ICI: tartassati i più poveri, favoriti i grandi proprietari e la chiesa

La reintroduzione dell'Ici sulla prima casa, prevista con la nuova Imposta municipale propria sugli immobili (Imp) inserita nel decreto di Monti, è una stangata micidiale a carico soprattutto delle famiglie più povere, seconda per durezza e iniquità solo all'odiosa manovra sulle pensioni. Dei 20 miliardi di nuove tasse previste dalla manovra, ben 11 (di cui solo 2 sono destinati ai comuni) provengono dalla nuova tassa immobiliare introdotta anticipando di due anni, cioè al 2012, l'Imposta municipale unica (Imu) prevista dai decreti attuativi del federalismo fiscale. E di questi poco meno di un terzo, 3,8 miliardi, proverranno dalla ritassazione delle prime case, che era stata abolita nel 2007 dal governo Prodi per i redditi più bassi e successivamente abolita del tutto nel 2008, anche per i redditi medi e alti, dal governo Berlusconi.
Si tratta di una platea di contribuenti enorme, dal momento che si calcola che il 66% delle abitazioni esistenti nel Paese siano censite come prima abitazione, per un totale di 20 milioni di immobili. Lo stesso presidente dell'Istat, Giovannini, riferendo davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha avvertito che circa 1,6 milioni di queste famiglie, che erano già a rischio povertà prima della manovra, rischiano adesso un vero e proprio "default domestico", cioè il fallimento, per l'effetto combinato della reintroduzione dell'Ici sotto forma di Imp e dei tagli alle pensioni. E questo nonostante e anzi proprio perché risultano proprietarie di una casa e al tempo stesso hanno come fonte di reddito principale la pensione o trasferimenti pubblici.

Il meccanismo della nuova tassa sugli immobili
Il meccanismo infernale della nuova tassa agisce su due fronti: quello delle aliquote fiscali e quello della base imponibile su cui vengono applicate. Quest'ultima è costituita dalle rendite catastali, rivalutate per quanto riguarda le case di abitazione del 60% (oltre il 5% già applicato dal 1997), cioè moltiplicate per 160. Al valore così ottenuto viene applicata un'aliquota base dello 0,76%, con la possibilità per i comuni di aumentarla o diminuirla di uno 0,3% solo per le prime case è prevista un' "aliquota agevolata" dello 0,4%, con facoltà dei comuni di manovrare di uno 0,2% in più o in meno. È concessa inoltre una detrazione per tutte le prime abitazioni di 200 euro dall'imposta, che i comuni possono eventualmente aumentare ma senza poter recuperare il minor gettito dalle altre case non di prima abitazione (seconde e terze case, ecc.). Date le drammatiche situazioni in cui versano le casse della maggior parte dei comuni, però, è facile immaginare che quasi tutti tenderanno ad applicare le aliquote massime e il minimo della detrazione per la prima casa. Si è parlato, è vero, tra le ipotesi di emendamenti alla manovra all'esame dei gruppi parlamentari, di aumentare la detrazione sulla prima casa modulandola sul reddito e sul numero dei componenti della famiglia, ma Monti ha già fatto capire, anche con la sordità dimostrata nell'incontro coi sindacati, che non intende rinunciare a un così comodo e potente balzello per fare subito cassa, e che con tutta probabilità metterà il voto di fiducia per approvare la manovra così com'è o quasi, spronato anche dal vertice di Confindustria che chiede di approvarla "subito e senza stravolgimenti".

