La Fiat si riprende il "Corriere della Sera"
Della Valle non ci sta e si appella a Napolitano

Con un inatteso comunicato trasmesso alle agenzie il 28 giugno la Fiat ha fatto sapere di aver raddoppiato la sua quota nella Rcs, la società che controlla il "Corriere della Sera" di Milano, diventandone di gran lunga il maggior azionista con il 20,135%, ben oltre il 13,7% di Mediobanca e l'8,7% del suo diretto concorrente, l'industriale Della Valle, riprendendosi così il controllo di fatto del più antico e importante quotidiano della grande borghesia. Per inciso la notizia era stata anticipata a Napolitano da una telefonata dello stesso presidente della Fiat, John ElkanN. E questo se da un lato conferma gli stretti rapporti da sempre esistiti tra Fiat e potere politico, conferma al tempo stesso anche il ruolo spiccatamente presidenzialista assunto dal nuovo Vittorio Emanuele III, al quale ci si rivolge ormai, prima ancora che al governo, come al vero "dominus" del panorama politico nazionale.
Il blitz della casa torinese è scattato approfittando dell'operazione di aumento di capitale per 400 milioni deciso per far fronte alla gigantesca operazione di "risanamento" dei conti della Rcs, che ha accumulato un debito di 800 milioni e sta approntando un vasto piano di cessioni di testate e di tagli al personale per 800 "esuberi". Un aumento di capitale che non tutti i soci si erano sentiti di sottoscrivere, come l'imprenditore della sanità privata Rotelli, che con il 16% era il maggior azionista singolo (quello societario era Mediobanca col 14%), sceso adesso al 4%, e il cui pacchetto ha fornito probabilmente la maggior parte delle azioni rastrellate dalla Fiat per salire dal 10 al 20%, per un controvalore di oltre 90 milioni. Come lui, morto fra l'altro lo stesso giorno dell'annuncio di Fiat, anche altri soci hanno rinunciato a mettere soldi freschi nel capitale di Rcs, tra cui Benetton, Merloni e Generali. Mentre l'amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, pur sottoscrivendo la ricapitalizzazione ha già deciso da tempo di ridurre le partecipazioni in Rcs, come in Generali e in tutti gli altri rami non strettamente legati al settore bancario, sul quale ha deciso di concentrarsi.
L'industriale calzaturiero Della Valle, che da tempo aveva iniziato una scalata al vertice della società milanese con l'obiettivo dichiarato di rompere il patto di sindacato, dominato da Fiat e Mediobanca, più altri soci saldamente alleati come Bazoli (banca Intesa Sanpaolo), Pirelli e Pesenti, di cambiare l'attuale management e di rivedere il piano industriale, è rimasto completamente spiazzato dal blitz della Fiat, e si è limitato per il momento a sottoscrivere i circa 40 milioni necessari per conservare la quota dell'8,7% del capitale azionario di Rcs che già deteneva.

