Accolti i diktat di Confindustria e Bankitalia. Ignorate le proteste dei lavoratori. Traditi gli elettori dell'Unione
Epifani, Bonanni e Angeletti cedono e firmano la controriforma previdenziale di Prodi
Peggiorato lo scalone perché innalza l'età pensionabile fino a 62 anni. Revisione dei coefficienti e finestre obbligatorie anche per le pensioni di vecchiaia delle donne. Un contentino l'esenzione per i "lavori usuranti''. La Fiom e "Rete 28 Aprile" bocciano l'intesa. PRC e PdCI criticano ma rimangono nel governo
Occorre il referendum dei lavoratori con voto certificato
Dopo l'accordo raggiunto sulle pensioni basse l'11 luglio scorso, era nell'aria che qualche giorno dopo, comunque entro l'inizio delle ferie, al di là delle dichiarazioni tattiche di repertorio e dopo qualche pseudo "rottura", sarebbe arrivato l'accordo complessivo sul capitolo delle previdenza. Ed è arrivato il 20 luglio.
Stessa sceneggiata, stesso colpo di teatro: trattativa di 8-10 ore, nottata di "consultazioni", poi l'intesa al primo mattino tra il presidente del Consiglio Romano Prodi accompagnato dai ministri Damiano, Padoa Schioppa e dal sottosegretario Enrico Letta e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Epifani, Bonanni e Angeletti accompagnati dai segretari confederali con delega per le pensioni. Era nell'aria l'accordo anche perché la condizione posta dal segretario della Cgil che fosse direttamente il capo del governo a guidare la "trattativa" era stato esaudita. "Ci penso io", aveva infatti detto, con un tono quasi ducesco, il dittatore democristiano.
Sui giornali erano circolate varie ipotesi, nei giorni precedenti, attribuite a Prodi. Nel frattempo sia la Confindustria di Montezemolo sia Bankitalia di Draghi erano scesi in campo pesantemente per spingere il governo a non togliere lo scalone, a ridurre i coefficienti, a innalzare le pensioni di vecchiaia alle donne, comunque a ottenere gli stessi risparmi pensionistici con altre misure. Il ministro del partito radicale, la iperliberista Emma Bonino, annunciava le dimissioni in assenza di una drastica controriforma pensionistica. Nelle fabbriche, specie metalmeccaniche, invece, proseguivano le proteste e l'approvazione di ordini del giorno per rivendicare la cancellazione dello scalone senza l'introduzione di scalini. La cosiddetta "sinistra radicale" dal canto suo, in particolare PRC di Giordano e PdCI di Diliberto, abbandonava la richiesta della cancellazione dello scalone, come scritto nel programma elettorale dell'Unione, e iniziava a calarsi le braghe accettando l'innalzamento dell'età pensionabile a 58 anni e gli incentivi per indurre i lavoratori a allungare la loro "carriera" lavorativa. Mentre i vertici sindacali si limitavano a invocare un accordo subito (purchessia) con una finta minaccia di sciopero generale nel prossimo autunno.

