Con l'attuale normativa previdenziale
Il 42% dei giovani raggiungerà una pensione di solo mille euro al mese

Continua a mietere vittime la macelleria sociale scatenata dal governo del neoduce Berlusconi e ancora una volta colpisce i giovani.
Secondo quanto segnala il progetto "Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali" condotto da Censis e Unipol, il 42% dei dipendenti giovani attualmente fra i 25 e i 34 anni, intorno al 2050 andranno in pensione con meno di mille euro al mese, in generale addirittura meno dello stipendio di "inizio carriera".
Ma non finisce qui, in quanto questa previsione riguarda i 4 milioni di giovani che si trovano con un contratto standard: le cose andranno ancora peggio per i tantissimi giovani della stessa fascia d'età autonomi, con contratti atipici o che non sono ancora riusciti a trovare lavoro, che vanno tenuti in considerazione dato che la disoccupazione giovanile, interessando oltre 1 milione di giovani al di sotto dei 35 anni (con il Mezzogiorno che supera la media nazionale di dieci punti percentuali), è una piaga sociale di dimensioni enormi.
Il quadro si fa ancora più grave se si pensa che, con il costante aumento di pensionati in Italia, il sistema pensionistico rischia davvero di crollare e di lasciare alla fame innumerevoli pensionati, come già dimostra il costante abbassamento del tasso di sostituzione, cioè l'importo della pensione rispetto all'ultima retribuzione (oggi al 70% e nel 2040 al 60%, secondo l'indagine citata).
Ha un bel da dire Sacconi, ministro del Welfare, che queste proiezioni sono "molto opinabili" (sic), proponendo persino "forme di previdenza e assistenza complementari" (leggi: "private"), che andrebbero ulteriormente a gravare economicamente sulle masse popolari.
Si tratta comunque di un altro frutto amaro della crisi del capitalismo, sistema che nega ai giovani speranze e sicurezza per il futuro, il tutto aggravato da un governo che si tappa occhi e orecchie davanti alle richieste delle masse, e che quindi va buttato giù quanto prima.
"I marxisti-leninisti si battono per un sistema pensionistico pubblico unificato, legato alla dinamica salariale, finanziato dalla contribuzione obbligatoria. In concreto chiedono il ripristino dell'età pensionabile a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne e il mantenimento dei 35 anni contributivi per la pensione d'anzianità. Chiedono il ripristino del calcolo della pensione sulla retribuzione, quella degli ultimi 5 anni lavorati, la riduzione del minimo di contribuzione a 5 anni per il diritto alla pensione minima, in conseguenza anche del dilagare del lavoro precario e dell'aumento del periodo di disoccupazione. Chiedono un adeguamento reale delle pensioni in base al costo della vita e alla dinamica salariale, da realizzare attraverso un efficace meccanismo automatico di scala mobile. Inoltre i marxisti-leninisti chiedono la separazione dei fondi della previdenza di competenza dell'Inps e simili da quelli dell'assistenza e sostegno all'occupazione che sono di competenza dei ministeri, e l'eliminazione dei privilegi pensionistici ai parlamentari, ministri e alle cariche pubbliche locali, ai manager pubblici e privati". (Tesi del 5° Congresso nazionale del PMLI)

31 agosto 2011