Imposta dal governo socialdemocratico Papandreu e dalla Ue imperialista
Assediato il parlamento greco contro la politica di lacrime e sangue
Sciopero generale di 48 ore

Dal 28 giugno il parlamento greco è riunito in seduta permanente per approvare entro la fine dello stesso mese la legge sul Programma economico a medio termine varata dal governo Papandreu, un piano di lacrime e sangue che durerà almeno fino al 2014 concordato con l'Unione europea (Ue) per sbloccare gli aiuti finanziari al paese.
La discussione è iniziata in un parlamento sotto l'assedio di decine di migliaia di manifestanti respinti dai lacrimogeni della polizia e in un paese paralizzato dallo sciopero generale di 48 ore indetto dai maggiori sindacati contro il provvedimento governativo.
Si tratta del primo sciopero generale di 48 ore della storia greca che ha di nuovo bloccato i trasporti aerei, marittimi, urbani e i servizi pubblici fuorché la metro per permettere la partecipazione alle manifestazioni. Decine di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza a Atene e nelle altre città per una mobilitazione che "continuerà fino a quando resterà in vigore questa politica", ha affermato un portavoce sindacale. "Il governo ci ha dichiarato guerra - ha affermato un altro esponente del sindacato Pame - e noi rispondiamo con la guerra".
La manifestazione principale si è svolta in piazza Syntagma ad Atene, di fronte al parlamento, dove già il movimento degli indignati greci aveva organizzato l'assedio della sede.
Le pressioni della Ue imperialista sul governo del socialista Papandreu sono state forti. Alla vigilia del voto parlamentare sul piano di "risanamento" da 28 miliardi di euro, il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha voluto ribadire che il piano rappresenta per la Grecia l'"unica alternativa" al fallimento e che doveva essere obbligatoriamente approvato per permettere lo stanziamento della rata da 12 miliardi di euro definita nella riunione a Bruxelles del 24 giugno. Dove il governo di Atene aveva illustrato il piano che prevede fra le altre misure tagli pesanti alle agevolazioni fiscali e alla spesa pubblica, privatizzazioni pari a 50 miliardi di euro entro il 2014, l'aumento delle tasse sul gasolio e una una tantum generalizzata.
Condizioni capestro per poter ricevere il finanziamento della Ue, un nuovo prestito a tassi di interesse elevati dato il basso grado di affidabilità del paese sui mercati finanziari, che sposta solo nel tempo la possibilità della bancarotta dei conti pubblici del paese. Sarebbe come dire a chi si è rotto una gamba di mettersi a correre per accelerare la guarigione; non può essere questa l'"unica alternativa". Una sarebbe quella dell'emissione di titoli in euro garantiti dalla Banca centrale europea (Bce) con tassi di interesse inferiori a quelli di Atene ma richiederebbe una solidarietà sconosciuta alla Ue imperialista. In ogni caso non possono essere le masse popolari e i lavoratori greci a pagare il prezzo di una crisi di cui non sono responsabili.
Lo avevano ribadito le decine di migliaia di manifestanti che il 21 giugno e per tutta la notte avevano circondato il parlamento impegnato nel voto di fiducia al nuovo governo Papandreu, ottenuto nelle prime ore del giorno successivo con la risicata maggioranza di 155 voti a favore sui 300 parlamentari. Mentre in piazza Syntagma gli indignati avevano allestito delle urne per il "voto di sfiducia" al governo, riempite in poco tempo, migliaia di manifestanti gridavano "Salvate le persone e non le banche", "Via il governo e il Fmi", "Venite voi a vivere con 500 euro", "Il debito non è dei popoli ma dei ricchi e dei primi ministri", assieme a un invito a allargare la protesta in tutto il continente: "Atene, Madrid, Lisbona: tutta l'Europa a lottare nelle strade".
Un'altra manifestazione si è svolta a Atene al ministero dei Trasporti, la cui sede era stata accerchiata dai lavoratori della società elettrica e messo al buio per alcune ore. Il sindacato di settore annunciava che gli scioperi e le interruzioni della corrente elettrica sarebbero continuati fino alla votazione del piano governativo che prevede tra le altre anche la svendita di un altro 17% della società pubblica.

29 giugno 2011