Come dimostrano il caso Visco-Speciale, gli schieramenti all'interno dei servizi segreti, le accuse reciproche di golpismo e le cordate affaristiche
Guerra aperta tra i due poli per il controllo della guardia di finanza e delle altre istituzioni
Fallite le manovre della destra per silurare Visco, in contropiede la "sinistra" borghese fa fuori Speciale
Solo il PMLI e il socialismo possono ripulire l'Italia dai circoli aperti e segreti dei capitalisti
Dopo le elezioni regionali in Sicilia e le elezioni amministrative parziali, la destra neofascista ha messo in campo una nuova manovra per dare al traballante governo Prodi quella spallata decisiva che l'occasione elettorale non ha consentito del tutto, pur avendo segnato comunque una dura batosta per i partiti della "sinistra" borghese.
Neanche tale manovra, imperniata sul caso Visco-Speciale, è riuscita nel suo intento principale, essendo stata parzialmente rintuzzata dalla maggioranza che è riuscita a salvarsi ancora una volta per il rotto della cuffia da un voto negativo in parlamento che avrebbe portato dritto alla caduta del governo. Ma di certo ha riattizzato come non mai l'incessante guerra per bande per il potere tra i due poli del regime neofascista, che stavolta è riesplosa in maniera violenta per il controllo della Guardia di Finanza e dei servizi segreti, in diretta continuità con lo scontro tra cordate affaristico-politiche infuriato due anni fa intorno al caso Antonveneta-Unipol-Bnl, e con intrecci al caso Sismi-rapimento Abu Omar e alla centrale di spionaggio scoperta in casa Telecom. Ecco un riassunto della vicenda.
L'offensiva della destra borghese parte a fine maggio e prende di mira il viceministro dell'Economia con delega alla Guardia di Finanza, Vincenzo Visco, già indicato come bersaglio all'elettorato della Casa del fascio quale responsabile della politica di inasprimento dei controlli fiscali e di aumento delle tasse. Ancora una volta, come col caso Unipol-Bnl, quando furono pubblicate le intercettazioni telefoniche tra Consorte e Fassino, è il quotidiano milanese della famiglia Berlusconi, "Il Giornale", ad aprire le danze, dando voce, anche attraverso la pubblicazione di numerosi documenti, alle pesanti accuse che il comandante generale della Guardia di Finanza, Roberto Speciale, si è messo a rivolgere al viceministro diessino a quasi un anno di distanza dalla vicenda a cui si riferisce. In sostanza il generale accusa Visco di averlo obbligato, nel luglio dell'anno scorso, sotto la minaccia di "gravi conseguenze", a far trasferire quattro alti ufficiali della Gdf di Milano senza valido motivo, o piuttosto per il motivo inconfessabile che si occupavano del caso Unipol-Bnl. Sarebbe stata insomma una vendetta contro il vertice milanese delle fiamme gialle, ritenuto dal viceministro diessino colpevole di aver passato le intercettazioni dei colloqui tra Consorte e i leader della Quercia al quotidiano diretto da Belpietro.
Visco si difende sostenendo che quei trasferimenti, che poi non furono nemmeno effettuati, erano normali avvicendamenti e accusa a sua volta Speciale di falsità e di aver montato un caso inesistente su ispirazione della destra per screditarlo e per colpire il governo. Speciale ribatte, con tanto di carteggio pubblicato su "Il Giornale", che il tentativo di Visco andò a monte per l'intervento del procuratore Minale, da lui avvertito, che era preoccupato per la sorte delle delicate inchieste che i quattro ufficiali conducevano, e anche a causa del putiferio che scoppiò allora con rivelazioni sulla stampa e interrogazioni parlamentari. Retroscena ricostruiti dal quotidiano "la Repubblica", intervenuto a difesa del viceministro, dipingono invece un vertice milanese delle fiamme gialle come un grumo di potere occulto, colluso con gli spioni di Tavaroli e del Sismi, rispondente solo a Tremonti e ai generali Emilio Spaziante (oggi al Cesis) e Speciale, tutti e due uomini di Pollari. Secondo questa versione Visco avrebbe tentato, sia pure maldestramente, di intaccare questa catena occulta, che però lo avrebbe fatto cadere in una trappola scattata a distanza di un anno.

