Al vertice de L'Aquila
Il G8 riscrive le regole sperando di evitare una nuova catastrofica crisi del capitalismo
Dilatorie misure sul clima e miseri aiuti all'Africa e ai paesi poveri. I leader imperialisti condannano l'Iran e la Corea del Nord
Obama elogia il neoduce Berlusconi: "una forte leadership". Per Napolitano "Il G8 è un successo di Berlusconi. Ora bisogna continuare la tregua"
29 capi di Stato, 40 delegazioni ufficiali, 914 delegati e 3.500 testate giornalistiche accreditate, 400 milioni di euro di spesa (a carico dell'Italia), hanno fatto del G8 andato in scena dall'8 al 10 luglio a L'Aquila sicuramente il più faraonico della serie, ma non sono bastati, nonostante il clamore mediatico-propagandistico senza precedenti con cui è stato condito, a mascherare del tutto la vaghezza e l'inconsistenza dei risultati ottenuti rispetto ai temi in agenda. Che pure erano tanti e più ambiziosi che mai. A cominciare dalle misure per fronteggiare la gigantesca crisi economica e finanziaria mondiale del capitalismo, incluse le nuove regole da stabilire per evitare che se ne ripetano altre. Ma anche il drammatico problema dell'inquinamento e dei conseguenti cambiamenti climatici, il commercio mondiale, gli aiuti all'Africa e ai Paesi poveri, la sicurezza alimentare e i temi di politica internazionale più caldi: Iran, Corea del Nord, Medio Oriente, Afghanistan e Pakistan.
A tutto questo i leader degli 8 Paesi imperialisti più ricchi e potenti della Terra (Usa, Canada, Giappone, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Russia), a cui su certi temi si sono aggiunti i leader delle potenze emergenti (Cina, India, Brasile, Sudafrica e Messico) più l'Egitto, per formare il cosiddetto G14, nei documenti approvati hanno dato ancora una volta risposte tanto magniloquenti e solenni nella forma, quanto generiche, insufficienti e prive di concretezza nella sostanza.
Infatti, nella dichiarazione di intenti su economia, sviluppo e clima, dal pomposo titolo "leadership responsabile per un futuro sostenibile", dopo una rituale e frettolosa espressione di solidarietà alla popolazione dell'Abruzzo, gli 8 leader si impegnano a garantire una "crescita sostenibile" e ad "affrontare le sfide" della crisi economica, della povertà e del cambiamento climatico, con azioni immediate e a lungo termine. Ma se poi si va a vedere nel concreto quali sono le decisioni prese, si fatica a trovare qualcosa che vada al di là delle pure affermazioni di principio o delle vaghe promesse di interventi sempre rimandate ad altri summit futuri.

Dentro o fuori la crisi?
Per quanto riguarda la crisi si ammette che "si nota qualche segno di stabilizzazione", ma "la situazione resta incerta e permangono rischi significativi per la stabilità economica e finanziaria". Una formulazione ambigua che equivale a riconoscere che siamo ancora in alto mare e tutto può ancora succedere. Ciononostante Berlusconi, a cui spettava l'organizzazione e la presidenza di questo G8, non ha avuto esitazioni nel rigirare la frittata e ripetere il suo ottimistico ritornello di sempre, dichiarando in conferenza stampa: "Tutti quanti abbiamo convenuto che la crisi, per la sua parte più dura, è alle nostre spalle e ovunque ci sono segnali di miglioramento". Le famose "nuove regole" del capitalismo mondiale ("sarà il G8 delle regole, si preparerà un codice per il mondo della finanza", aveva annunciato trionfalmente il neoduce), così come la lotta alla corruzione e all'evasione fiscale, la stabilizzazione dei prezzi internazionali, la "finanza etica", ecc., sono tutte cose solo auspicate come principio, e il loro eventuale esame è stato rimandato quantomeno al prossimo G20 di Pittsburgh a settembre. Ricordiamo che il G20 è il G14 allargato ad Argentina, Australia, Indonesia, Arabia Saudita, Corea del Sud, Turchia e Unione europea, che rappresenta oltre l'80% dell'economia mondiale. È rimasta inoltre in sospeso, perché completamente ignorata dal vertice, la questione di stabilire una nuova moneta di riferimento attraverso un paniere di monete al posto del dollaro, che invece la Cina ritiene essenziale per andare ad un accordo globale.