La battaglia perdente di Della Valle
Da parte sua il presidente di Fiat, John Elkann, forte della sua nuova posizione dominante, ha annunciato invece che non ha nessuna intenzione di sciogliere il patto di sindacato, e che l'attuale management resterà in carica, compreso il suo ad Pietro Scott Jovane, da tempo nel mirino delle critiche di Della Valle. E tutto lascia pensare che le cose andranno secondo i piani decisi a Torino, visto che le uniche speranze di Della Valle sono riposte nelle "promesse" che aveva ricevuto da Bazoli e da Nagel di appoggiare il suo tentativo di rompere il patto di sindacato e portare una "ventata d'aria fresca" nei rapporti di potere ingessati da decenni al vertice della società che controlla il quotidiano di via Solferino. Facendo cioè spazio a nuovi imprenditori disposti a investire e "rischiare del loro", piuttosto che governare rischiando pochissimo capitale, grazie ai patti di sindacato che consentono a cordate di imprenditori di controllare la maggioranza dei Consigli di amministrazione pur con basse e anche bassissime percentuali azionarie detenute dai singoli partecipanti.
O almeno questo è ciò che si vantava di voler fare l'industriale marchigiano con la sua battaglia contro la Fiat, e in particolare contro Marchionne, da lui accusato di portare fabbriche all'estero e distruggere posti di lavoro, e contro il nipote di Gianni Agnelli, John Elkann, invitato sprezzantemente a lasciar perdere le "cose serie" come il mestiere di imprenditore e dedicarsi piuttosto alle feste, allo sci e alla vela. Una battaglia che il padrone della Tod's ha condotto in campo finanziario ma anche mediatico, comprando pagine sui quotidiani e frequentando i talk show televisivi, per cercare di accreditare un'immagine di capitalista "etico", sensibile al disagio sociale e alla sopravvivenza dell'industria nazionale e avversario della speculazione finanziaria e dei pescecani della globalizzazione alla Marchionne.
È vero che mettendo insieme le sue azioni e quelle di Mediobanca e Intesa Sanpaolo i rapporti di forza con la Fiat potrebbero ribaltarsi, ma difficilmente i due soci se la sentiranno di seguirlo su quella strada: Mediobanca perché ha già deciso di voler ridimensionare drasticamente la sua partecipazione in Rcs, e Intesa Sanpaolo perché Bazoli ha un antico legame con la famiglia Agnelli. Forse per questo, e non solo come risposta polemica alla telefonata con cui Elkan aveva informato il Quirinale di aver ripreso il comando del "Corriere", Della Valle ha scritto una lettera aperta a Napolitano, pubblicandola a pagamento sui maggiori quotidiani, in cui, lamentando che "è in pericolo la libertà di opinione di un pezzo importante della stampa italiana", propone di azzerare la situazione chiedendo che tutti i soci di Rcs, Fiat compresa, facciano "un passo indietro lasciando completamente l'azionariato del gruppo e liberandolo così da tutte le vecchie polemiche e da tutte le dietrologie di ogni tipo".

Il disegno "strategico" della Fiat a via Solferino
Una pia illusione, questa di Della Valle, che Marchionne si è subito incaricato di irridere, dichiarando che la posizione dominante acquisita da Fiat in via Solferino "è strategica, altrimenti non avremmo investito tanto". Già! Perché è tanto "strategica" la proprietà di un quotidiano come il "Corriere della Sera", per una società produttrice di automobili, che detiene già il 100% de "La Stampa" di Torino, terzo quotidiano nazionale, al punto da buttarci dentro quasi 100 milioni, e solo per il momento, per acquisire il controllo di una società in profonda crisi e dai bilanci in forte perdita? Mentre invece è sempre pronta a piangere incolpando la "crisi dei mercati" e la "conflittualità sindacale" della Fiom per giustificare i disinvestimenti e la chiusura di stabilimenti in Italia?
Magari è proprio per quest'ultimo motivo, per disporre cioè tra "Stampa" e "Corriere" di un formidabile apparato propagandistico per condizionare politicamente l'opinione pubblica a favore delle scelte sempre più ciniche, speculatorie e fasciste della gestione Marchionne, che si appresta a sacrificare l'industria automobilistica nazionale, nutrita per decenni coi soldi pubblici e col sudore e il sangue dei lavoratori, sull'altare della fusione di Fiat con la Chrysler, del costo di almeno 4-5 miliardi. Mentre in Italia prosegue la sua crociata mussoliniana per cancellare i diritti e le conquiste dei lavoratori e per la piena libertà di sfruttamento della mano d'opera.
La vicenda del "Corriere della Sera" mostra perciò che se da una parte è vero che la "globalizzazione" e la crisi del capitalismo stanno cambiando rapidamente e profondamente i vecchi assetti di potere tra le famiglie capitaliste italiane, dall'altra possono essere proprio quelle più potenti ad avvantaggiarsene, come è il caso della Fiat, che scendendo tempestivamente in campo con tutta la sua forza e influenza si è ripresa il quotidiano di via Solferino proprio quando Della Valle - già rimasto a bocca asciutta nella partita per l'acquisto di La7, aggiudicata all'industriale Cairo, un socio occulto di Berlusconi - sperava di metterci una mano sopra. E con ciò stesso la Fiat ha anche riacquistato di colpo quella posizione dominante nel panorama economico, politico e mediatico italiano di cui aveva ampiamente goduto nel secolo passato. O almeno ne ha creato delle forti quanto inquietanti premesse.


10 luglio 2013