Le contraddizioni nella maggioranza e i rischi del governo
Sia come sia, sia che Visco avesse effettivamente voluto trasferire dei finanzieri perché indagavano sui traffici dei DS con Consorte e soci, sia che il viceministro abbia fatto un passo falso perché attirato in una trappola, o tutti e due i casi insieme, sta di fatto che la destra borghese ha fatto bene i suoi calcoli. Sa che l'Unione è debole e in preda a profonde contraddizioni al suo interno, già emerse per esempio tra DS e Margherita al tempo del caso Unipol-Bnl. All'orizzonte ci sono poi le 73 intercettazioni telefoniche di colloqui tra Consorte e alcuni esponenti politici, tra cui Fassino, D'Alema e il suo braccio destro Latorre, finora tenute segrete ma che il Gip Clementina Forleo ha deciso di mettere a conoscenza delle parti processuali, e che potrebbero finire sui giornali col solito sistema della fuga di notizie. La Casa del fascio conta su questo clima arroventato per sfruttare le contraddizioni nella maggioranza e assestare una spallata decisiva al governo Prodi.
L'occasione è il dibattito in Senato fissato per il 6 giugno. Per il governo si tratta di un passaggio ad alto rischio, poiché c'è il pericolo che la maggioranza non tenga. Di Pietro chiede che Visco rimetta il mandato sulla Gdf, altrimenti presenterà una sua mozione in Senato, insieme al transfuga De Gregorio (difensore a spada tratta di Speciale) che, se fosse votata anche dall'opposizione, potrebbe significare la fine del governo. Anche gli ulivisti Bordon e Manzione annunciano una loro mozione, e c'è inquietudine anche nel gruppo senatoriale di SD che fa capo a Cesare Salvi, nonché da parte del radicale Capezzone. Per non parlare della freddezza ostentata dai DL riguardo alla solidarietà a Visco. A quest'ultimo, pur confermandogli la stima, viene rimproverato da molti quantomeno di essersi mosso male e in modo poco trasparente nei confronti della Gdf, e gli si chiede quindi di fare "un passo indietro".
A questo punto Prodi, alla vigilia della trasferta in Germania per il G8, deve correre ai ripari, se non vuol rischiare di non trovare più il governo al suo ritorno. Il 1 giugno, dopo un concitato vertice di maggioranza in cui il dittatore democristiano minaccia ancora una volta di andarsene e provocare le elezioni anticipate, viene convocato in fretta e furia un Consiglio dei ministri dimezzato (assenti molti ministri, tra cui D'Alema in trasferta a Valencia per assistere alle regate) che decide la rimozione di Speciale dal vertice delle fiamme gialle e la rinuncia "spontanea" da parte di Visco alla delega sulla Gdf, che ritorna temporaneamente nelle mani del ministro dell'Economia Padoa Schioppa. Quest'ultimo chiede a Speciale di rassegnare le dimissioni, offrendogli in cambio un altro "incarico di prestigio", ma il generale rifiuta, minacciando anzi di fare ricorso contro il provvedimento. Viene quindi rimosso d'ufficio, per rottura del "rapporto fiduciario" con il governo, destinandolo alla Corte dei conti, e al suo posto è nominato il generale Cosimo D'Arrigo. Di Pietro e Bordon ritirano le loro mozioni e Prodi può partire rassicurato per la Germania.

Le accuse reciproche di golpismo
La destra borghese grida allora al golpe. Berlusconi e gli altri leader della Casa del fascio firmano un comunicato in cui definiscono la destituzione di Speciale "una gravissima prevaricazione" che rappresenta "un'autentica emergenza democratica". Da parte sua Speciale si presta fino in fondo a questo gioco, con tre mosse che fanno salire ulteriormente la tensione. Prima di lasciare l'incarico, infatti, promulga una raffica di trasferimenti e di nomine nei vertici delle fiamme gialle, in modo da blindarle con uomini fidati a lui e alla destra. Rilascia dichiarazioni di fuoco in cui si definisce vittima di un sopruso e contesta la legittimità del Cdm che ha deciso la sua destituzione, per via delle molte assenze. Dopodiché si presenta alla parata militare del 2 giugno con aria di sfida verso Prodi, Visco e gli altri rappresentanti del governo, e si mette addirittura a salutare platealmente Berlusconi dicendogli "sempre agli ordini, presidente".
