Con la sottoscrizione del welfare di Prodi
La giravolta del vertice della Cgil sulla legge 30
Nell'ultimo congresso nazionale ne rivendicava la cancellazione
Firmando il Protocollo di Prodi il 23 luglio su "previdenza, mercato del lavoro e competitività" assieme a Cisl, Uil e le associazioni padronali, il vertice della Cgil, con in testa il suo segretario generale, Guglielmo Epifani, ha, di fatto, compiuto una vergognosa giravolta di 180 gradi sulla legge 30, ovvero sulla controriforma liberista Maroni, varata dal governo del neoduce Berlusconi nel febbraio 2003 che precarizzò tutti i contratti di lavoro; contribuendo ad ampliare in modo esponenziale l'enorme massa di giovani condannati alla precarietà a vita, creata in buona parte con l'approvazione del "pacchetto Treu", votato anche da parte del PRC, negli anni precedenti. La legge 30, cosiccome i decreti attuativi 276 e 338, nel suddetto Protocollo sono infatti confermati in pieno e per certi versi peggiorati.
Parliamo di giravolta ma potremmo anche dire cedimento, tradimento, perché il vertice della Cgil, almeno fino all'ultimo congresso nazionale, il XV, tenutosi ai primi di marzo 2006, aveva una posizione totalmente diversa, sia pure nell'ambito di una concezione riformista di tipo socialdemocratico... Ad esempio, nel documento precongressuale, firmato proprio da Epifani, sull'argomento si poteva leggere: "Andare oltre la legge 30 significa ribaltarne la filosofia: vanno cancellate tutte le norme che precarizzano il rapporto di lavoro, favoriscono la destrutturazione e l'impoverimento dell'impresa, indeboliscono la contrattazione collettiva, sostituendole con un sistema di norme e diritti complessivamente alternativi. (...) Questo vuol dire - continuava il documento - fare del contratto subordinato a tempo indeterminato la normale forma di lavoro per l'ordinaria attività d'impresa, limitando i contratti 'flessibili' all'eccezione; vuol dire ridurre le tipologie non a tempo indeterminato".
Nel documento conclusivo del suddetto congresso questi concetti sono ribaditi in una forma ancora più netta: "Promuovere - è scritto - l'inclusione sociale, combattere la precarietà e il lavoro nero per una piena cittadinanza. Combattere la precarietà per la Cgil vuol dire cancellare la legge 30, ma soprattutto: dare nuova centralità al contratto a tempo indeterminato; ripensare in profondità il mercato del lavoro attraverso l'estensione del concetto di lavoratore economicamente dipendente con una modifica del codice civile; avere nuove norme a salvaguardia dell'unitarietà dell'impresa nel ciclo produttivo; estendere e universalizzare gli ammortizzatori sociali; tutelare la dignità dei lavoratori disabili e svantaggiati".

Al tempo del governo Berlusconi
Queste posizioni congressuali antitetiche alla filosofia e alle norme liberiste e filopadronali contenute nella legge 30 e nei decreti attuativi, rappresentavano lo sbocco naturale di un'opposizione anche dura messa in campo dalla Cgil nel corso della precedente legislatura berlusconiana a partire dalla presentazione del "libro bianco" del giuslavorista Marco Biagi sul "mercato del lavoro" elaborato su richiesta della Confindustria e dello stesso governo; dall'accordo denominato "patto per l'Italia" sottoscritto da governo, Confindustria, Cisl e Uil ma non dalla Cgil; dalla prima presentazione da parte dell'allora ministro del welfare Maroni, della legge delega 848 e 848-bis per la "riforma" del "mercato del lavoro", contenente anche la modifica dell'art.18 dello "Statuto dei lavoratori" con libertà di licenziare per i padroni. Opposizione che portò alla grandiosa e storica manifestazione del 23 marzo 2002 con 3 milioni di manifestanti al Circo Massimo di Roma.
Tutti i documenti prodotti nel periodo considerato della Cgil nazionale, e sono molti, si esprimono in modo nettamente critico, di condanna e di rifiuto. Già nel dicembre 2001 l'ufficio giuridico della Cgil (composto da P.G. Alleva, A. Andreoni, V. Angiolini, F. Coccia, G. Naccari) redige un lungo commento alla legge delega presentata in parlamento sulla base dei seguenti capitoli: "Una delega alla precarizzazione. Un disegno autoritario. La precarizzazione processuale: la modifica del regime dei licenziamenti. La precarizzazione del pubblico impiego. La mercificazione del lavoro e la liberalizzazione della interposizione di manodopera. La discriminazione del sindacato più rappresentativo. Commercializzazione del lavoro e trasferimento d'azienda. La moltiplicazione dei rapporti atipici strutturalmente precari e la certificazione. La destrutturazione della giustizia del lavoro".

