Con un decreto legge attuativo sul Tfr previsto nella controriforma pensionistica
Il governo Berlusconi scippa le liquidazioni ai lavoratori
In ballo 13 miliardi di euro. Cantano vittoria aziende, banche, assicurazioni e finanziarie
Cgil, Cisl e Uil si lamentano (solo) del rinvio al 2008

Il governo del neoduce Berlusconi ha varato il 24 novembre scorso il decreto legislativo sull'utilizzo del Tfr (trattamento di fine rapporto) per i fondi pensione integrativi in attuazione delle legge delega n. 243 del 23 agosto 2004 per la "riforma" della previdenza sociale. Lo ha fatto, come al solito, ignorando le obiezioni dei sindacati confederali e le proteste di milioni di lavoratori. Lo ha fatto venendo incontro alle esigenze delle aziende e degli interessi delle banche, delle assicurazioni e delle finanziarie, decise a non farsi scappare questo ricchissimo affare costituito dalla gestione delle liquidazioni di 12 milioni di dipendenti per un importo di 13 miliardi di euro circa. Lo ha fatto a pochi giorni dala scadenza dei termini della legge delega, fissata per il 4 dicembre 2005. Lo ha fatto infine, superando i contrasti emersi tra le forze politiche di maggioranza della Casa del fascio. In particolare tra la Lega Nord, l'UDC e Forza Italia. Contrasti emersi anche al momento del voto, con i ministri Pisanu, La Loggia e Micciché, tutti di FI, che si sono astenuti.
Il suddetto decreto legislativo, recante il titolo: "Disciplina delle forme pensionistiche complementari" e composto da 23 articoli, sembra essere, infatti, un compromesso realizzato tra i boss della Casa del fascio: Bossi, Tremonti, Fini e lo stesso Berlusconi, sia pure dietro le quinte. Il neoduce, essendo proprietario della società di assicurazioni Mediolanum, essendo quindi dentro l'ennesimo "conflitto d'interessi", ha fatto finta di non occuparsi della faccenda, è persino uscito dalla stanza di riunione del consiglio dei ministri al momento del voto, ma è evidente che tutto ciò è semplicemente una farsa per gli allocchi. Si tratta di un compromesso che va incontro agli interessi economici (ed elettorali) rappresentati da costoro ma che, sia chiaro, per i lavoratori non cambia nulla. Anche in questa forma il provvedimento in questione rimane del tutto negativo e inaccettabile.
In che cosa consiste l'intesa trovata all'interno del governo? Da un lato, il testo presentato dal ministro del welfare, il leghista Roberto Maroni, non è stato modificato. In parole povere, gli emendamenti rivendicati dalle banche, dalle assicurazioni e dalle società finanziarie non sono stati accolti. Dall'altro lato, l'entrata in vigore della "riforma" sul Tfr è stata fatta slittare al primo gennaio 2008. Che, guarda caso, è la stessa scadenza fissata per l'attuazione dell'elevamento dell'età pensionabile (60 anni di età con 35 di lavoro, oppure 40 anni di anzianità contributiva a prescindere dall'età) nella controriforma pensionistica dell'agosto 2004. Sono oltre due anni di tempo, entro il quale i pescecani capitalisti pensano di riaprire il discorso a loro favore.

