Il nuovo assetto del capitalismo italiano
La guerra per le banche e per il "Corriere della Sera"
Con la vicenda estiva delle scalate alla Banca Antonveneta, alla Banca Nazionale del Lavoro e al "Corriere della Sera", e l'annesso scandalo che ha coinvolto il governatore della Banca d'Italia Fazio, è venuta alla superficie la sotterranea ma incessante guerra che infuria tra le varie fazioni della classe dominante borghese per il riassetto del capitalismo italiano. Una guerra che mai come ora aveva coinvolto in così stretta e diretta misura, insieme alle cordate finanziarie e industriali in campo, anche il governo, le più alte istituzioni di "garanzia" come Bankitalia, nonché entrambi gli schieramenti politici, di destra e di "sinistra", che formano il parlamento nero della seconda repubblica neofascista.
Riassumiamo per sommi capi questa lunga e maleodorante vicenda: la posta in gioco è rappresentata da due ghiotti bocconi, Antonveneta e Bnl. I giocatori che se li contendono sono, da una parte e rispettivamente, l'olandese Abn-Amro e il Banco di Bilbao (Bbva), e dall'altra, sempre rispettivamente, la Banca popolare italiana (già popolare di Lodi) di Giampiero Fiorani, sostenuto dalla destra e in primis da Lega e Vaticano, e la compagnia di assicurazioni Unipol, vicina ai DS, diretta da Giovanni Consorte. Questi due attori "nazionali" però, come emerge dalle indagini della procura di Milano, e in particolare dalle intercettazioni telefoniche, giocano sporco, anche in "concerto" tra di loro. Per le loro rispettive scalate si servono infatti degli stessi "concertisti", soggetti come il finanziere bresciano Gnutti, il palazzinaro romano Ricucci e altri finanzieri "d'assalto". A loro volta questi si avvalgono di conoscenze e amicizie in entrambi gli schieramenti politici; tanto che nelle intercettazioni ricorrono i nomi di Berlusconi, Prodi, Fassino e D'Alema, e si dichiara apertamente che il favore a Unipol e alla "sinistra" è un atto dovuto per "bilanciare" quello alla Bpi e alla destra.
Un gioco sporco che, almeno nel caso dell'assalto ad Antonveneta, sconfina ben dentro il codice penale, visto che a inizio agosto la magistratura milanese ordina il sequestro delle azioni della banca rastrellate da Fiorani & co. e la loro interdizione dai pubblici uffici per alcuni mesi. A sua volta la procura di Roma indaga sulla regolarità della scalata Unipol a Bnl. Dall'inchiesta milanese emerge anche che la Banca d'Italia, che oltre alla Consob (l'istituzione preposta al controllo delle società quotate in Borsa) e all'Antitrust avrebbe dovuto vigilare sulla correttezza e solidità patrimoniale dei concorrenti e garantire a tutti parità di condizini nella corsa, aveva invece favorito e coperto, grazie all'intervento diretto di Fazio, amico personale di Fiorani, le manovre delle due cordate "nazionali". Tanto che dalle telefonate in codice in stile "Cosa nostra" intercorse tra il governatore, la di lui moglie e Fiorani, emerge un'equivoca commistione di interessi e di intrallazzi sottobanco che ha suscitato grande scandalo e discredito per Bankitalia presso la stampa e gli ambienti finanziari internazionali.

Il CdS, un obiettivo storico della P2
Come se non bastasse, sempre dalle intercettazioni pubblicate dalla stampa e da altre rivelazioni, è emersa anche una contemporanea manovra per scalare la proprietà del "Corriere della Sera", vecchio obiettivo storico della destra borghese e della P2, avente per attore lo stesso Ricucci, già in possesso del 20% del pacchetto azionario, ma sotto l'occulta regia del piduista Berlusconi, tramite il suo amico e consigliere Livolsi e in combutta con il genero di Aznar, ex premier spagnolo. Naturalmente il neoduce nega recisamente di essere coinvolto nella scalata al CdS, difende Fazio (sostenuto a spada tratta dalla Lega perché avrebbe agevolato il disegno di una grande banca "padana" contro le mire straniere e i cosiddetti "salotti buoni" dell'industria e della finanza nazionale), e si scaglia anzi contro i magistrati annunciando che farà una legge per proibire e punire le intercettazioni telefoniche e la loro divulgazione a mezzo stampa, salvo i casi di mafia e terrorismo.