"Il lavoro trasformato in merce"
Nel numero 17/2003 del giornale della Cgil, Rassegna sindacale, compare un articolo a firma di Alessandro Genovesi sulla controriforma del lavoro che apre così: "Approvata nella prima metà di febbraio e fortemente contestata dalla Cgil e dal centro sinistra la legge delega n. 30 del 2003, che ridisegna il mercato del lavoro italiano stravolge, nei fatti, i punti fondamentali che caratterizzano il diritto del lavoro, in particolare il principio per cui tra lavoratore e datore, il primo va tutelato perché fisiologicamente più debole. Insomma, - continua - a detta dei principali giuslavoristi italiani, siamo in presenza della trasformazione del lavoro in merce e quindi del contratto stesso in 'scambio commerciale'. Questa filosofia caratterizza l'intero assetto normativo".
Nel settembre 2003 la Cgil chiama i lavoratori a scioperare e a tenere assemblee "contro la legge 30 sul mercato del lavoro". La parola d'ordine è: "Il lavoro non deve essere una merce". Nel documento dello sciopero si accusa "il decreto attuativo della legge delega sul lavoro, che rende il lavoro precario, manomette il sistema di norme e tutele che compone il diritto del lavoro, affossa la contrattazione, frantuma e rende ingestibile il mercato del lavoro lasciando le lavoratrici e i lavoratori più deboli e soli". L'impresa, è spiegato nel testo, potrà scegliere tra più di 40 contratti di lavoro precari e superprecari, con meno tutele e senza un reale diritto alla retribuzione in caso di malattia e infortuni. Con la legge 30 sarà possibile dividere un'azienda in più parti anche se non vi è alcuna esigenza produttiva e moltiplicare gli appalti e i subappalti con meno tutele e diritti per i lavoratori. Con essa torna il caporalato. Vengono introdotti nuovi contratti di lavoro atipici come quello in affitto a tempo indeterminato, il lavoro a chiamata, peggiorato il part-time e altro ancora.

Il supermarket dei padroni
Nell'ottobre dello stesso anno, il Dipartimento politiche attive del lavoro della Cgil nazionale, ribadisce e rimarca la critica alla legge 30. Con questa legge "l'impresa potrà scegliere tra decine e decine di contratti di lavoro atipici - scrive - (somministrazione a tempo indeterminato, somministrazione a tempo determinato, lavoro intermittente o a chiamata, contratto di inserimento, lavoro condiviso, contratto di progetto, contratto accessorio con o senza voucher, associazione in partecipazione, ecc.), tutti senza diritto dell'indennità di disoccupazione o altri ammortizzatori sociali, senza un reale diritto alla retribuzione in caso di malattia e infortunio, senza copertura previdenziale dignitosa, dove il lavoratore è sempre - di giorno e di notte - a disposizione dell'impresa. I contratti collettivi di lavoro - prosegue - non potranno in molti casi regolarne l'uso ne i danni, perché la legge esclude la contrattazione per molti settori... Addirittura un lavoratore potrà lavorare per tutta la vita dentro un'azienda, ma essere formalmente dipendente di un'altra. Non avrà diritto quindi a nessuna tutela tipica di quell'azienda (sopra i 15 dipendenti), di quel settore, di quel contratto nazionale o legge, perché formalmente lui, dentro non esiste". Nel dettaglio il testo denuncia: "Terziarizzazioni facili e liberalizzazione degli appalti e sub appalti. Torna il caporalato e i lavoratori più deboli troveranno sempre meno occasioni di lavoro stabile. Sparisce la contrattazione nazionale. Tornano l'apprendistato senza formazione e i contratti preselezione. Il part-time: da possibilità per le donne a incubo per il lavoratore. I co.co.co. non spariscono anzi peggiorano".
Nel marzo 2004 la Cgil nazionale interviene su due nuovi decreti governativi approvati il 10 dello stesso mese relativi alle seguenti tipologie contrattuali introdotte dalla legge 30: la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato e il lavoro intermittente. "Il governo continua nella sua politica di precarizzazione del lavoro" chiosa, e aggiunge: "la Cgil considera il lavoro a chiamata la massima mercificazione del lavoro e ritiene che i soggetti più deboli nel mercato del lavoro, a cui il nuovo contratto si rivolge, vengano privati di ogni diritto e tutela, incerti sulla reale consistenza di un reddito variabile di giorno in giorno, obbligati ad aspettare una possibile, ma non certa, chiamata al lavoro". "Analogamente la Cgil ritiene inaccettabile il contratto di somministrazione a tempo indeterminato".

