Così anche il neoliberismo capitalista entra nella Costituzione del '48, che è ormai morta e sepolta
Il parlamento nero approva il famigerato "fiscal compact"
Questo trattato europeo prevede l'obbligo di pareggio di bilancio e impone di tagliare il debito pubblico di 45 miliardi all'anno per 20 anni.
Istituito il "Mes" e approvato il nuovo art. 136 del trattato del funzionamento della Ue


Il 19 luglio, nel silenzio complice dell'"informazione" di regime e in una Camera mezza vuota e disertata anche dal premier Monti e da tutti i segretari dei partiti della maggioranza, il parlamento nero ha ratificato senza discutere in seconda e ultima lettura, anche grazie alla procedura ultrarapida garantita dal fascista ripulito Fini, il famigerato "fiscal compact", il patto europeo firmato il 2 marzo scorso da 25 dei 27 governi della Ue, tra cui l'Italia, che vincola all'obbligo del pareggio di bilancio, pena sanzioni miliardarie, e a tagliare il debito pubblico di 45 miliardi ogni anno per i prossimi vent'anni.
"Siamo davanti a un importantissimo passaggio nel percorso di costruzione europea, con nuove e sostanziali cessioni di sovranità, è un momento storico e insieme possiamo farcela", è stato il commento trionfale del ministro per le Politiche comunitarie Enzo Moavero, pronunciato davanti ad un'aula semisvuotata dal clima già vacanziero e dal generale disinteresse per un passaggio puramente burocratico e dall'esito più che scontato. Su un totale di 630 deputati, infatti, solo in 433 erano presenti alla votazione sul "fiscal compact", e di questi solo 368 hanno votato sì, contro 65 no e altrettante astensioni. Un'atmosfera, quindi, tutt'altro che da "momento storico", bensì da ordinaria amministrazione, rimarcata dall'assenza non solo dello stesso capo del governo, ma di tutti i leader della maggioranza, da Berlusconi ad Alfano, da Bersani a Casini, che non si sono nemmeno preoccupati di giustificare in qualche modo la loro latitanza.
Evidentemente tutti costoro hanno preferito tenere un profilo basso, così da approvare alla chetichella e senza metterci personalmente la faccia un provvedimento così antipopolare che costerà ancor più lacrime e sangue ai lavoratori e alle masse popolari per molti anni a venire.
Ma c'è da sottolineare che anche chi ha votato contro, come la Lega, e chi si è astenuto, come l'IDV, avevano già detto in precedenza sì all'inserimento del pareggio di bilancio nell'art. 81 della Costituzione (cfr. Il Bolscevico n. 17/2012), che altro non è se non il recepimento del famigerato "fiscal compact" europeo all'interno della nostra carta costitutiva, rendendolo praticamente coercitivo e inviolabile fino al massimo livello possibile. La loro "presa di distanza" è quindi del tutto strumentale ed elettoralistica, come del resto quella dei molti deputati del PDL che si sono dati assenti, visto che era stato proprio il governo del neoduce Berlusconi, retto da PDL e Lega, nell'agosto dell'anno scorso, ad impegnarsi con l'Unione europea e la Banca centrale europea a modificare la nostra Costituzione per inserirvi il vincolo del pareggio di bilancio.

