Si acuiscono le guerre commerciali interimperialiste
Usa, Ue e Giappone contro la Cina che estrae il 90% delle terre rare
Presentato un ricorso al Wto

Stati Uniti, Unione Europea e Giappone per la prima volta si sono coalizzati e hanno presentato insieme a Ginevra all'Organizzazione mondiale per il commercio (Wto, nella sigla inglese) un ricorso contro le presunte scorrettezze della Cina che estrae e vende oltre il 90% delle terre rare. Pechino limita le esportazioni e causa un innalzamento artificioso dei prezzi sui mercati mondiali che pesano sui costi dei prodotti finiti e dei "consumatori" dei nostri paesi e avvantaggiano la aziende cinesi, gridano i tre accusatori; non possiamo continuare con l'estrazione e la lavorazione intensive delle terre rare per non deturpare ulteriormente il nostro territorio, rispondono da Pechino.
Le terre rare sono 17 minerali e metalli essenziali nelle tecnologie avanzate, come l'elettronica, il nucleare, le energie alternative, le telecomunicazioni e l'industria aerospaziale e muovono un mercato che vale centinaia di miliardi di euro. Con le terre rare si costruiscono prodotti come sistemi militari, computer, missili, smart phone, auto ibride, telefonini, apparecchi fotografici, fibre ottiche, marmitte catalitiche e via elencando.
Al di là delle ragioni o false giustificazioni che vengono avanzate dalle due parti, l'iniziativa di Usa, Ue e Giappone altro non è che il rilancio di una guerra commerciale interimperialista iniziata da anni e che difficilmente sarà risolta dal Wto.
L'attacco è guidato da Washington, dal presidente Barack Obama che ha presentato il 14 marzo alla Casa Bianca il documento congiunto che accusa Pechino di violare le regole sul commercio internazionale grazie a limiti definiti alle esportazioni. "Dobbiamo prendere in mano il nostro futuro energetico, non possiamo permettere che l'industria dell'energia metta radici in altri paesi ai quali è stato permesso di violare le regole", ha pomposamente affermato Obama che con una enfasi oramai da campagna elettorale ha sostenuto che: "lavoreremo tutti i giorni per fare in modo che i lavoratori e le imprese americane abbiano le giuste opportunità nell'economia globale".
"Le restrizioni della Cina alle terre rare e altri prodotti violano le leggi internazionali e devono essere rimosse, perché si tratta di misure che danneggiano i nostri produttori, tra cui quelli dell'industria hi-tech e di quella verde, e i consumatori nella Ue e in tutto il mondo", gli ha fatto eco dall'altra sponda dell'Atlantico il commissario europeo al commercio, Karel De Gucht.
Certo, nel corso degli ultimi due anni a causa della politica di Pechino i prezzi di questo tipo di minerali destinati all'export sono schizzati alle stelle, in alcuni casi addirittura decuplicati. Mentre restavano stabili quelli utilizzati dalle imprese nazionali o straniere operanti nel paese. Una politica che ha tra l'altro favorito lo spostamento di molte produzioni da paesi occidentali verso la Cina. Per il 2012 Pechino ha ridotto a 30 mila tonnellate la quota di minerali da esportare a fronte di una domanda che è quasi il doppio.
La Cina gode di una situazione di monopolio controllando il 90% e forse più del mercato mondiale, pur detenendo "solo" il 35 % delle riserve sfruttabili di terre rare.
E ha deciso di tagliare le esportazioni, perché come sottolineato all'Assemblea nazionale del popolo "l'era in cui la Cina forniva terre rare a prezzi scontati è destinata a terminare, perché il paese deve rafforzare il controllo su queste risorse preziose a causa dei rischi ambientali" legati alla loro estrazione.
La ricerca delle terre rare si è concentrata in Cina perché era più redditizia dati i bassi salari pagati ai minatori e perché per anni governi nazionale e locali hanno chiuso tutti e due gli occhi di fronte alle devastazioni ambientali causate da questa attività. Dalla provincia meridionale di Jiangxi alla Mongolia Interna, dove numerosi fiumi sono inquinati dalle sostanze chimiche utilizzate per trattare le terre rare, dove grandi miniere a cielo aperto con le loro polveri causano e diffondono malattie, dove sono stati misurati nei villaggi alti livelli di radioattività, quantità allarmanti di piombo nel sangue dei bambini, morti per tumore.
Per molti anni i capitalisti di Pechino sono ingrassati assicurandosi il monopolio del settore, arrivando a coprire fino al 97% del fabbisogno mondiale, cedendo le terre rare a prezzi talmente bassi da renderne meno conveniente l'estrazione altrove. I due terzi dei giacimenti mondiali delle terre rare si trovano tra Stati Uniti, Canada e Australia, paesi che hanno chiuso le miniere comprando la merce a prezzi stracciati dalla Cina, lasciandole l'onere dei costi umani ed ambientali.
Acquisito il controllo del mercato, la Cina ha ribaltato la strategia; accampando la scusa dei disastri ambientali fino ad allora ignorati ha iniziato nel 2009 a limitare le esportazioni e nel contempo ha visto lievitare i guadagni per l'aumento del prezzo di mercato dei preziosi metalli.
A una prima protesta di Usa e Ue al Wto nel luglio 2011, la Cina aveva risposto aumentando di poco le esportazioni. Una misura ritenuta insufficiente e che ha spinto Usa, Ue e Giappone a presentare la denuncia congiunta. Forti tra l'altro di una sentenza, sempre del Wto, che nel gennaio scorso ha dato torto alla Cina sul ricorso presentato nel 2009 da Usa, Ue e Messico contro il sistema della limitazione alle vendite di nove materie prime come bauxite, coke e zinco. Anche in quel caso Pechino aveva provato a difendere le limitazioni al proprio export con la necessità di ridurre i guasti ambientali. Motivazioni non accolte dal Wto che definiva la politica di Pechino come barriere incompatibili con le regole internazionali sul libero scambio. Una motivazione che ha aperto il ricorso anche per le terre rare e dato fiato a una nuova guerra commerciale.

28 marzo 2012