L'interventismo di Prodi analogo a quello di Berlusconi
Nella finanziaria 2008 stanziati 24 miliardi di euro per le missioni di guerra
L'esercito pronto a "salvaguardare gli interessi nazionali anche lontano dalla madre patria". Di soppiatto prorogate al 31 gennaio tutte le missioni militari all'estero
L'Italia ha votato all'Onu a favore del proseguimento dell'occupazione Usa in Iraq
Il governo interventista e guerrafondaio del dittatore democristiano Prodi e la coalizione di "centro-sinistra" che lo ha sostenuto, ivi compresa la sinistra arcobaleno (Prc, PdCI, Sd e Verdi) e che ha sempre votato a favore delle missioni di guerra all'estero, ha aumentato la spesa militare di circa il 24% dall'ultima Finanziaria approvata sotto il governo di "centro-destra".
Lo scorso anno le spese militari arrivavano a un complessivo di 21 miliardi e 364 milioni di euro, con un aumento del 13% rispetto all'anno precedente. Mentre quest'anno, secondo quanto riportato nella Finanziaria 2008, ammonteranno ad oltre 23 miliardi e 800 milioni, 2 miliardi e 900 milioni in più, con l'aggiunta di 1 miliardo 550 milioni stanziato dalla Finanziaria 2007 per le armi ad alto contenuto tecnologico a cui si aggiungono: 600 milioni per il reclutamento dei professionisti e del finanziamento per gli Eurofighter e le fregate Freem e oltre 800 milioni per il mantenimento delle missioni di guerra all'estero. Praticamente il doppio di quanto lo stesso governo Prodi conti di destinare all'Università e alla ricerca scientifica.
Attualmente l'Italia partecipa a 27 missioni dislocate in ben 19 Paesi con un impegno di quasi 8mila militari. Anche se le spese maggiori saranno appannaggio soprattutto delle tre missioni principali: Isaf in Afghanistan, 2.290 militari e 310 milioni di euro di costo; Unifil in Libano, 2.400 soldati e 380 milioni di euro; infine la missione nei Balcani, dove ci sono ancora 2.600 militari per un costo di 190 milioni di euro.
Missioni che nel corso dell'ultimo Consiglio dei ministri del 2007 il governo Prodi ha ulteriormente "prorogato" d'ufficio fino al 31 gennaio 2008 con l'aggravante che tale decisione è stata presa alla chetichella, senza discussione e senza che il parlamento ne fosse minimamente informato ivi compreso l'allargamento delle servitù militari concesse agli Stati Uniti a cominciare dalla ristrutturazione di Sigonella e dalla nuova base Vicenza.
Una decisione gravissima che il governo ha tentato di occultare tant'è vero che nel comunicato ufficiale diramato dalla presidenza del Consiglio si accenna a non meglio precisate "autorizzazioni di spesa (per assicurazioni del personale e trasporti strategici) relative alle missioni internazionali in atto" per 100 milioni di euro e il tutto viene liquidato come una normale "procedura finanziaria". Non solo. A dicembre, durante la seduta del Consiglio di sicurezza dell'Onu (dove l'Italia è relatrice proprio per quanto riguarda l'Afghanistan) la rappresentanza italiana ha perfino votato a favore del proseguimento dell'occupazione imperialista in Iraq. Segno evidente che il ritiro del contingente italiano da Baghdad e Nassiriya deciso lo scorso anno da Prodi è legato più che altro a questioni di opportunismo politico e non costituisce certo un atto di rottura con la politica guerrafondaia di Berlusconi. Infatti, come ha dichiarato Prodi durante la visita a Kabul del 23 dicembre, continuiamo a partecipare "con orgoglio" alla guerra d'occupazione Nato in Afghanistan.
Per quanto riguarda invece la politica interventista e di riarmo nell'ambito della coalizione imperialista Ue, l'Italia partecipa a due grandi programmi internazionali finalizzati alla costruzione di aerei da guerra: il caccia europeo Eurofighter (consorzio formato da Italia, Germania, Gran Bretagna e Spagna) e il cacciabombardiere Nato Joint Strike Fighter (consorzio Italia, Usa, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Canada, Danimarca, Norvegia, Australia e Turchia). L'impegno di spesa su questo settore è di oltre 5 miliardi e 400 milioni di euro fino al 2012.