A questo punto è la "sinistra" borghese che accusa la destra di comportamenti golpisti. In un editoriale su "l'Unità" del 4 giugno, Furio Colombo definisce Speciale un "generale golpista", mentre Giuseppe D'Avanzo, fidato editorialista della proprietà De Benedetti, su "la Repubblica", pubblica un lungo articolo in cui individua nel viluppo di potere e di interessi che accomuna Speciale e i vertici delle fiamme gialle, il Sismi di Pollari e la centrale spionistica di Tavaroli, una sorta di "nuova P2" tornata a ricattare e manovrare il mondo della politica. E i partiti della maggioranza ne sarebbero succubi, al punto da cercare con questo "agglomerato oscuro" cresciuto "all'ombra del governo Berlusconi" continui compromessi, come dimostra il comportamento ostruzionistico del governo Prodi verso i magistrati che si occupano del caso Pollari-rapimento di Abu Omar. La stessa offerta di una "compensazione" a Speciale in cambio della sua destituzione conferma l'incallita tendenza a cercare il compromesso con l'avversario anziché affrontarlo a viso aperto: se Speciale è colpevole di aver manovrato contro Visco e il governo per conto dell'opposizione, perché premiarlo con una "carica di prestigio"?
È in questo clima di resa dei conti e di accuse reciproche di golpismo, avvelenato ulteriormente dalla notizia riportata da "La Stampa" che esisterebbe tra le intercettazioni di Tavaroli un riferimento a presunti fondi esteri attribuiti all'allora presidente del Consiglio D'Alema, che si arriva al dibattito in Senato del 6 giugno. Una seduta resa incandescente dalla gazzarra e dagli insulti della Casa del fascio al relatore a nome del governo, il ministro Padoa Schioppa, soprattutto nei momenti di diretta tv. Il ministro difende a spada tratta Visco e il suo operato, arrivando anche a negare l'evidenza, e cioè negando qualsiasi legame tra la vicenda Unipol e il suo caso, e attribuendo tutto alla fellonia del generale Speciale. Comunque alla fine la mozione della maggioranza, che difende le decisioni del governo ed esprime "solidarietà" alla Guardia di finanza, passa con 161 sì e 17 contrari, e con la Casa del fascio che esce dall'aula al momento del voto.

La posta in gioco della guerra tra i poli
Questi a grandi linee i fatti salienti della vicenda Visco-Speciale, che però non può dirsi affatto conclusa con il fallimento della manovra della Casa del fascio per silurare il viceministro dell'Economia e con la temporanea vittoria in contropiede del "centro-sinistra" che è riuscito a far fuori Speciale. Si tratta solo di un primo round della lunga guerra per bande per l'egemonia che, come abbiamo già accennato, è ripresa a divampare più violenta che mai e senza esclusione di colpi tra i due poli del regime neofascista. Nella fattispecie la posta in gioco è il controllo della Guardia di finanza, che è una istituzione chiave per assicurarsi l'egemonia del regime neofascista, in quanto detiene i segreti delle cordate politico-affaristiche che se la contendono, tra cui le inchieste - cruciali e ancora scottanti per i due poli - su Berlusconi-Mediaset e su Unipol-DS.
Ciascuna delle due fazioni della classe dominante borghese punta ad assicurarsi il controllo di questa istituzione chiave, così come quello dei servizi segreti. Sotto questa luce è del tutto logico che la destra borghese, non appena andata al governo con Berlusconi, ne abbia assunto il controllo piazzando i suoi uomini dappertutto; come è altrettanto logico che la "sinistra" borghese abbia cercato di fare altrettanto quando è stato il suo turno, anche se in modo più dilettantesco e maldestro. Che poi ci siano tra questi uomini dei personaggi così potenti da restare in sella anche coi nuovi padroni (vedi il capo della polizia De Gennaro, e vedi Pollari, coperto col segreto di Stato da Prodi e promosso addirittura a consigliere della presidenza del Consiglio), anche questo fa parte del gioco, ed è la conferma che la "sinistra" borghese si serve degli stessi uomini e degli stessi metodi della destra, ed è diventata ormai una sua immagine perfettamente speculare.
