Le forze armate imperialiste di Napolitano, Monti e Di Paola proiettate nel mondo
Il governo vara il nuovo modello di difesa conforme alle "aspettative dell'Ue e della Nato"
Monti: "Una riforma strutturale per la vita nazionale e internazionale del Paese"
Verranno acquistati 90 cacciabombardieri F-35 al costo di 11 miliardi

A tambur battente, dopo che il Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio presieduto da Napolitano ne aveva approvato le linee guida, il Consiglio dei ministri del 14 febbraio presieduto da Monti ha varato il nuovo modello di difesa presentato dal ministro della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola. E il giorno successivo il piano del governo, che prevede un'ampia ristrutturazione delle forze armate in funzione dei mutati scenari strategici internazionali e delle crescenti tendenze belliciste e interventiste, compatibilmente con la sua "sostenibilità finanziaria", è stato presentato alle commissioni Difesa di Camera e Senato: le quali, beninteso, non sono chiamate a decidere alcunché, bensì semplicemente, dopo averne approvati i principi generali, a concedere una legge delega in bianco al governo per legiferare da solo e in piena libertà su questa cruciale materia.
Nel comunicato del Consiglio del ministri si legge che "Lo scenario geo-strategico internazionale continua ad essere caratterizzato da grande incertezza; ne consegue che le Forze Armate devono continuare ad essere pienamente integrabili con quelle degli alleati, ma devono anche essere allo stesso livello tecnologico. Da qui la necessità di introdurre una profonda revisione della Struttura Difesa, per armonizzarla ai livelli di efficienza e funzionalità europei non solo militari, ma anche industriali ed economicamente sostenibili".
Da qui, prosegue il documento, l'urgenza di una "riforma" che punti "a riequilibrare i livelli di spesa del personale, di esercizio e di investimenti per garantire in futuro la sostenibilità finanziaria e l'efficacia operativa delle Forze Armate in chiave europea e Nato". Il risultato di queste scelte, conclude su questo punto il comunicato, "sarà una Struttura Difesa ridimensionata nei numeri, ma in grado di esprimere un'operatività all'altezza delle aspettative dell'Unione europea e della Nato". Nella successiva conferenza stampa il premier Monti ha dispensato grandi elogi a Di Paola, definendo la sua proposta di nuovo modello di difesa "un'importantissima riforma strutturale dal punto di vista economico", che interviene in un settore "di grandissima importanza per la vita nazionale e internazionale del Paese".

Quale riduzione delle spese militari?
In che cosa consiste, dunque, questo tanto strombazzato nuovo modello di difesa tenuto a battesimo dal nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, dal tecnocrate borghese Monti e dal militarista Di Paola? Sgombriamo subito il campo dalla falsa idea, diffusa dai compiacenti mass-media di regime, che si tratti di un piano di riduzione delle spese militari dettato da esigenze di risparmio e di "austerità", come per i tagli alle spese degli altri ministeri: nella diffusione di questa falsità si è particolarmente distinto il quotidiano portavoce del PD, l'Unità, che sta facendo una sporca campagna per persuadere le organizzazioni pacifiste e antimilitariste delle "buone intenzioni" del governo e dell'opportunità di instaurare un dialogo con esso. Come ha ribadito invece lo stesso di Paola nella sua audizione alle commissioni Difesa riunite, non è prevista nessuna riduzione di spesa per la Funzione Difesa rispetto agli attuali 14,1 miliardi di euro annui stabiliti con l'ultima legge di stabilità per il biennio 2012-2014.
Tutte le ristrutturazioni e i cambiamenti dovranno quindi avvenire attraverso una redistribuzione di risorse tra i vari capitoli di spesa del ministero, assumendo tale cifra come (attenzione) "base programmatica di riferimento di medio-lungo termine" (10 anni): una formulazione sufficientemente ambigua da lasciare la porta aperta ad eventuali aumenti in corso d'opera. False sono anche le cifre fornite dal ministro per dimostrare che l'Italia spende meno di altri Paesi per la difesa, lo 0,9% del suo Prodotto interno lordo, contro una media europea dell'1,6%: quando invece la stima di una fonte non certo sospetta come la Nato, confermata anche dall'autorevole istituto svedese per il disarmo, il Sipri, ci attribuisce un 1,4% del PIL. Infatti nel bilancio della Difesa, come ricorda anche l'associazione Sbilanciamoci nel contestare i "risparmi" sbandierati dal governo, non figurano le spese per le missioni internazionali, e nemmeno le spese per i sistemi d'arma, iscritte nel bilancio del ministero dello Sviluppo economico. In ogni caso per Di Paola il "riferimento tendenziale" da prendere come base del bilancio militare è il 2% del PIL, e questo la dice lunga su quale sarà alla fine della giostra il punto di arrivo reale di tutta l'operazione.
L'"elevata instabilità" dovuta all'ascesa di "nuove potenze", al "terrorismo internazionale" e agli avvenimenti "più simili alla rivoluzione che alla trasformazione" nell'area euro-mediterranea e medio-orientale, che tra l'altro "hanno provocato per l'Italia un grosso afflusso migratorio", sono per il ministro alla base del mutato scenario geo-strategico che richiede un nuovo modello di difesa. A cui si aggiunge la decisione degli Usa di concentrarsi di più nell'area dell'Asia e del Pacifico, che obbliga gli Europei "a fare di più, in particolare nell'area euro-mediterranea e medio-orientale". E poiché, sempre secondo l'audizione del bellicoso ammiraglio, oggi la difesa dell'Italia "la si garantisce non solo e non tanto alle frontiere, bensì fuori di esse, a distanza, là dove i rischi e le minacce si manifestano e si alimentano", da qui la necessità di "un sistema militare nazionale che sia pienamente interoperabile ed integrabile con quello degli alleati, quindi tecnologicamente avanzato, che sia proiettabile dove necessario, che sia sostenibile".

