Come chiedeva il Consiglio supremo di Difesa presieduto dal capo dello Stato
Il governo rifinanzia le missioni di guerra
Dopo aver puntato i piedi sulla loro riduzione, la Lega si accontenta di minimi ritocchi e si accoda
Napolitano: "La riduzione dei nostri militari è solo un'ipotesi"
Nella riunione del 7 luglio il Consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità il decreto che rifinanzia le missioni di guerra fino al 31 dicembre 2011. La Lega, che aveva tentato di opporsi alla votazione, chiedendo di discutere prima in sede politica sulla riduzione delle missioni militari, ventilando anche la possibilità di rischi per la tenuta della maggioranza, ha finito per adeguarsi accontentandosi di un minimo taglio del 15% della spesa e di una simbolica riduzione di 2.078 soldati, ottenuta in parte sforbiciando le missioni minori e in parte giocando coi numeri.
È stato così sostanzialmente rispettato il dettato del Consiglio supremo di Difesa presieduto dal capo dello Stato, riunitosi il 6 luglio alla presenza del presidente del Consiglio Berlusconi, dei ministri Frattini, Maroni, Tremonti, La Russa e Romani, il sottosegretario Letta e il capo di Stato maggiore della Difesa Abate, per il semestrale vertice in occasione del rifinanziamento delle missioni di guerra. Un vertice preceduto stavolta dalle polemiche sollevate dalla Lega, tornata ad avanzare richieste di riduzione delle missioni militari, all'indomani della morte di un altro soldato italiano in Afghanistan, mentre si allunga la prospettiva di un termine all'intervento della Nato, e quindi anche dell'Italia, in Libia, e in un momento in cui il governo chiede inauditi sacrifici alla popolazione con una manovra di lacrime e sangue di qui al 2014. Una posizione, quella della Lega neofascista, razzista e secessionista di Bossi, Maroni e Calderoli, del tutto strumentale ed elettoralistica, mossa unicamente dall'ansia di non perdere ulteriori consensi dopo le batoste elettorali di maggio e giugno, ma tuttavia da contentare in qualche modo da parte del neoduce per non aumentare le fibrillazioni nella maggioranza già innescate dai contraccolpi della manovra di Tremonti.
Da qui la soluzione di compromesso, raggiunta dopo un'ora e mezzo di discussione, e riflessa nel documento finale del Consiglio, che riguardo agli "impegni operativi delle forze armate nei diversi teatri", prende in considerazione "la possibilità di una loro ulteriore qualificazione", ma solo al fine di consentire al nostro Paese "di mantenere, anche a fronte di una ridotta disponibilità di risorse finanziarie, il ruolo cruciale che esso attualmente svolge a sostegno della sicurezza e della stabilità internazionale, in risposta a minacce, rischi e responsabilità cui l'Italia non può sottrarsi, ma che deve concorrere ad affrontare anche a tutela dei propri interessi strategici".
In altre parole, riduzioni sì ma senza intaccare gli impegni nelle due missioni di guerra fondamentali che stanno più a cuore al capo dello Stato: Afghanistan e Libia. Tanto più che ogni possibile "ridefinizione dei nostri contingenti", aggiunge il comunicato, andranno sempre prese "di concerto con le Istituzioni internazionali e tenuto conto degli sviluppi sul terreno". Ed è entro questi rigidi paletti piantati dal Consiglio supremo di Difesa e da Napolitano che il governo ha proceduto a rifinanziare le missioni, limando anche qua e là gli stanziamenti e i contingenti militari per permettere per l'ennesima volta alla Lega di salvare la faccia e dichiarare vinta la propria "battaglia".
Complessivamente il costo delle 33 missioni fuori dai confini nazionali passa infatti da 811 a 694 milioni di euro per i prossimi sei mesi, ma senza intaccare la missione di guerra più importante, quella in Afghanistan, per la quale il ministro La Russa ha assicurato che il finanziamento è stato anzi aumentato di 15 milioni, al fine di garantire una "maggiore sicurezza ai nostri soldati". Riguardo alla riduzione da 9.250 a 7.172 dei militari complessivamente impegnati nelle missioni all'estero, c'è da osservare che si tratta in buona parte di un artificio contabile, in quanto la cifra totale è stata gonfiata includendo anche i 1.970 uomini che non operano realmente all'estero ma sul territorio italiano nell'ambito delle operazioni militari contro la Libia.
Per la guerra alla Libia, già costata in un trimestre 142 milioni (1,5 milioni al giorno, senza contare i 400 milioni di fondi segreti per aiutare gli insorti), si prevedono altri 58 milioni da qui a settembre: un "risparmio" ottenuto stornando da quella voce le spese per per l'equipaggio della portaerei Garibaldi, che alla fine di luglio sarà sostituita da una nave più piccola. Parimenti gli 890 uomini impiegati nella nave, nei suoi aerei e nella nave appoggio, vengono contabilizzati nella "riduzione" dei contingenti militari "all'estero".
Altri 10 milioni e altri 600 soldati saranno tolti alla missione in Libano, quando saranno sostituiti dai soldati ghanesi. Altre piccole riduzioni in soldi e uomini sono previste per le missioni nei Balcani, in Iraq, in Somalia e Uganda, mentre è stata stabilita la cessazione delle missioni in Georgia e Congo. Tutto ciò ha permesso ai ministri leghisti di votare sì e dichiararsi "soddisfatti", anche perché Maroni ha ottenuto altri soldi per gestire la "emergenza profughi" e il prolungamento fino al 31 dicembre del pattugliamento della marina militare davanti alle coste tunisine.
A scanso di equivoci, tuttavia, rispondendo ai giornalisti dopo l'incontro di Stato col presidente della Germania, Napolitano ha ribadito seccamente che ogni possibile riduzione dei nostri contingenti militari all'estero "è solo un'ipotesi" da concordare eventualmente con i governi alleati della NATO e con l'ONU. Il nuovo Vittorio Emanuele III ha messo i puntini sulle i per far capire bene ai demagoghi della Lega che un conto sono le sparate propagandistiche, di cui possono benissimo continuare a vantarsi, e un altro sono le decisioni di ritiro unilaterale dalle missioni imperialiste, che per quanto lo riguarda, finché starà al Quirinale, non sono neanche da prendersi in considerazione. Un'antifona forse rivolta non solo alla Lega, ma anche al neoduce Berlusconi, dato che in un'intervista a la Repubblica si era lamentato per essere stato "costretto" a intervenire in Libia anche per le pressioni del capo dello Stato.

13 luglio 2011