Da parte sua Fazio nega con arroganza qualsiasi responsabilità giuridica e morale, rifiuta di presentare le sue dimissioni e si abbarbica alla poltrona, fiducioso che governo e parlamento nero troveranno una soluzione "onorevole" che gli salverà, se non il posto, almeno il principesco stipendio e la faccia. Anche perché nessuno chiede con convinzione la sua testa. Nemmeno l'"opposizione", dal momento che il suo principale partito, i DS, avendo i suoi bravi scheletri nell'armadio si guarda bene dal farlo; e Prodi lo stesso. Perfino il lustrascarpe Bertinotti getta acqua sul fuoco, eludendo il problema delle "dimissioni sì, dimissioni no", e anzi fa da sponda (con una mozione firmata insieme a Mastella!) alle minacce legislative di Berlusconi contro la magistratura e la stampa per le intercettazioni. Sostanzialmente l'Unione vorrebbe chiudere l'imbarazzante faccenda con un compromesso col governo basato su una "riforma" del regolamento di Bankitalia che introduca il mandato a termine per il governatore, che adesso è a vita. La Casa del fascio, Lega compresa, non sarebbe contraria, specie se come contropartita l'Unione confermasse la sua disponibilità a mettere fuori legge le intercettazioni ai politici e ai corrotti.

La lezione da trarre
Questi sono, in estrema sintesi, i fatti finora emersi di questa sporca vicenda non ancora conclusa. Ma indipendentemente da come andrà a finire ce n'è più che abbastanza per trarne intanto una chiara lezione. La guerra nell'alta finanza e nella grande industria per il riassetto del potere è una costante del capitalismo, e soprattutto oggi con la crisi produttiva e il declino delle famiglie storiche di capitalisti, come gli Agnelli e i Pirelli, e l'emergere di nuovi soggetti, come lo stesso Berlusconi e i vari Tronchetti, Montezemolo, Della Valle, Caltagirone, Ligresti, ecc., fino ai recentissimi "furbetti del quartierino" alla Ricucci e Coppola, arricchitisi con le speculazioni immobiliari e non si sa con cos'altro. Ma in questa guerra agisce anche un altro potente fattore che accelera i processi di scomposizione e ricomposizione di alleanze e cordate e intensifica le scalate alle banche e ai mass-media, che sono due strumenti strategici del potere finanziario e politico: questo fattore è rappresentato dalle imminenti elezioni politiche, che agiscono da detonatore in una situazione già di per sé esplosiva e mettono in movimento tutta una nuova situazione.
C'è la possibilità concreta di un cambiamento di governo dalla destra alla "sinistra" del regime neofascista. Una parte delle cordate finanziarie e industriali, quelle che fanno capo per esempio a banchieri come Bazoli e Profumo, industriali come Cipolletta e Anna Maria Artoni, grandi finanzieri ed editori come De Benedetti, si sono già schierate con l'Unione di Prodi e Fassino, per non parlare della Lega delle cooperative che abbiamo già visto all'opera con la scalata a Bnl. Un'altra parte sta con Berlusconi e lavora per riconfermarlo, come i palazzinari romani, Ligresti, la Confcommercio, la finanza "padana" e vaticana, ecc. Un'altra parte ancora, come Montezemolo, Della Valle, e altri Paperoni del cosiddetto "salotto buono", auspicano un "grande centro" capace di assicurare stabilità al sistema, e lavorano per appoggiare e far crescere le ali centriste di entrambi i poli. Tutto questo produce conflitti e rimescolamenti, anche perché gli schieramenti non sono nettamente divisi e vi sono anzi complicati intrecci tra le varie cordate e lobby, come lo scandalo Bankitalia ha rivelato: non per nulla, per non far torto a nessuno dei due poli, Fazio ha coperto sia la scalata di Fiorani gradita a Berlusconi e Bossi che quella della Unipol legata al partito della Quercia.