Il tassello mancante
L'approvazione del decreto legislativo, finalizzato a scippare le liquidazioni dei lavoratori a favore dei fondi pensione complementari, di cui vedremo gli aspetti essenziali, rappresenta senza alcun dubbio un nuovo tassello, anzi il tassello mancante, che si va ad aggiungere alle varie controriforme pensionistiche di stampo liberista varate dai governi di "centro-sinistra" e da quelli di "centro-destra" negli ultimi 13 anni, che hanno portato e porteranno sempre più alla demolizione della previdenza pubblica in favore a quella privata e al peggioramento dei trattamenti pensionistici. Specialmente per le nuove generazioni, con gravi difficoltà a maturare una vita lavorativa continuativa, con relativa copertura contributiva, e con un metodo di calcolo per la pensione, quello contributivo, che abbassa drammaticamente il valore dell'assegno pensionistico spettante alla fine della "carriera".
Il trasferimento del Tfr sui fondi pensione privati è giudicato fondamentale dal governo, dai padroni e dagli stessi vertici sindacali confederali. Questo perché, come dimostra la pratica di questi anni, senza di esso il sistema pensionistico fondato sue due gambe (una pubblica ridotta all'osso, l'altra privata che dovrebbe diventare, nell'intenzione dei soggetti citati, preponderante) è destinato al fallimento. Il colmo è che i lavoratori devono sacrificare la propria liquidazione maturata, che ricordiamolo è loro salario differito, per percepire alla fine della vita lavorativa una pensione più bassa di quella che avrebbero ricevuto con la normativa esistente prima delle controriforme pensionistiche.
Per completare il quadro si aggiunga che: la pensione integrativa esce dalla logica universalistica visto che la farà solo chi può; cambia radicalmente il rapporto tra contributi previdenziali attualmente a carico delle imprese pari al 73% e dei lavoratori al 27,05%; con i fondi pensioni e lo scippo del Tfr il contributo a carico dei lavoratori sale attorno al 87% e si riduce al 13% quella a carico delle imprese; il costo della compensazione e delle facilitazioni fiscali alle aziende viene scaricato sulla collettività.
Per quanto il testo sia rimasto lo stesso, a parte lo slittamento temporale, sarà bene ricordarne gli aspetti essenziali. Se la "riforma" non incontrerà intoppi, se non subirà modifiche, per esempio dal governo che si formerà dopo le prossime elezioni politiche, dal 1° gennaio 2008 i lavoratori avranno sei mesi di tempo per decidere se trasferire il Tfr maturato a forme di previdenza complementare: ossia a fondi chiusi o negoziali, a fondi aperti, oppure a contratti di assicurazione sulla vita con finalità pensionistiche. Due considerazioni: la prima riguarda la volontarietà che è, perlopiù, solo teorica. I giovani, e sono tantissimi, che passano da un lavoro precario all'altro e che vanno in pensione, con il calcolo contributivo, con un assegno attorno al 40% del salario, sono di fatto costretti ad aderire alla pensione complementare. La seconda è che i fondi pensione vengono parificati, dando la possibilità alle grandi assicurazioni finanziarie di buttarsi a pesce sulla grande "torta" delle liquidazioni da utilizzare per le loro speculazioni di borsa e i loro traffici monetari e finanziari.

I punti della "riforma"
Il silenzio-assenso
. Abbandonato il principio della obbligatorietà all'adesione ai fondi pensione complementari, il provvedimento ripropone il metodo del silenzio-assenso, accettato anche dai vertici sindacali. Questo significa che dal 1° gennaio al 30 giugno 2208 i lavoratori saranno costretti a prendere una decisione sul destino delle loro liquidazioni. In assenza di questa, scatta appunto il metodo del silenzio-assenso che determina il passaggio automatico del Tfr alla forma di pensione complementare prevista dai contratti collettivi di lavoro, a meno di un diverso accordo aziendale con uno o più fondi pensione. In caso di mancato accordo il Tfr finirà alla forma pensionistica complementare Inps. Questo metodo è truffaldino e inaccettabile. Rovescia la prassi normale che richiede per aderire a qualsiasi cosa il consenso esplicito e consapevole dei diretti interessati. Lo scopo è ovvio, indurre gli incerti e anche quei lavoratori che non hanno compreso la posta in gioco, a rinunciare, loro malgrado, alla liquidazione.
Oltre al Tfr. Oltre alla liquidazione maturata è previsto che il lavoratore possa anche versare alla forma di previdenza complementare "scelta" una parte della retribuzione. Nel caso che voglia cambiare fondo, o passare a una polizza vita, è comunque costretto ad aspettare due anni dalla data di iscrizione.
Anticipazioni. Per vincere le legittime e giustificate paure, ai lavoratori che aderiscono ai fondi è data la possibilità di chiedere fino al 75% di anticipazione sul Tfr in qualsiasi momento per spese sanitarie, oppure dopo 8 anni per l'acquisto di prima casa per sé o per i figli. La trattenuta fiscale in questo caso sarà però più penalizzante, del 23% invece che del 15%.
Imposta più leggera.
Per incentivare le adesioni, il decreto prevede che i contributi versati dal lavoratore e dal "datore di lavoro" siano deducibili dal fisco fino a 5.164,57 euro. Mentre sul rendimento è applicata un'imposta agevolata pari al 15% con una ulteriore riduzione di 0,30 per ogni anno di partecipazione al fondo oltre il quindicesimo dall'iscrizione.
Compensazioni per le imprese. Per compensare il vuoto creato dallo smobilizzo del Tfr per le imprese è previsto: la deducibilità sul reddito d'impresa del 4% dell'ammontare del Tfr conferito ai fondi (il 6% per le aziende con meno di 50 addetti); l'accesso agevolato al credito attraverso il fondo di garanzia; la riduzione del "costo del lavoro", attraverso la diminuzione del versamento degli oneri sociali; l'esonero dal versamento del contributo di garanzia.