La tesi della "nuova P2" non convince. Che la P2 non sia mai morta e che continui a tessere le sue trame, lo abbiamo sempre detto. Ma oggi la situazione è molto diversa da quella degli anni '70-80 in cui la loggia di Gelli era in auge. La seconda repubblica neofascista, presidenzialista e federalista è realizzata e operante, e la destra e la "sinistra" borghese si equivalgono nella difesa e nella gestione del regime capitalista e neofascista e nei rispettivi disegni politici, presidenzialisti. Non c'è una destra golpista che deve sconfiggere una "sinistra" anche soltanto blandamente progressista e rappresentante degli interessi delle masse popolari, ma ci sono due fazioni della stessa classe dominante borghese in camicia nera: una costituita dalla destra berlusconiana, neofascista, democristiana e leghista, e l'altra costituita dalla "sinistra" rinnegata, riformista e democristiana, con la copertura dei falsi comunisti e trotzkisti della "sinistra radicale". La tesi della "nuova P2" avanzata da "la Repubblica", megafono del governo Prodi e sperticata sostenitrice del Partito Democratico e del rinnegato Veltroni, ora ripresa anche da "l'Unità", giornale di riferimento della Quercia, con un articolo del 9 giugno firmato da Nicola Tranfaglia, è perciò strumentale, e serve a nascondere la vera natura della "sinistra" di regime, facendola passare da vittima - per incapacità o opportunismo, o tutti e due - di un complotto piduista stile anni '70-80. Mentre invece è una delle due parti in causa nella guerra per bande senza esclusione di colpi che si sta svolgendo sotto i nostri occhi per l'egemonia del regime neofascista, ed è del tutto simile e ormai non più distinguibile dalla parte avversa per interessi, obiettivi, uomini, metodi e livello di corruzione.
Una clamorosa riprova di questo la si è avuta proprio adesso, con la rimozione del segreto giudiziario sulle intercettazioni relative al processo per la scalata all'Antonveneta, che invano il guardasigilli Mastella, il guardiano della Camera Bertinotti e quello del Senato Marini avevano cercato di bloccare con interventi che interferivano pesantemente con le regole giudiziarie. Intercettazioni che confermano il coinvolgimento dei DS, sulle orme di Craxi, nella scalata alla Bnl. I rinnegati Fassino e D'Alema, con il suo segretario Latorre, non si facevano scrupoli di trescare con Consorte, Gnutti, Ricucci e gli altri "furbetti del quartierino", pur di impadronirsi di una grande banca nazionale che avrebbe risolto tutti i problemi finanziari della Quercia e fornito i mezzi per competere alla pari con le altre cordate politico-affaristiche. Berlusconi ha espresso ai leader DS la sua "solidarietà", così come l'aveva offerta precedentemente a D'Alema per le voci sui suoi conti esteri. D'Alema aveva ricambiato dando di "incivili" a coloro che avevano contestato il neoduce a Genova. Una "solidarietà" equivoca come quella tra colpevoli degli stessi reati che si reggono il sacco a vicenda, tant'è vero che non c'è cosca parlamentare che non invochi la legge per bloccare le intercettazioni e mettere un nero bavaglio ai mass media.
La guerra per bande tra i due poli, perciò, non può che generare nuovo fascismo, miseria e oppressione per le masse popolari. Non esiste una soluzione che si possa trovare all'interno di questo regime neofascista. Per ripulire l'Italia dalle bande politico-affaristiche e dai circoli aperti e segreti dei capitalisti ci vuole il socialismo. Solo combattendo insieme la destra e la "sinistra" di regime - il che vuol dire lottare insieme al PMLI, per abbattere oggi il governo del dittatore democristiano Prodi, come ieri quello del neoduce Berlusconi e domani chiunque vada a gestire gli affari della classe dominante borghese in camicia nera - sarà possibile assestare dei colpi demolitori al regime neofascista e aprire la strada all'Italia unita, rossa e socialista.

13 giugno 2007