Un altro aspetto che emerge dallo scandalo è l'intreccio perverso e ormai indissolubile tra le cordate capitaliste e i partiti politici borghesi e le istituzioni dello Stato. Un intreccio già esploso con Tangentopoli, e ora clamorosamente riconfermato. Se c'è una novità, rispetto ad allora, è che oggi sono coinvolti quasi tutti i partiti politici, tanto della destra quanto della "sinistra" della borghesia. Questi ultimi non hanno più un ruolo di secondo piano, come fu con Tangentopoli rispetto a partiti di governo come DC e PSI, ma gareggiano ormai alla pari, almeno a partire dal governo D'Alema, con la destra borghese per far vincere le loro cordate finanziarie e industriali di riferimento. Il conflitto di interessi è diventato ormai globale: oltre quello pur gigantesco e sfacciato di Berlusconi ne stanno nascendo continuamente di nuovi che coinvolgono direttamente o indirettamente tutti i partiti del regime neofascista.

La quesitone è politica, non "morale"
Non si tratta però di una "questione morale", come cercano di dipingerla riduttivamente i partiti borghesi, bensì politica. Non è un problema di leggi e di regole da "riformare", ma è l'essenza stessa del sistema capitalista che genera incessantemente corruzione politica, conflitti di interessi e guerra per bande per il controllo del potere economico, finanziario, industriale, mediatico e politico. Non esiste un capitalismo "buono" e "onesto" che si contrappone a un capitalismo avido, rapace e sfruttatore. Avidità, rapacità e sfruttamento sono connaturate col capitalismo e ne sono anzi la stessa ragione di vita.
Allo stesso modo, nell'attuale regime di seconda repubblica neofascista, presidenzialista, federalista e imperialista, non esiste uno schieramento politico "buono" che si contrappone a uno "cattivo". Tanto la destra quanto la "sinistra" della borghesia hanno in comune l'obiettivo strategico di conservare in vita il marcio sistema di sfruttamento capitalistico e perpetuare i privilegi della loro classe. Poi possono anche dividersi tatticamente sui metodi più o meno duri o più o meno "morbidi" per conseguire questo comune obiettivo. Ma il risultato, per la classe operaia, le masse lavoratrici e popolari, per tutti gli sfruttati e gli oppressi non cambia, come hanno potuto già sperimentare con i governi di "centro-sinistra" Prodi, D'Alema 1 e 2 e Amato, che hanno rafforzato il capitalismo italiano agganciandolo alla Ue imperialista, hanno legalizzato per primi il supersfruttamento del lavoro precario, hanno portato l'Italia in guerra per la prima volta dopo Mussolini e hanno aperto la porta alla controriforma piduista e fascista della Costituzione, ora rilanciata e quasi completata da Berlusconi, Bossi e Fini.
Il fatto è che i capi delle due fazioni della borghesia, il nababbo capitalista, piduista e fascista Berlusconi e l'economista borghese democristiano Prodi, non sono altro che le due facce della stessa medaglia capitalista e imperialista. Appoggiare il secondo per sloggiare il primo vuol dire cambiare il suonatore ma non la musica, che rimane sempre la stessa lugubre musica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e guerrafondaia che ormai suona da anni qualunque sia l'orchestra che governi.
Il nero e disumano sistema capitalistico non si può "riformare". Lo si può solo accettare così com'é, più o meno imbellettato di bianco, blu, rosa, verde o arancione, come lo vorrebbero il democristiano Prodi, il rinnegato Fassino e il trotzkista gandhiano Bertinotti. Oppure abbattere. Ed è solo abbattendolo e instaurando la dittatura del proletariato, per fare dell'Italia un Paese unito, rosso e socialista, che sarà possibile distruggere le radici stesse dello sfruttamento, della miseria, della disoccupazione, dell'ingiustizia sociale, delle disuguaglianze territoriali e di sesso, della corruzione, del fascismo e della guerra imperialista, nutrite dallo stesso marcio sistema capitalista in decomposizione.

31 agosto 2005