150 mila a Roma per il Gay Pride
"Non voteremo senza una legge sui matrimoni omosessuali"

Lo scorso 23 giugno si è tenuto a Roma il Gay Pride con lo slogan "vogliamo tutto" scelto per quest'edizione, dove il 'tutto' altro non è che una serie di diritti elementari e basilari riservati alla generalità della popolazione e cioè la possibilità di vivere - per ogni lesbica o gay - con la propria compagna o il proprio compagno con un chiaro riconoscimento giuridico, di assisterla o assisterlo in caso di malattia, di avere diritti di successione legittima e reversibilità al coniuge superstite come una qualsiasi coppia sposata.
Il punto è proprio questo infatti, le lesbiche e gli omosessuali rivendicano gli stessi, identici diritti degli eterosessuali a formare una famiglia alle stesse condizioni di legge in base alle quali è consentito - se lo vogliono - alle coppie eterosessuali di formarla, e lo vogliono nelle stesse forme e modalità e con gli stessi identici diritti e doveri che garantisce il matrimonio civile o attraverso qualsiasi altra regolamentazione di convivenze che la legge offrirà in futuro alle coppie eterosessuali: il punto centrale quindi è la piena ed eguale dignità giuridica (e quindi sociale) rispetto al resto dei cittadini della lesbica e del gay in relazione alla regolamentazione della propria unione affettiva.
È con queste chiarissime idee che in centocinquantamila - non solo appartenenti alla comunità LGBT ma anche tantissimi sostenitori di questa fondamentale battaglia civile - hanno sfilato per Roma sfidando apertamente i partiti con la minaccia dell'astensione dal voto se nelle prossime campagne elettorali i partiti non inseriranno questi temi nei programmi: "non ci accontentiamo di PACS e unioni civili, puntiamo al matrimonio e i partiti devono saperlo se vogliono i nostri voti" dice Antonio Berardicurti del circolo Mario Mieli interpretando lo spirito ed i temi della manifestazione, organizzata insieme ad Arcigay, Gay Center e una trentina di altre associazioni.
Il messaggio è chiaro anche per chi, come il segretario del PD Pier Luigi Bersani, nei giorni ha trovato sì il tiepido coraggio di dire che è arrivata l'ora che anche in Italia si faccia una legge sulle unioni civili ma si è ben guardato dal parlare di 'matrimonio' per lesbiche e gay per non disturbare il Vaticano e quella parte cattolica del PD che, come Fioroni ma anche Renzi e la Bindi, vede il matrimonio omosessuale come il fumo negli occhi.
Il tepore di Bersani del resto si è rispecchiato nell'assenza - con l'esclusione di Paola Concia - di qualsiasi dirigente del PD, in quanto le uniche rappresentanze politiche presenti sono stati i giovani di SEL e dell'IDV, ma sono gli unici.
Dal canto loro, i marxisti-leninisti nell'appoggiare le lotte del movimento LGBT rilanciano a gran voce le rivendicazioni contenute nel nuovo programma d'azione del PMLI affinché vengano eliminate tutte le norme giuridiche e amministrative tendenti a criminalizzare i rapporti consensuali omosessuali e a discriminare socialmente e nell'accesso ai diritti i gay, le lesbiche e i transessuali e venga garantito loro tra le altre cose parità di trattamento in relazione alla sicurezza sociale, l'assicurazione delle malattie, le prestazioni sociali, il sistema educativo, il diritto professionale, matrimoniale e di successione, il diritto di adozione, la legislazione sui contratti d'affitto; il diritto di sposarsi civilmente con un partner dello stesso sesso, o quanto meno, a essere riconosciuti e registrati come una famiglia di fatto con gli stessi diritti e doveri previsti per la convivenza nelle coppie eterosessuali; il diritto di avvalersi gratuitamente in strutture sanitarie pubbliche delle tecniche per la fecondazione assistita e maternità surrogata; e di accedere senza discriminazioni all'istituto delle adozioni.

4 luglio 2012