Vergognoso accordo
In questo contesto è nato l'accordo sulla base della proposta di Prodi, definito un po' da tutti i contraenti, come un compromesso. Ma le cose non stanno affatto così. Non si può parlare di compromesso ma di cedimento vergognoso e plateale da parte dei vertici sindacali confederali sempre più filogovernativi. Nella sostanza, è passata la linea liberista e antioperaia dettata da Bruxelles e dal grande capitale, sia pure con soluzioni tecniche diverse. Cosicché, mentre il governo porta a casa la controriforma pensionistica che si proponeva di attuare, non dissimile e forse peggiore di quella attuata dal governo di "centro-destra" del neoduce Berlusconi, i vertici sindacali di Cgil, Cisl e Uil non strappano quasi nulla, se si esclude il contentino sui "lavori usuranti" e sulla vaga e fumosa promessa di innalzare un poco i rendimenti pensionistici dei giovani in un futuro imprecisato e non certo. Altro contentino quello di riaprire le quattro finestre annuali (attualmente sono solo due) per andare in pensione; ma per i soli lavoratori che hanno maturato 40 anni di contributi. Mentre per le pensioni di vecchiaia degli uomini, a 65 anni, dovranno continuare ad aspettare ulteriormente da 6 a 12 mesi per ottenere il diritto maturato.
Insomma, il famigerato scalone di Maroni che prevedeva dal 1° gennaio 2008 l'innalzamento dell'età pensionabile da 57 a 60 anni, è vero, è stato rimosso. Ma le soluzioni individuate, come vedremo, sono persino peggiorative visto che portano, a regime, l'età della pensione di anzianità a 62 anni. La revisione, ossia la riduzione dei coefficienti di calcolo delle pensioni, si farà eccome se si farà. E avrà addirittura una cadenza triennale. Anche qui l'opposizione dei vertici sindacali, pronti a fare sciopero, dicevano, si è sciolta come neve al sole. Infame poi la beffa sulle pensioni di vecchiaia delle donne: da un lato si canta vittoria per esser riusciti ad evitare il ventilato aumento dell'età pensionabile da 60 a 62 anni (sic!), dall'altro però si accetta a livello di principio, e poi di fatto, che l'uscita dal lavoro avvenga attraverso le suddette finestre, producendo un ritardo di 6-12 mesi, quindi un prolungamento mascherato dell'età della pensione.
Non vi è alcun dubbio che queste misure peggiorano notevolmente il sistema previdenziale pubblico a favore di quello privato, che sta guadagnando terreno attraverso lo scippo del Tfr appena messo in atto.
Non vi è alcun dubbio che i lavoratori prossimi alla pensione, ma anche quelli più giovani e con meno anni di lavoro maturati, dall'accordo tra Prodi-Damiano-Padoa Schioppa e Epifani-Bonanni-Angeletti, subiranno un danno notevole in termini economici, di fatica, di salute.
Non c'è dubbio che la controriforma è fatta per tagliare ulteriormente e pesantemente la spesa pensionistica, nonostante che il bilancio previdenziale dell'Inps sia a tutt'oggi in attivo, in particolare il fondo pensionistico dei lavoratori dipendenti. Chi dice il contrario mente spudoratamente! L'affermazione del ministro (ex sindacalista della Cgil) Damiano secondo cui il "superamento" dello scalone costa allo Stato oltre 7 miliardi di euro è una presa in giro colossale.
Ai finti tonti del governo e non solo ricordiamo che questi erano soldi previdenziali dei lavoratori scippati dal governo Berlusconi; soldi che Prodi e i suoi sodali avevano promesso solennemente di restituire in cambio del voto alle ultime elezioni politiche poi vinte dall'Unione anche grazie a questa promessa non mantenuta. Tra l'altro, anche perché il governo ha programmato di reperire questi fondi attraverso aumenti delle aliquote contributive e altri risparmi previdenziali. A questi finti tonti ricordiamo che nell'ultima finanziaria è stato attuato un aumento delle aliquote contributive previdenziali ai lavoratori dipendenti dello 0,30% e di cinque punti ai lavoratori parasubordinati.
Vediamo ora, in sintesi, i punti della controriforma, già approvata anche dal Consiglio dei ministri senza cambiare una virgola. Nonostante le "perplessità" del ministro PRC Ferrero.

Lo scalino dei 58 anni
I lavoratori dipendenti dal 2008 potranno andare in pensione di anzianità a 58 anni e 35 anni di contributi (rispetto ai 60 previsti dallo scalone Maroni). Resta ferma la riduzione da 4 a due finestre per l'uscita dal lavoro (gennaio e luglio) e la necessità di aver maturato i requisiti da almeno 6 mesi al momento dell'apertura della finestra. In pratica se si raggiungono nel 2008 58 anni a febbraio e 35 anni di contributi ad agosto il lavoratore dovrà aspettare per andare in pensione la finestra di luglio 2009. Viene così cancellato il regime in vigore prima dello scalone di Maroni: 57 anni di età e 35 di contributi.

Le quote dal 2009
Dal luglio del 2009 i lavoratori dipendenti potranno andare in pensione con una somma tra età anagrafica e anni di contributi pari a 95 ma con almeno 59 anni di età. Dal 1° gennaio 2011 la quota passa a 96 con almeno 60 anni di età; mentre dal 1° gennaio 2013 la quota diventa 97 con almeno 61 anni di età e (attenzione) 36 anni di contributi; oppure 62 di età e 35 di contributi. Visto che le quote sono comunque vincolanti a un'età anagrafica minima a salire, cosa sono questi se non altri scalini per innalzare l'età della pensione da 58 fino a 62 anni?

Lavoratori autonomi
L'età necessaria per andare in pensione di anzianità per i lavoratori autonomi è di un anno superiore a quella dei lavoratori dipendenti.

Lavori usuranti
L'intesa esclude dall'aumento dell'età pensionabile i lavoratori considerati impegnati in attività usuranti sulla base delle norme stabilite nel disegno di legge Salvi del 1999 (come quelli che lavorano nelle miniere e nelle cave). Inoltre, esclude quelli impegnati sui tre turni e quelli con attività "vincolante" (come la catena di montaggio) e quelli addetti a produzione di serie. Secondo la Confindustria sono 700 mila i dipendenti che svolgono attività usuranti. Mentre il governo fa un calcolo attorno a un milione e 400 mila unità. Per chiarezza va detto che questa esclusione non è certa al 100% poiché resta la compatibilità dei conti previdenziali. Inoltre lo sconto è limitato a 3 anni, perciò nel 2013 quando saranno necessari 61+36, oppure 62+35, anche per i lavoratori "usurati" aumenterà l'età pensionabile almeno a 58 anni. Va altresì detto che questo regime "speciale" diventa un elemento di conflitto e di divisione tra i lavoratori non indifferente.

