Grazie a Berlusconi e Veltroni
I capitalisti si pappano Alitalia
I contribuenti pagheranno i debiti della Compagnia di bandiera
3.250 "Esuberi" ufficiali. peggiorati i contratti di lavoro
Il governo del neoduce Berlusconi dopo varie peripezie è riuscito a svendere e a privatizzare l'Alitalia ai 16 grandi capitalisti (suoi amici e sodali, alcuni area PD) riuniti nella nuova Compagnia aerea italiana (Cai). Sul piano industriale e sui nuovi contratti di lavoro, prima c'è stata il 15 settembre la firma da parte della Cisl di Bonanni, della Uil di Angeletti e della Ugl (ex Cisnal) della Polverini. Poi, tra minacce di rottura delle trattative e di fallimento della società, il 25 settembre la firma della Cgil di Epifani. Infine hanno fatto seguito le adesioni dei sindacati dei piloti e degli assistenti di volo. Tra la proposta originaria di Cai e del governo sottoscritta da Cisl, Uil e Ugl e quella definita con la Cgil e gli altri sindacati autonomi vi sono delle modifiche tutto sommato modeste che non cambiano gli aspetti generali del piano
Le caratteristiche di fondo di questo piano di vendita e ristrutturazione rimangono le stesse. L'Alitalia viene divisa in due company: nella prima la parte sana che andrà in dote a Cai, nella seconda i debiti (1,7 miliardi di euro) da accollare ai contribuenti. La Compagnia di bandiera, ripulita dai debiti viene venduta per un tozzo di pane, 300 milioni circa ma il suo valore complessivo è di 4-5 miliardi di euro. Non per caso fa gola alle più grandi compagnie aeree europee. La nuova Alitalia sarà più piccola, avrà meno voli, meno aerei, non disporrà di un suo hub per le tratte internazionali e intercontinentali, sarà privata di cargo per il trasporto delle merci, meno personale. I dati ufficiali parlano di 3.250 esuberi ma i conti non tornano, in realtà la perdita di posti di lavoro sarà molto più alta. I nuovi contratti di lavoro per il personale di terra e per quello di volo (piloti e hostess) sono peggiori di quelli precedentemente attuati, prevedono aumenti di carichi di lavoro, più flessibilità, meno diritti, meno salario.
Se questa è nell'essenziale la realtà dei fatti davvero risultano incomprensibili i giudizi e le dichiarazioni di soddisfazione dei vertici sindacali ivi compreso Guglielmo Epifani che ha affermato: "Si è raggiunta un'intesa assolutamente positiva". Ma i lavoratori interessati non la pensano affatto così. Tra di loro serpeggia amarezza e rabbia che si è manifestata chiaramente allorché Cai, in assenza della firma di Cgil, aveva minacciato il suo ritiro, accolto con grida di giubilo, e nelle manifestazioni che hanno accompagnato la trattativa durata complessivamente 21 giorni.
Rivoltante la contesa dei meriti per aver "salvato" l'Alitalia tra il capo del governo Berlusconi e il capo dell'"opposizione" parlamentare, Veltroni. È merito mio, dice il primo; no è merito mio soggiunge il secondo. Calma, calma, il "merito" di questo "capolavoro" è in realtà di ambedue. Come è noto, al tempo del governo Prodi il neoduce si oppose alla vendita dell'Alitalia ad Air France-Klm che, detto per inciso, proponeva un piano di acquisto e rilancio della Compagnia di bandiera migliore di quello di Cai, meno costosa per i contribuenti, meno pesante in termini di tagli occupazionali, senza peggioramenti per quanto riguarda i contratti di lavoro. Purtuttavia si trattava sempre di una svendita e di una privatizzazione. Una volta salito a Palazzo Chigi Berlusconi ha prestato 300 milioni di euro ad Alitalia per andare avanti, ha organizzato, con l'aiuto di Banca Intesa, la cordata dei cosiddetti "capitani d'industria coraggiosi", ha varato un decreto legge per creare la new company da vendere e la bad company con dentro debiti da accollare allo Stato e ha messo su la trattativa a tre governo, Cai e sindacati per la sigla degli accordi.
Veltroni è intervenuto in un momento cruciale della trattativa che rischiava di fallire, contattando personalmente il presidente di Cai Colannino, il segretario della Cgil, Epifani, facendoli incontrare in casa sua in una "cena di lavoro" e informando di tutto il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta, e i segretari di Cisl e Uil. L'iniziativa del leader del PD ha contribuito al ritorno in pista di Cai, la ripresa delle trattative e infine la firma di Cgil degli accordi con l'aggiunta di un verbale contenente alcune integrazioni, preceduta da un'altra "cena di lavoro" tra Letta ed Epifani. Il neonazionalista e presidenzialista Veltroni, gonfiando il petto ha detto: "ho fatto quello che in questa situazione avrebbe fatto un leader anglosassone".