Un esercito più "snello" ma più offensivo
Ed è soltanto a quel modello di esercito, e non alla necessità di risparmiare a causa della crisi economica, che è improntato il piano di ristrutturazione delle forze armate annunciato da Di Paola in parlamento. A cominciare dalla riduzione del personale militare dagli attuali 183 mila uomini a 150 mila, e di quello civile da 30 mila a 20 mila unità, con una riduzione complessiva del 20% in 10 anni. Le riduzioni riguarderanno soprattutto i gradi intermedi e alti, privilegiando i militari operativi e le forze speciali, così da ridurre la spesa per il personale dall'attuale 70% al 50% dell'intero bilancio della Difesa, e aumentare in proporzione al 25% sia gli investimenti per l'ammodernamento tecnologico sia gli stanziamenti per l'impiego delle forze sul terreno: un esercito "più snello", ma anche più offensivo, una struttura "ridimensionata nei numeri, ma in grado di esprimere un'operatività all'altezza delle aspettative dell'Unione europea e della Nato", ha sottolineato orgogliosamente il ministro.
E per quanto riguarda il personale in esubero? Nessun problema: saranno messi a disposizione tutti gli strumenti utili al suo reinserimento in altri settori della pubblica amministrazione, prepensionamenti, aspettativa, part-time e quant'altro viene invece negato spietatamente ai lavoratori dei settori in crisi, tanto che si chiede specificamente una corsia preferenziale "ai tavoli in corso con il Ministero del Lavoro per la revisione del sistema pensionistico per i dicasteri Difesa e Sicurezza": "Dobbiamo apprestare le adeguate garanzie economiche, pensionistiche e di reimpiego per tutto il personale coinvolto nella ristrutturazione", sentenzia la relazione del ministro. E chi pagherà queste spese? Anche queste andranno a carico della collettività e dovrebbero essere conteggiate come spese militari aggiuntive.

Gli F-35 sono "indispensabili e irrinunciabili"
Parimenti al personale saranno ridotte e concentrate le caserme, le basi e i mezzi di tutte e tre le armi meno utilizzabili per il nuovo modello di esercito mobile interventista: insomma, "meno unità, meno piattaforme, meno mezzi, ma tecnologicamente più avanzati, realmente proiettabili ed impiegabili e sostenuti da più risorse per l'operatività", ha sintetizzato con compiacimento Di Paola. In questo quadro il ministro ha riaffermato l'intangibilità del programma di acquisto dei cacciabombardieri F-35, dato che "la componente aerotattica è un elemento indispensabile di ogni strumento militare significativo". Ha annunciato, ma solo come "tecnicamente perseguibile" e "sostenibile" (il che non significa già decisa, come si sono precipitati a strombazzare i mass-media di regime) una riduzione dai previsti 131 a 90 velivoli. Ma ha ribadito comunque come "indispensabile e irrinunciabile" il programma ed ha anzi esaltato la "lungimiranza di chi ci ha preceduto" (i governi Prodi e Berlusconi) e gli investimenti già fatti per 2,5 miliardi grazie ai quali "l'Italia si è posizionata nel programma quale secondo partner industriale dopo gli Stati Uniti".
Un programma che comunque, anche se fosse vera la riduzione per ora solo ventilata, costerebbe alla collettività almeno 11 miliardi, senza contare eventuali aumenti già annunciati dalla Lockheed e i costi futuri per la manutenzione. Ma ciò è pienamente nella logica del nuovo modello di difesa interventista dell'imperialismo nostrano, in cui cacciabombardieri a largo raggio e offensivi per eccellenza come gli F-35, e la portaerei Cavour che li dovrà portare sui teatri operativi, ne rappresentano la punta di lancia. Ecco come il "governo dei tecnici", il "governo di garanzia istituzionale", attraverso la trasformazione del concetto di difesa dei confini della nazione nel concetto guerrafondaio della difesa della nazione fuori dei confini, straccia l'articolo 11 della Costituzione per lanciare il nuovo modello di esercito interventista "proiettabile" su scala globale.

22 febbraio 2012