Le reazioni di Confindustria e Ania
Dicevamo che questa "riforma" fa gli interessi dei padroni e del grande capitale finanziario. Eccone la prova! "Il testo - dice il presidente della Confindustria, Luca Montezemolo - risponde a quelle che erano le esigenze delle imprese. Credo che sia una riforma importante che va nella giusta direzione e accoglie le nostre posizioni. Avevamo detto al ministro Maroni che la riforma, così come è, con la moratoria andava bene". Il presidente dell'associazione che organizza le società assicurative (Ania), Fabio Cerchiai, mostra soddisfazione per le decisioni assunte dal consiglio dei ministri e, già che c'è, rivendica da qui al 2008 altre migliorie a favore dei fondi pensione aperti promossi dai suoi associati.
La soddisfazione di padroni e finanzieri è più che giustificata. Soprattutto se fosse vero il trucco denunciato dal dirigente della Cgil, Beniamino Lapadula, che permetterebbero alle assicurazioni di aggirare il rinvio di due anni per raccogliere le adesioni del Tfr alle loro forme previdenziali. Ciò avverrebbe utilizzando una norma presente nella legge delega che rende immediati i nuovi compiti della Covip (l'autorità di vigilanza sui fondi pensione) e dai quali passerebbe l'aggiramento del divieto di trasferire il Tfr a polizze individuali.
Di diverso tenore le dichiarazioni dei segretari di Cgil, Cisl e Uil, Guglielmo Epifani, Savino Pezzotta e Luigi Angeletti. Così come dei leader del "centro-sinistra", Piero Fassino e Francesco Rutelli in testa. Ma le loro obiezioni si concentrano unicamente sullo slittamento al 2008. Non contestano minimamente i contenuti della "riforma" per le pensioni complementari di cui da sempre sono sostenitori. Mentre Romano Prodi, furbescamente, tace. Persino l'imbroglione trotzkista Fausto Bertinotti non ha nulla da ridire sullo scippo del Tfr.
Noi pensiamo invece che l'opposizione vada portata su tutta la "riforma" del Tfr e su tutta la legge delega pensionistica, che la contestazione vada portata sulla demolizione della previdenza pubblica a favore di quella privata, che si debbano invitare i lavoratori ad organizzarsi per difendere l'istituto della liquidazione, rivendicando caso mai meccanismi di rivalutazione, che si debba fare pressione sui vertici sindacali perché sulla materia facciano un'inversione di 180 gradi per abbandonare l'esperienza negativa dei fondi integrativi e per rilanciare un sistema pensionistico pubblico che garantisca, specie ai giovani e ai lavoratori immigrati, trattamenti pensionistici adeguati.
La deludente rendita registrata in questi anni sui depositi nei fondi pensioni integrativi, vedi quelli dei metalmeccanici e dei chimici; di più, la mancanza di liquidità e il rischio di chiusura di fondi pensione come quelli della Comit e della BNL, i fallimenti di grandi società finanziarie all'estero e in Italia (Enron, Cirio, Parmalat, ecc) che hanno bruciato anche migliaia di miliardi di risparmi pensionistici, non hanno insegnato nulla?

14 dicembre 2005