin e il comunismo.
"I crimini staliniani - ha infatti attaccato Fassino - furono la manifestazione più atroce del comunismo, un regime dittatoriale che ha creduto di poter realizzare uguaglianza e giustizia separandole dalla libertà.
Proprio settant'anni di comunismo hanno dimostrato quanto impossibile e aberrante fosse quell'idea. E la caduta del muro di Berlino, il crollo dei regimi sotto l'egida sovietica e la scomparsa dell'Urss testimoniano il fallimento del comunismo.
Non ci può essere uguaglianza e giustizia se non nella libertà. Una società che soffoca la libertà non è in grado neanche di realizzare giustizia sociale e uguaglianza. Nell'oppressione le disuguaglianze crescono, le ingiustizie si aggravano, la dignità umana viene umiliata.
La democrazia è un valore universale e insopprimibile e ogni obiettivo di giustizia e uguaglianza non può che essere realizzato nella libertà e nella democrazia".
Ecco fino a che punto è arrivata l'abiura dei Ds, fino a sciorinare le formulette mandate a memoria che sono l'essenza del liberalismo borghese e neofascista.
Del resto da uno come Fassino: un seminarista mancato, liberale e anticomunista da sempre non ci si poteva certo aspettare niente di diverso.
Evidentemente, in vista della nascita del nuovo partito democratico, egli ha voluto dare un'ulteriore prova di fedeltà alla borghesia e al capitalismo invitando tutto il partito, prima di dissolversi, a chiudere definitivamente i conti anche col PCI revisionista che, dopo aver ingannato per 70 anni i lavoratori italiani, a partire dal 1991 si è progressivamente trasformato in un partito borghese a tutti gli effetti passando definitivamente armi e bagagli nel campo della socialdemocrazia e della reazione neofascista.
Ma ciò non era ancora sufficiente. Perché, come ha detto Fassino nel suo discorso, nel conto ci deve rientrare anche tutto il periodo in cui, sia pure opportunisticamente, il PCI era schierato col campo socialista e sosteneva, almeno a parole, l'Unione Sovietica e Stalin. In particolare ha rinnegato la condotta opportunistica e doppia di Palmiro Togliatti. Cioè colui che i revisionisti italiani avevano battezzato "il migliore" proprio perché da buon opportunista era riuscito a ingannare Stalin e alleandosi segretamente con Krusciov e Tito aveva sabotato con la svolta di Salerno del 1944 la rivoluzione e la lotta per il socialismo in Italia. Oggi invece, che i Ds si apprestano a tagliare qualsiasi legame col movimento operaio compiendo un'ulteriore virata a destra, anche Togliatti è divenuto una figura ingombrante e, per prenderne le distanze, lo additano non come un traditore della causa del socialismo quale egli è stato ma come complice dei cosiddetti "crimini di Stalin".
Una "tragedia nella tragedia", l'ha definita Fassino, che a suo dire ha contribuito a condannare gli "esuli italiani" in Unione Sovietica a essere "vittime prima ancora che della violenza della polizia segreta, della delazione dei loro stessi compagni, e della colpevole connivenza di quei dirigenti che - pur autorevoli come Togliatti - non ebbero il coraggio di sfidare la macchina oppressiva della dittatura".
Mentre il capofila dei revisionisti italiani: Antonio Gramsci secondo Fassino va salvato perché "Non tutti si sottrassero alla propria responsabilità morale e politica". E tra questi vi fu Antonio Gramsci "che si battè per sottrarre i suoi compagni a un destino tragico".
Insomma per Fassino il comunismo va osteggiato in ogni modo perché, come dice Berlusconi, porta solo "morte", "miseria" e "terrore", mentre la dittatura borghese e l'oppressione capitalista rappresentano l'unico sistema in grado di garantire "democrazia, libertà, giustizia e uguaglianza sociale".

18 luglio 2007