Nulla di concreto neanche riguardo alla "exit strategy" dalla crisi economica e le sue conseguenze sociali, come l'ondata di disoccupazione in atto, ma ci si limita praticamente a riaffermare quel che sta già avvenendo, e cioè che ogni paese prenderà (o non prenderà, come in Italia) le misure che meglio crede. Stesso dicasi per la questione della sicurezza alimentare e della speculazione internazionale sui prezzi dei cereali, questione strettamente legata alla regolazione dei mercati, di cui però si ribadisce solo che devono essere "aperti" (no al protezionismo, ma da parte di chi, visto che viene negato ai Paesi poveri ma usato di sottobanco dai Paesi ricchi?): "I mercati - si sentenzia infatti - devono restare aperti, il protezionismo deve essere respinto e occorre monitorare ed analizzare ulteriormente i fattori che influiscono potenzialmente sulla volatilità dei prezzi dei beni di consumo, compresa la speculazione. Pertanto, ci impegniamo a ridurre le distorsioni del commercio e ad astenerci dall'erigere nuove barriere al commercio e agli investimenti e dall'attuare misure per stimolare le esportazioni che non sono coerenti con quelle autorizzate". Anche qui, insomma, un'altra bella affermazione di principio senza prendere nessun impegno concreto, mentre la "regolazione" dei mercati viene semplicemente demandata alla conclusione del tormentato percorso del trattato di Doha nel 2010.
In compenso uno spazio spropositato è stato dedicato alla questione della protezione del copyright e della lotta alla contraffazione e alla "pirateria" via Internet, ossia alla difesa della sacra e inviolabile proprietà privata capitalistica. I leader imperialisti, infatti, ribadiscono che l'innovazione e lo sviluppo non vanno pianificati e diretti dalla mano pubblica, ma devono continuare ad essere subordinati alla proprietà privata. Cosicché fra l'altro, mentre con una mano le maggiori potenze capitaliste offrono aiuto e cooperazione ai Paesi più arretrati, con l'altra si tengono ben stretti i brevetti tecnologici e il know-how (complesso delle conoscenze, competenze e capacità operative) che gli assicurano i loro alti profitti e la loro posizione dominante.

Accordo insufficiente e dilatorio sul clima
L'accordo per affrontare i cambiamenti climatici e ridurre le emissioni inquinanti, strombazzato da Obama e Berlusconi e da tutti i media come un "successo storico" di questo vertice, è sostanzialmente un bluff. L'unica "novità" è il diverso atteggiamento di Obama rispetto a Bush, con il riconoscimento (del resto non più eludibile da quando la stessa Onu lo ha ufficialmente e scientificamente certificato) dell'effetto serra dovuto alle immissioni di anidride carbonica (Co) nell'atmosfera come principale responsabile dell'aumento della temperatura del pianeta e delle sue sempre più catastrofiche conseguenze. Anzi, furbescamente, il nuovo presidente Usa ha fatto di questo tema una sua personale bandiera, riuscendo a recuperare la credibilità e i consensi che la politica ottusa e arrogante del suo predecessore avevano fatto scendere al minimo storico.
Ma che cosa è stato deciso in realtà? Che la temperatura del globo non dovrà superare i 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, come dire che se uno ha 38 gradi di febbre non è malato semplicemente perché si è alzata la soglia di riferimento da 36 a 38 gradi! E che i Paesi maggiormente responsabili dell'inquinamento si impegnano a ridurre del 50% le emissioni entro il 2050, che poi era l'obiettivo già deciso l'anno scorso; e, per quanto riguarda i più industrializzati tra loro, a ridurle dell'80% "oltre" quella data: cioè, come minimo, tra ben 41 anni!