Un cappio al collo per i prossimi 20 anni
Ratificando il "fiscal compact" l'Italia si è impegnata a tagliare il suo debito pubblico dall'attuale 120% del Prodotto interno lordo (Pil) al 60% stabilito dal trattato di Maastricht, ad un ritmo del 5% ogni anno. Il che significa che per i prossimi vent'anni ci aspettano stangate antipopolari straordinarie di 45-50 miliardi ogni anno, qualunque cosa succeda e qualsiasi governo ci rappresenti. Oltre a questo c'è anche l'obbligo del pareggio di bilancio, e solo in casi eccezionalissimi il deficit strutturale potrà superare lo 0,5% del Pil. Un vincolo che, come abbiamo già detto, l'Italia ha già provveduto a inserire nella propria Costituzione, pur non avendone avuto l'obbligo, visto che poteva essere fatto anche con legge ordinaria. Oltretutto, tra i 27 paesi della Ue, Gran Bretagna e Repubblica ceca si sono rifiutati di sottoscriverlo, l'Irlanda si è riservata di sottoporlo a referendum, e perfino i primi della classe, Germania e Francia, non lo hanno ancora ratificato, essendo in attesa delle decisioni delle loro Corti supreme. Su questo patto gravano infatti diversi sospetti di incostituzionalità, specie per quanto riguarda i meccanismi punitivi automatici che scattano contro i paesi inadempienti.
Basti pensare che se uno Stato firmatario ritiene che un altro abbia violato i patti può deferirlo alla Corte di giustizia del Lussemburgo anche senza aspettare il giudizio della Commissione europea (clausola voluta fortemente, guarda caso, dalla Germania), che può sanzionarlo con una multa fino allo 0,1% del Pil. Che per l'Italia arriverebbe a 1,6 miliardi di euro. Per poter derogare alle ferree regole del patto occorre il benestare di una maggioranza "ponderata" dei paesi firmatari, il che equivale a dire Germania e Francia, che diventano praticamente arbitri del destino delle nazioni più in difficoltà, come appunto la nostra: molto più di quello che già è di fatto. Perché allora tutta questa fretta dell'Italia di inserire questo patto capestro nella Costituzione?

Cessione di sovranità ai mercati e alla Ue
Tanta solerzia da parte del governo e del parlamento nero è quindi altamente sospettabile di essere rivolta da una parte a placare il "dio mercato" con ulteriori sacrifici umani, e dall'altra a "giustificarli" come imposti non dal massacratore sociale Monti e dai partiti che lo sostengono, ma dalla Ue, alla quale abbiamo dovuto cedere la nostra sovranità nazionale per evitare il baratro. Non è questa la dimostrazione più lampante che la Costituzione del 1948 è ormai morta e sepolta ed è stata sostituita ormai di fatto da una costituzione fondata sul neofascismo, il presidenzialismo, il federalismo, l'interventismo, e adesso anche il neoliberismo capitalista?
È significativa, a questo riguardo, la dichiarazione del senatore del PD, Giorgio Tonini, in occasione della precedente approvazione del "fiscal compact" al Senato lo scorso 12 luglio, che a quanti sollevavano dubbi di "legittimazione democratica", rispondeva che approvandolo "sul piano politico abbiamo fatto di più e meglio dei tedeschi: abbiamo costituzionalizzato queste nostre impegnative decisioni con la riforma dell'articolo 81", e lo abbiamo fatto "con una maggioranza ben oltre i due terzi" e dando vita "addirittura a un governo dei due terzi, il governo Monti". Quanto suonano strumentali e ipocrite, allora, le parole del liberale Bersani che, dopo averlo fatto votare ai suoi, ha borbottato: "Il fiscal compact senza la crescita non risolve i problemi perché non basta tirare la cinghia. Se si tira solo la cinghia dopo un po' non c'è più niente, neanche la cinghia"!
Ma non basta. Insieme al "fiscal compact" la Camera nera ha approvato altri due meccanismi che rappresentano altrettanti cappi al collo per il nostro Paese, cioè per il nostro popolo: il primo è l'istituzione del "Mes" (meccanismo europeo di stabilità), che dovrebbe intervenire a sostegno dei paesi in difficoltà, dotato di un fondo di 700 miliardi di cui 80 versati. L'Italia ne è il terzo paese sottoscrittore, con il 17,9% delle azioni, il che comporta da parte nostra il versamento di 14,33 miliardi in tre anni a partire da quest'anno. Il secondo è il via libera al nuovo art. 136 del trattato sul funzionamento della Ue, che nel consentire l'istituzione di un meccanismo di stabilità per i paesi dell'euro subordina a una "rigorosa condizionalità" la concessione di qualsiasi aiuto finanziario. Il che metterà ancor più i paesi in difficoltà economiche come il nostro alla mercé dei mercati finanziari e del pugno di nazioni più forti della Ue, che potranno condizionare gli aiuti alle misure più ultraliberiste e antipopolari senza facoltà di negoziazione da parte degli Stati costretti a farne richiesta.

5 settembre 2012