Ma i veri vincitori di questa partita sono i 16 soci di Cai i quali si pappano la nuova Alitalia per "tre soldi" ciascuno. Roberto Colaninno 100-150 milioni di euro; Gilberto Benetton 100-150 milioni; Gianluigi Aponte 100-150 milioni; Corrado Passera 100-150 milioni; Emilio Riva 100 milioni, Salvatori Ligresti 50 milioni; Salvatore Mancuso 50 milioni; Emma Marcegaglia 10-20 milioni; Marcellino Gavio 10-20 milioni; Maurizio Fossati 10-20 milioni; Jacopo Mazzei 50 milioni; Claudio Sposito 50 milioni, Marco Tronchetti Provera 10-20 milioni; Marco Maccagnani 10-20 milioni; Francesco Caltagirone 10-20 milioni; Carlo Tato, padrone di AirOne, 100 milioni.
Un affarone se si considera che nel 2007 Alitalia contava 186 aerei, ha trasportato oltre 26 milioni di passeggeri e più di 215 mila tonnellate di merci, ha fatturato, insieme ad AZ-servizi, 5.714.388.000 euro. Ma non è tutto. I soci di Cai, tutti industriali che per la maggior parte non hanno nulla a che fare con il settore di trasporto aereo, per aver aderito alla "cordata italiana" voluta da Berlusconi, dal governo otterranno varie contropartite in appalti pubblici, grandi opere, concessioni edilizie, gestione autostrade e altro, nel corso della legislatura.
Vediamo più nel dettaglio il piano firmato dai sindacati. L'investimento messo sul tavolo dai 16 industriali di Cai ammonta a un miliardo di euro. Questi si sono impegnati a non vendere le loro azioni prima di cinque anni dalla data di acquisto. Ma sono in molti a sostenere che non passeranno più di tre anni per vedere in fuga più d'uno di questi "capitani coraggiosi". Circa 12.500 tra piloti, hostess e personale di terra saranno riassorbiti dalla nuova società aerea. Altri 1.750, impegnati nei cargo e nella manutenzione, dovrebbero essere riassunti in società esterne. 3.250 sono gli "esuberi" che andranno in cassa integrazione e in mobilità. 137 le destinazioni di cui 55 domestiche, 64 internazionali e 18 intercontinentali. 6 gli scali base (Malpensa, Fiumicino, Napoli, Catania, Venezia, Torino). 158 gli aerei. 4,8 miliardi di euro il fatturato annuo messo in bilancio.
Sul piano occupazionale i dati forniti non tornano, il taglio di posti di lavoro, come detto, è più pesante di quello indicato. Mancano nel conteggio diverse migliaia di lavoratori impegnati da anni in Alitalia sia pure con contratto a tempo determinato di volta in volta rinnovato. L'accordo prevede di creare un bacino di precari dove per i prossimi tre anni Cai può attingere sino a 1.000 lavoratori che negli ultimi 36 mesi hanno lavorato in Alitalia e AirOne con contratto a tempo determinato. Ma è solo una possibilità, diluita nel tempo nient'affatto certa, oltretutto parziale e insufficiente.
I nuovi contratti stipulati separatamente per personale di terra, piloti e assistenti di volo, con validità triennale, risultano un pochino meno pesanti di quelli proposti inizialmente da Cai. Non mancano certo peggioramenti sostanziali normativi e salariali. "È un momento di dolore - ha detto dopo la firma degli accordi il presidente dell'Avia, Antonio Divietri - non c'è nulla da esultare: un collega su tre (di assistenti di volo, ndr) va a casa. E centinaia di colleghi saranno costretti a cambiare città per lavorare". "Vanno considerati immotivati - ha aggiunto il coordinatore di SdL, Fabrizio Tomaselli - gli entusiasmi e i trionfalismi degli ultimi giorni".
Berlusconi continua a sostenere che nella nuova Compagnia aerea è stata salvaguardata l'italianità: "Alitalia resta italiana". In realtà è già iniziata la trattativa per la vendita di un corposo pacchetto di azioni (dal 20 al 49%) a un vettore europeo, in primis a Air France o a Lufthansa o a tutte e due insieme. Appena una di queste avrà messo piede in Cai non ci metterà molto a prenderne il totale controllo con buona pace del nuovo Mussolini.
Col ricatto del fallimento strombazzato a reti unificate da governo, industriali e vertici sindacali si è cercato e si cerca di far inghiottire ogni sorta di rospo. Non è vero che non c'era alternativa al di fuori dell'operazione Cai. Per noi Alitalia doveva rimanere un'azienda unita e pubblica, andava risanata e rilanciata nell'ambito di un nuovo programma nazionale dei trasporti; come d'altronde hanno fatto negli anni passati la Francia e la Germania. Andavano salvaguardati i posti di lavoro e le condizioni contrattuali più vantaggiose. In ogni caso ai lavoratori interessati deve essere dato il diritto di esprimersi e di decidere sugli accordi sottoscritti, con assemblee e referendum.

1 ottobre 2008