Il tutto senza minimamente prendersi il disturbo di accennare né con quali e quanti strumenti e fondi né con quali tappe a breve e a medio termine né quando e come effettuare le dovute verifiche. Nessuna pianificazione mondiale della lotta ai gas serra, dunque, ma anzi in un paragrafo si tiene a sottolineare che "il settore privato continuerà a giocare un ruolo essenziale negli sforzi per regolare il cambiamento climatico". Allora stiamo freschi, visto che sono proprio le grandi multinazionali capitaliste le maggiori responsabili dell'inquinamento terrestre! Tutto è stato rimandato al prossimo vertice di Copenaghen a dicembre, che dovrà adottare un nuovo trattato al posto di quello assai misero di Kyoto in scadenza nel 2012.
Come se non bastasse non tutte le delegazioni del G14 hanno espresso quel "consenso storico" all'accordo di cui ha parlato lo stesso Obama. La Cina non era nemmeno presente perché il suo presidente è dovuto rientrare precipitosamente per la crisi nel Xinjiang; e comunque Cina e India avevano già fatto sapere che non si sentivano vincolate, in base al principio che se qualcuno deve pagare per l'inquinamento planetario comincino le nazioni che più hanno contribuito a crearlo, non quelle il cui sviluppo economico è appena cominciato. La Russia ha ammesso che si tratta di un obiettivo per lei irraggiungibile e perfino il Canada ha voluto precisare che quell'obiettivo è da considerarsi più che altro "un'aspirazione".
In pratica il peso è stato scaricato sulle generazioni future, quando gli attuali leader non ci saranno nemmeno più, tanto che persino il segretario dell'Onu, Ban Ki Moon, si è dichiarato assai deluso e "insoddisfatto" dei risultati raggiunti.

Briciole riciclate gli aiuti all'Africa e ai Paesi poveri
Un altro accordo strombazzato come "storico" è quello sui 20 miliardi di dollari in tre anni stanziati per l'aiuto allo sviluppo agricolo e per soccorsi alimentari e sanitari alle popolazioni dell'Africa e di altri paesi poveri. Ma anche questo, se non è proprio un bluff poco ci manca. Si tratta infatti per la maggior parte di fondi già promessi ogni anno a partire dall'Assemblea del millennio dell'Onu nel 2000 e mai effettivamente stanziati. Uno scandalo, se si pensa che ogni anno si spendono oltre 1.200 miliardi di dollari in armamenti di cui l'80% da parte dei Paesi del G8. Per l'Italia lo scandalo è doppio, dal momento che fu proprio Berlusconi nel 2001 a vantarsi del maggior contributo per l'Africa, salvo poi diminuire la quota stanziata ogni anno fino a ridurla ad oggi al 3% di quanto promesso. Con tutta la sua impareggiabile faccia di bronzo il neoduce ha ammesso che l'Italia è "in ritardo" sugli aiuti promessi, ma la colpa è "del terremoto che ci ha tenuto molto impegnati".
Dove invece gli 8 leader imperialisti hanno dimostrato un'intesa e un'efficienza perfette è stato sui temi di politica internazionale, che poi erano ristretti alle aree in cui sono più politicamente e/o militarmente interessati: Iran, Corea del Nord, Afghanistan, Pakistan e Medio Oriente, mentre sono state "stranamente" ignorate altre aree calde, come l'Iraq (che evidentemente si dà per "pacificato"), alcune anche recentissime, come Honduras e Xinjiang. E così, come da copione, c'è stata la condanna dell'Iran e della Corea del Nord, ai quali Stati, fra l'altro, è stata addossata interamente la responsabilità dei rischi della proliferazione nucleare mondiale. Tutte le altre migliaia di testate atomiche disseminate negli arsenali delle grandi potenze, comprese le 200 di Israele e le 90 stoccate in Italia, evidentemente non contano!