40 anni di contributi
La possibilità di andare in pensione anticipata con 40 anni di contributi indipendentemente dall'età, con la riapertura di 4 finestre annuali, così come l'"esclusione" dei lavori usuranti dall'innalzamento dell'età pensionabile sono state richieste dal PRC e accolte nell'intesa. Ma si tratta di poca cosa, nel senso che interessa pochi lavoratori e inserisce un ulteriore elemento di discriminazione e di divisione tra i lavoratori che hanno maturato la pensione di vecchiaia costretti ad uscire con solo due finestre.

Età pensionabile per le donne
Eccola la "conquista" propagandata dai vertici sindacali. Per il momento l'età pensionabile di vecchiaia, da non confondere con quella di anzianità, resta a 60 anni. Ma già si afferma che tale pensionamento potrebbe essere legato alle due finestre annuali. Il che ritarderebbe la conclusione del rapporto di lavoro di 6-12 mesi.

Nuovi coefficienti
I nuovi coefficienti, insieme all'innalzamento dell'età per la pensione di anzianità, costituiscono il punto più grave e inaccettabile dell'intesa. Infatti, anche se non subito, dal 2010 i coefficienti di calcolo della pensione saranno modificati in senso peggiorativo, secondo quanto già stabilito dal Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, con un ribasso del 6-8%. Da quella data in poi i coefficienti saranno rivisti (non certo per aumentarli) con cadenza triennale. In questo capitolo il governo ha concesso una vaga e fumosa promessa, da attuarsi in un futuro non ben definito, per portare l'assegno pensionistico dei giovani attorno al 60% del reddito percepito.

PRC, PdCI e Cgil
Entusiasti i commenti degli esponenti della maggioranza di governo. Oltre a quelli già citati, da sottolineare le stomachevoli dichiarazioni di D'Alema che in Consiglio dei ministri si è lasciato andare a sperticati giudizi positivi, quella di Fassino e dello stesso Rutelli che pur con più freddezza ha approvato la controriforma pensionistica di Prodi. Mussi e Pecoraro Scanio, leader rispettivamente della sinistra democratica e dei Verdi, lo hanno commentato come un buon compromesso.
Chi esce male, molto male, da questa vicenda sono il PRC e il PdCI i quali devono fare i conti con i propri militanti ed elettori in grande subbuglio. Sia Giordano che Diliberto hanno criticato apertamente i contenuti dell'accordo, hanno promesso di presentare degli emendamenti in parlamento, quando la controriforma sarà presentata insieme alla Finanziaria 2008. Ma intanto rimangono al governo e, in realtà, non ci pensano proprio ad abbandonarlo. Quindi, alla fine ingoieranno il rospo, come è già accaduto in diverse circostanze su diversi temi.
E i vertici sindacali? Chi sostiene l'accordo mette l'accento sull'unità palesata dalle tre confederazioni. Un obiettivo, questo, ottenuto però con uno spostamento a destra delle posizioni della Cgil la quale, nell'ultimo congresso nazionale concluso all'unanimità, aveva deciso con nettezza che lo scalone di Maroni doveva sparire. In casa Cisl e Uil l'intesa è stata accolta senza grandi problemi. Epifani invece deve affrontare un dissenso ampio e destinato a svilupparsi nelle prossime settimane e soprattutto nel periodo dopo ferie. Le reazioni nelle fabbriche, specie metalmeccaniche, sono in grande maggioranza di rabbia e di contestazione. Molto severo il giudizio degli operai della Fiat Mirafiori, per citarne uno. La "Rete 28 Aprile" ha bocciato l'accordo senza appello. Anche il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini è sceso in campo a viso aperto per criticare quanto concordato con Prodi e per annunciare il suo voto contrario.
Ora la parola deve passare ai lavoratori. Le segreterie di Cgil, Cisl e Uil hanno promesso per l'autunno prossimo una consultazione nei luoghi di lavoro e tra i pensionati. Ciò forse con la speranza che la rabbia del primo momento si sia fiaccata. La consultazione, vera e capillare, è il minimo di democrazia che va pretesa senza tentennamenti. Ma questo non basta. Occorre rivendicare il referendum tra i lavoratori di tutte le categorie pubbliche e private, con la garanzia che le due posizioni, quella a favore e quella contraria, siano presenti ovunque e con il voto certificato in modo che l'espressione della base non sia manipolata né falsificata e sia assolutamente vincolante. Se nel referendum vince il No i vertici sindacali devono ritirare il consenso e riaprire la lotta.

 
25 luglio 2007