Con Prodi cambia la musica
Fino a che il governo di "centro-destra" Berlusconi non ha lasciato Palazzo Chigi il tenore degli interventi e delle iniziative della Cgil sui temi del "mercato del lavoro" e della precarietà hanno ripercorso questa falsariga. Ma dopo, dall'avvento del governo dell'Unione guidato dal dittatore democristiano Prodi, l'atteggiamento è gradatamente e progressivamente cambiato, le posizioni si sono ammorbidite, avvicinandosi così a quelle di Cisl e Uil indirizzate non a una cancellazione della legge 30 ma a un suo mero aggiustamento con il varo di "ammortizzatori sociali". È iniziata insomma quella giravolta di cui sopra, sfociata nella firma del welfare di Prodi del luglio 2007. Vi sono vari episodi a testimoniare ciò. Collegati assieme, segnalano il cambio di linea. Uno di questi riguarda l'atteggiamento assunto nei confronti della vertenza Atesia e più in generale l'accordo sottoscritto all'inizio dell'ottobre 2006 per "sanare" le illegalità nell'uso dei contratti a progetto nei call center.
I fatti. L'Ispettorato del lavoro conclude la sua indagine, giudica non corrette le assunzioni a progetto in quanto si configurano come lavori dipendenti a tutti gli effetti, intima ai padroni di queste strutture di assumere il personale a tempo indeterminato e a risarcirli per il salario perso. Il ministro del Lavoro Damiano corre in soccorso ai padroni ed emette una circolare applicativa del contratto co.co.pro. per dividere fittiziamente i lavori da configurarsi come dipendente dai lavori da considerarsi parasubordinati. Cgil, Cisl e Uil siglano un accordo con i datori di lavoro che annulla la sentenza dell'ispettorato del lavoro, riduce drasticamente le assunzioni a tempo pieno, rinviandole comunque nel tempo.
Un altro episodio riguarda l'iniziativa assunta dalla Fiom contro la precarietà, concretizzata con un convegno nazionale a Milano nel giugno 2006 e la definizione di una piattaforma in 11 punti per rivendicare la cancellazione della legge 30 e al suo posto una nuova legislazione del lavoro con al centro il tempo indeterminato. Iniziativa non appoggiata, anzi ostacolata dal vertice confederale della Cgil. Un comportamento analogo la segreteria Epifani lo ha messo in campo in occasione della manifestazione nazionale del 4 novembre 2006 promossa da una serie si associazioni, partiti e sindacati, tra cui anche la Fiom, sotto la sigla "Stop alla precarietà ora". Anche in questo caso in cima alle rivendicazioni c'è la cancellazione della legge 30 e l'assunzione di una posizione del vertice confederale della Cgil (non dissimile da quelle di Cisl e Uil) crumira e di aperto sabotaggio. Fino a minacciare provvedimenti disciplinari ai dirigenti Cgil presenti alla manifestazione.
Epifani dovrebbe spiegare ai lavoratori, specie quelli con contratto precario, come mai la Cgil considerava la legge 30, al tempo del governo Berlusconi, lo stravolgimento totale delle norme del "mercato del lavoro" in senso liberista e oggi opera per conservarla, con piccoli aggiustamenti legislativi e tramite accordi sindacali.

26 settembre 2007