Per quanto riguarda Teheran si è preferito accantonare per adesso, per la resistenza della Russia, l'opzione di ulteriori sanzioni fortemente voluta dalla Francia (e anticipate incautamente dal bellicoso Berlusconi alla vigilia del vertice), concentrando l'attacco sul presidente Ahmadinejad con l'accusa di negare l'olocausto. Per la Palestina, senza fare cenno della questione degli insediamenti israeliani (né tantomeno della drammatica situazione di Gaza), si ribadisce l'appoggio alla soluzione dei due Stati e della ripresa delle "trattative di pace", limitatamente all'Autorità palestinese e nell'ambito della Road Map di Bush, nonché subordinando gli aiuti internazionali a dopo il raggiungimento di un accordo con Israele. Per l'Afghanistan e il Pakistan si ribadisce l'attuale politica di ingerenza politica e intervento militare spacciate come politica di "sostegno allo sviluppo e alla democrazia" e alla "stabilità della regione". Si ribadisce inoltre la priorità della guerra internazionale "al terrorismo" e alla politica di "peacekeeping/peacebuilding" (missioni militari imperialiste tese al ristabilimento della "pace") inaugurate dal boia Bush dopo l'11 settembre.

Il "successo" di Berlusconi
Nonostante la ferrea blindatura, le misure da stato d'assedio e la campagna allarmistica sui possibili "disordini" che hanno intimidito la popolazione dei terremotati dal far sentire adeguatamente la sua voce e unirsi ai manifestanti venuti da fuori, e nonostante l'ondata di arresti e di denunce "preventivi" di potenziali oppositori come ai tempi di Mussolini, anche questo vertice ha avuto la sua razione di contestazioni, sia pure in ampiezza e intensità forzatamente minori rispetto a quelli precedenti. Ne diamo una dettagliata descrizione in un articolo a parte.
Va detto anche che se qualcuno, nella "sinistra" borghese, falsa comunista e trotzkista, si era illuso che Obama o qualche altro leader straniero venisse a toglierci le castagne dal fuoco delegittimando o magari addirittura esautorando Berlusconi, a causa dell'alone equivoco e del discredito morale che lo circonda, è rimasto con un pugno di mosche. Al contrario il neoduce è uscito da trionfatore da questo vertice, che essendo anche una grande operazione mediatica non poteva trovare un regista e un anfitrione migliori di lui. Lo stesso scenario sfruttato come fondale per questo megaspettacolo - il terremoto de L'Aquila - si è rivelata una scelta molto furba, per impietosire il mondo e scoraggiare in partenza ogni possibile contestazione.
Assai appropriata, al riguardo, questa descrizione del quotidiano francese Le Monde sui motivi del successo di Berlusconi: "Ha interpretato diversi ruoli dal terremoto del 6 aprile: soccorritore con la protezione civile, parente in lacrime durante i funerali delle 300 vittime, ricostruttore e alla fine guida turistica. Ha condotto uno dopo l'altro Merkel, Obama e Medvedev fra le rovine per un quarto d'ora compassionevole. Il G8 era stato trasferito dalla Sardegna all'Abruzzo per commuovere. Loro si sono mostrati commossi. Come in altri tempi faceva visitare gli ori della sua villa in Sardegna ai colleghi capi di Stato, Berlusconi ha guidato questo Telethon planetario, trovando l'occasione di posare solo con gli ospiti più prestigiosi". Ciò conferma che non è con i "complotti" mediatico-giudiziari che si può sperare di abbattere il nuovo Mussolini, ma solo con la lotta di classe e la mobilitazione delle masse, di cui lo sciopero generale resta sempre l'arma migliore e più efficace.
Senza dubbio a spianargli la strada al successo, forse bloccando anche qualche siluro pronto a scoppiare proprio durante il G8, è stato il rinnegato Napolitano, suo nume protettore come Vittorio Emanuele III lo era di Mussolini. È stato lui infatti a invocare quella "tregua" negli attacchi al cavaliere piduista e puttaniere che l'"opposizione" compiacente e servile del PD e dell'Udc ha prontamente accettato. Una "tregua" in nome degli "interessi nazionali" che doveva durare fino alla conclusione del summit, e che invece a vertice concluso, in un'intervista al Corriere della Sera, l'inquilino del Quirinale ha invocato anche per il dopo G8, per un "clima più civile, corretto e costruttivo nei rapporti tra governo e opposizione". Sottinteso, in nome delle "riforme" da attuare insieme per realizzare compiutamente la terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista, secondo il disegno della loggia P2.
