Bankitalia: fermi dal 2000 i redditi dei lavoratori. Più poveri i poveri, più ricchi i ricchi
Precipita la questione sociale nell'Italia capitalistica di Prodi e di Berlusconi
Istat: il 15% delle famiglie non arriva a fine mese. Eurispes: 20 milioni di lavoratori sottopagati
Nel Mezzogiorno condizioni da Terzo mondo

Non è molto che abbiamo illustrato su "Il Bolscevico" i dati di un'indagine dell'Ires-Cgil che disegnava per il nostro Paese una questione salariale catastrofica, fatta di perdita pesante di potere d'acquisto per i lavoratori dipendenti (-1.900 euro dal 2002), di paghe da fame (in 7,3 milioni con meno di 1.000 euro al mese), di crescenti diseguaglianze a sfavore dei giovani, delle donne, degli immigrati e del Mezzogiorno in generale, una questione salariale aggravatasi enormemente e divenuta intollerabile. In rapida successione sono arrivate nuove e allarmanti conferme da parte di Bankitalia, Istat e Eurispes tutte sostanzialmente concordanti nel segnalare una condizione di bassi salari, di crescente povertà, di profonda ingiustizia nella redistribuzione del reddito prodotto tra lavoro dipendente e lavoro autonomo e tra Nord e Sud d'Italia, di evidente arretratezza rispetto ai principali paesi europei.
Assai preoccupanti le cifre evidenziate nel documento di Bankitalia sui bilanci delle famiglie per il periodo 2000-2006. Il primo dato è che in questi sei anni presi in considerazione i redditi dei lavoratori sono rimasti praticamente fermi, hanno infatti segnato solo un miserabilissimo +0,96% di media. Il che vuol dire, in concreto, una perdita molto pesante del potere d'acquisto dei salari dei lavoratori dipendenti, se si tiene conto che nel frattempo si è avuto l'ingresso dell'euro e un rilevante aumento del costo della vita in parte dovuto alla speculazione e in parte all'inflazione. Diversamente è andata ai lavoratori autonomi che hanno visto i loro redditi crescere del 13,1%. I lavoratori dipendenti che sono capofamiglia rappresentano la stragrande maggioranza (47,2), mentre i nuclei familiari con a capo un autonomo sono il 12,3%.
I redditi delle famiglie. Secondo l'Istituto del governatore Draghi vi sono 11 milioni di famiglie (su un totale di 22,8) che percepisce un reddito non superiore ai 26 mila euro annui. Non solo. Vi è un 10% delle famiglie, quelle più povere, che detiene appena il 2,6% dei redditi prodotti. Al contrario, vi è un altro 10% di famiglie, quello più ricco, che incamera il 26% complessivo. Percentuale che sale fino al 43% dell'intera ricchezza netta delle famiglie italiane se si aggiungono altri tipi di entrate (rendimenti di titoli, affitti, beni immobili, ecc).
Stessa diagnosi da parte dell'Istat: il 14,6% delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese; il 28,4% non riesce a sostenere spese improvvise; il 9,3% è in arretrato con le bollette; il 10,4% non riesce a scaldare adeguatamente la casa. Il 50% delle famiglie vive, o per meglio dire sopravvive, con appena 1.872 euro al mese (22.460 all'anno). Se però c'è un solo reddito in casa la media scende a precipizio sui 1.180 euro al mese. Chi sta peggio sono, ovviamente, le famiglie numerose, con tre o più figli, quelle con un unico genitore e figli a carico, o quelle costituite di soli anziani.
Permangono gravi le differenze territoriali: al Sud il reddito disponibile è inferiore del 30% rispetto al Nord. Nel Mezzogiorno il 21,6% delle famiglie arriva con grande difficoltà alla fine del mese e il 41,3% dichiara di non poter far fronte a una spesa improvvisa. Inoltre, almeno una volta all'anno, il 28,6% di queste famiglie non ha avuto soldi per comprare vestiti; il 20,9% non ha potuto riscaldare la casa in modo adeguato; il 19,3% ha avuto difficoltà a pagare spese mediche; il 15,2% si è trovato in arretrato con le bollette e il 6,2% non ha avuto i soldi per le spese alimentari. Al Nord stanno meglio ma non di molto se è vero che nel 2006 è cresciuta la percentuale di famiglie che hanno dichiarato di arrivare male a fine mese (10,7%) e di aver superato la scadenza per il pagamento delle bollette (5,9%).
Ancora più esplicita e brutale l'indagine elaborata dall'Eurispes per l'anno 2007 dalla quale emerge un quadro drammatico. Secondo il rapporto Eurispes solo il 38,2% delle famiglie riesce ad arrivare a fine mese senza difficoltà, nel 2006 queste erano il 51%. Sono raddoppiate le famiglie che ricorrono a prestiti personali (dal 5 al 10%). Mentre ben il 26,1% per andare avanti e fare fronte alle spese, devono utilizzare i risparmi familiari. Solo il 13,6% delle famiglie riesce ancora a risparmiare. Sono aumentate notevolmente le percentuali di chi acquista le merci in saldo o nei discount per contenere le spese. Questi dati sono la conseguenza di una questione salariale che è andata peggiorando in modo esponenziale. Per Eurispes in Italia ci sono 20 milioni di lavoratori sottopagati. In ogni caso meno pagati rispetto a Germania (-10%), Regno Unito (-20%), Francia (-25%). Insomma l'ennesima conferma che in Italia i salari sono tra i più bassi d'Europa.
Da qualche tempo si parla di nuovi poveri. Chi sono? Sono i lavoratori a basso reddito (working poors) che non sono disoccupati ma per tenore di vita è come se lo fossero. Così in 6 milioni sono costretti al doppio lavoro (a nero) per incrementare anche di poco il salario disponibile. Sono 5,1 milioni i nuclei familiari (15 milioni di persone) che risultano poveri e che rischiano di diventarlo rapidamente, conclude l'indagine Eurispes.
Chi sono i responsabili di questa deriva catastrofica economica e sociale? In primis i capitalisti (il capitalismo come sistema) e il massimo profitto da ottenere in tutti i modi, pagando poco i lavoratori, allungando la giornata lavorativa, aumentando i carichi di lavoro, risparmiando in sicurezza, anche a prezzo di infortuni mortali. I governi borghesi sia di "centro-destra" (Berlusconi), sia di "centro-sinistra" (Prodi) e delle loro politiche liberiste in campo fiscale, non alleggerendo le tasse sul lavoro dipendente, nella legislazione del lavoro, deregolamentando il "mercato del lavoro", non contrastando efficacemente il "lavoro nero" e gli infortuni sul lavoro, non mettendo in essere politiche sociali di sostegno ai bisognosi e meno abbienti, non tenendo a freno i prezzi e le tariffe. I sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil per aver praticato (almeno dal 1993) una "politica dei redditi" subordinata ai profitti capitalistici e ai bilanci dello Stato; aver accettato di cancellare la scala mobile; essere stati complici nella totale precarizzazione del lavoro; non aver rivendicato con la necessaria forza una congrua riduzione delle tasse su salari e pensioni più basse. Per aver subito e talvolta collaborato a una politica di privatizzazioni e di riduzione delle prestazioni sociali e previdenziali che hanno peggiorato le condizioni di vita delle larghe masse popolari.
Urge una radicale inversione di tendenza! Sviluppando la lotta di classe, creando un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, costruendo un grande, forte e radicato PMLI, non dando tregua ai governi della borghesia che abbiano il volto di Berlusconi o di Veltroni.

6 febbraio 2008