Per gli Eurofighter, ossia gli aerei da combattimento di nuova generazione equipaggiati di sofisticate armi di attacco e di offesa e che quindi nulla hanno a che vedere con le cosiddette "missioni di pace all'estero" (di cui l'Italia acquisterà 121 esemplari) la Finanziaria 2008 stanzia: 318 milioni di euro per il 2008, 468 per il 2009, 918 per il 2010 e 1.100 milioni per ciascuno degli anni 2011 e 2012. Gli Eurofighter costano circa 110 milioni di euro ciascuno. Mentre per il Jsf (di cui l'Italia conta di acquistarne circa 131 esemplari), in parte assemblati nell'aeroporto di Cameri (Novara), verranno spesi oltre 100 milioni di euro (ma i costi del programma, che durerà non meno di 40 anni, potrebbero raggiungere cifre molto più elevate). Poi sono previsti altri 155 milioni di euro per le navi da guerra Fremm (Fregata europea multisessione) e 20 milioni di euro per altri sistemi di difesa tipo lo scudo antimissile americano per la "difesa del territorio europeo dall'atomica iraniana".
Programmi di vera e propria economia di guerra su cui fra l'altro aleggia l'ombra lunga di un losco conflitto di interessi: infatti molte delle fabbriche d'armi coinvolte nel progetto sono guidate da ex generali che fino a qualche anno fa erano ai vertici della Difesa; in quella veste proponevano e sostenevano i progetti di riarmo che, una volta approvati dal governo, ora vengono realizzati da quelle stesse aziende di cui sono presidenti o consiglieri di amministrazione. Come, per esempio, l'ammiraglio Guido Venturoni, capo di Stato maggiore della Marina dal 1992 al 1993 e della Difesa dal 1994 al 1999, e ora membro del Cda di Finmeccanica e presidente di Selex Communications (gruppo Finmeccanica che si occupa di sistemi per le telecomunicazioni militari); il generale Mario Arpino, capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica dal 1995 al 1999 e della Difesa dal 1999 al 2001, attualmente presidente della Vitrociset (sistemi aerospaziali, radar e telecomunicazioni); l'ammiraglio Umberto Guarnieri, capo di Stato Maggiore della Marina dal 1998 al 2001, adesso presidente di Orizzonte Sistemi Navali (gruppo Finmeccanica reparto di unità navali militari); il generale Sandro Ferracuti, capo di Stato maggiore dell'Aeronautica dal 2001 al 2004, ora presidente di Ams (gruppo Finmeccanica specializzato in sistemi di puntamento radar e apparati elettronici militari); l'ammiraglio Marcello De Donno, capo di Stato maggiore della Marina dal 2001 al 2004, attualmente presidente di Agusta (gruppo Finmeccanica che costruisce elicotteri); e il generale Giulio Fraticelli, capo di Stato Maggiore dell'Esercito dal 2003 al 2005, adesso presidente della Oto Melara (gruppo Finmeccanica che produce artiglierie navali). E fra l'altro tutto in palese violazione della legge 185/90 che vieta ai generali di assumere incarichi dirigenziali nelle industrie belliche se non sono trascorsi almeno tre anni dal loro congedo.
Tutto ciò, è scritto nei documenti strategici delle Forze Armate italiane, per far sì che i "nostri soldati" siano pronti a "difendere il Paese nelle aree di interesse nazionale in tutto il mondo al fine di salvaguardare i nostri interessi, se necessario con interventi di prevenzione anche lontano dalla madrepatria". Una strategia imperialista che ricalca molto da vicino la politica interventista americana e la "guerra preventiva" di Bush e rilanciata in grande stile da Prodi per difendere gli interessi economici nazionali nell'ambito della Ue.
E pensare che nel "Programma di governo 2006-2011", Prodi e i suoi tirapiedi del "centro-sinistra" avevano assicurato ai propri elettori che si sarebbero impegnati "a sostenere una politica che consenta la riduzione delle spese per armamenti".

6 febbraio 2008