Non solo, ma nella stessa intervista Vittorio Emanuele Napolitano ha fatto di più e peggio: ha fatto un calcolato e sperticato elogio del nuovo Mussolini che può valergli come un'assicurazione sulla vita per tutto il resto della legislatura e finanche per le sue ambizioni quirinalizie, sottolineando che questo vertice "rappresenta indubbiamente un riconoscimento e un successo per il presidente del Consiglio, Berlusconi". Un elogio che ha spiazzato del tutto i rimbambiti e falliti leader della "sinistra" borghese, che ancora si illudono di avere in Napolitano un "garante", ma che ciononostante hanno accettato con cristiana e suicida rassegnazione il suo nuovo invito alla "tregua". Eccetto il destrorso e presidenzialista Di Pietro, che ha "declinato" l'invito per continuare a pescare voti e consensi nell'elettorato antiberlusconiano del PD.

Gli elogi dell'amico americano
Ma soprattutto, a salvare Berlusconi dal paventato fallimento e decretarne invece il successo è stato il capofila dei leader imperialisti, Obama. Assurdo che qualcuno abbia potuto pensare a una rottura tra i due. Troppo importante era per il nuovo presidente Usa il palcoscenico de L'Aquila, per rilanciare l'immagine screditata degli Usa nel mondo, per lasciare che i fatti privati del premier italiano interferissero con il successo del summit. Inoltre gli doveva riconoscenza per l'aumentato impegno militare in Afghanistan, l'accoglienza di alcuni detenuti di Guantanamo e la riconferma del raddoppio della base Dal Molin. La "integrità morale" di Berlusconi e la sua antica amicizia con Bush sono questioni del tutto secondarie per il nuovo inquilino della Casa Bianca, rispetto agli interessi strategici che gli Usa ripongono nel nostro Paese.
Non per nulla, ancor prima di recarsi a L'Aquila, al termine dell'incontro prolungato oltre il previsto con il capo dello Stato - che da parte sua, da buon rinnegato, ha sottolineato il "largo consenso nell'opinione pubblica e in tutto l'arco politico italiano" verso la nuova amministrazione americana, esaltando anche la condivisione delle "missioni di pace", in particolare in Afghanistan - Obama ha voluto mettere l'accento sul fatto che il governo italiano è "un grande amico degli Stati Uniti su un vasto arco di questioni"; questioni - ha poi ripetuto - su cui "il governo italiano ha già dimostrato una straordinaria leadership".
Un plateale elogio, questo, all'"amico Berlusconi", per sgombrare subito il campo dalle illazioni di stampa della vigilia che rappresentavano un'amministrazione Usa scontenta della preparazione italiana del G8 e ostile al suo presidente di turno.
Un elogio che Barack Obama ha esteso con molto calore anche a Napolitano con queste ammirate parole: "avevo sentito della splendida reputazione del Presidente Napolitano, come qualcuno che gode dell'ammirazione del popolo italiano non soltanto per il suo lungo servizio (quindi anche quello di capo della destra interna al PCI revisionista per portarlo alla distruzione, ndr), ma anche per la sua integrità e per la sua finezza. Voglio confermare che tutto quello che è stato detto e avevo sentito di lui è vero. È uno straordinario gentiluomo, un grande leader di questo paese".
Evidentemente lo stucchevole minuetto triangolare Obama-Napolitano-Berlusconi, che si sono premurosamente retti il sacco a vicenda in ogni fase del vertice, era stato accuratamente programmato per costruire a tavolino il suo "successo" e gettare fumo negli occhi ai popoli, per nascondere ancora una volta il carattere imperialista e antipopolare di questi rituali e demagogici summit imperialisti.

15 luglio 2009