Prelievo forzoso da pensionati e lavoratori
L'imposta sulla prima casa funziona quindi come un prelievo forzoso per fare cassa direttamente dalle tasche dei pensionati e dei lavoratori, che in questi decenni di liberismo sfrenato e di affitti pochi e alle stelle, prima sono stati costretti a indebitarsi per comprare la casa, e poi sono diventati limoni da spremere con le tasse sulle abitazioni costate loro anni di sacrifici e di rinunce. Ma di odioso e di iniquo in questa tassa non c'è solo il prelievo diretto sulla casa di abitazione. C'è anche quello indiretto che ricadrà sugli affitti, per via dell'abolizione dello sconto del 50% dell'aliquota Ici di cui godevano finora le case date in affitto, il cui maggior costo (fino al 300%, si calcola) sarà scaricato sicuramente sugli affittuari. Nonché quello che ricadrà sui consumi e sui servizi, per via della maggiore tassazione di negozi e botteghe, uffici, laboratori, magazzini e così via.
E non solo non c'è alcuna progressività dell'imposta in base al reddito e al numero di immobili posseduti, ma c'è addirittura la beffa che con la nuova Ici i proprietari di seconde case con redditi più alti pagheranno un'imposta minore di quella che pagavano finora: infatti, poiché l'Imp-Imu assorbirà anche le componenti immobiliari dell'Irpef e delle addizionali comunali e regionali, i redditi al di sopra dei 100 mila euro annui avranno nel complesso una riduzione d'imposta, con un effetto progressivo alla rovescia al crescere del reddito stesso. Altro che "Ici come forma già di patrimoniale", come ha avuto la faccia tosta di presentarla il governo!
L'iniquità di questa imposta risalta anche nella rivalutazione "secca" e non ponderata delle rendite catastali, che non tengono conto della superficie effettiva delle abitazioni ma solo del numero di vani; né del mancato aggiornamento degli estimi catastali, per cui moltissime abitazioni censite come economiche (A3) o addirittura popolari (A4) sono state invece ricomprate e ristrutturate magari a signorile (A1). E quindi anche questo meccanismo funziona come una patrimoniale alla rovescia, favorendo i più ricchi e gli evasori fiscali. Si pensi per esempio, per paradosso estremo, a un grande loft ristrutturato lusso ma censito ancora come monolocale economico o popolare, e ad un piccolo appartamento, stessa categoria, ma diviso in 4-5 vani come lo sono di norma quelli di edilizia popolare (ex INA, GESCAL, ecc.): il primo pagherà un'imposta molto più bassa del secondo.

Iniquità delle rivalutazioni catastali
Un'altra grave componente di iniquità insita nel meccanismo di questa tassa è rappresentata dai coefficienti di rivalutazione, che non sono uguali per tutte le tipologie e le destinazioni degli immobili. Il coefficiente massimo, 60%, vale solo per gli immobili del gruppo A: abitazioni (dalle più infime ai castelli), passando per uffici e studi privati, case rurali, ecc. Ma ci sono per esempio gli immobili del gruppo B, che comprendono anche collegi e convitti, educandati, ricoveri, cappelle ed oratori non destinati all'esercizio pubblico del culto; nonché altri immobili del gruppo C per attività "senza fini di lucro", come locali sportivi e stabilimenti balneari e di acque curative, che sono rimasti fermi alla rivalutazione del 40% applicata nel 2006 (coefficiente 140). Tra questi molti sono di proprietà della chiesa e possono facilmente dissimulare attività commerciali in piena regola, beneficiando oltretutto di uno sconto del 20% rispetto ad altri.
Di uno sconto ancor più incomprensibile e scandaloso, di ben il 40%, beneficiano poi gli immobili del gruppo D, il cui coefficiente di rivalutazione passa da 50 a 60, vale a dire un aumento solo del 20%. Tra questi vi sono per esempio alberghi, pensioni, residence, case di cura e ospedali (con fini di lucro), fabbricati per uso sportivo (con fini di lucro), "edifici galleggianti" (vedi ad es. pontili per imbarcazioni), fabbricati "per speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni" (vedi ad es. supermercati, stabilimenti balneari con fini di lucro, porti turistici ecc.), nonché, udite udite, immobili (D5) adibiti a "istituto di credito, cambio e assicurazione (con fine di lucro)". Banche e assicurazioni sono stati quindi, guarda caso, trattati in guanti bianchi dal finanziere Monti e dal banchiere Passera.

Lo scandalo dell'esenzione Ici alla chiesa
Infine in questa tassa c'è lo scandalo nello scandalo che riguarda specificamente la chiesa, che oltre allo sconto sulla rivalutazione delle rendite catastali sugli immobili per i quali paga l'Ici, di cui abbiamo già detto, gode anche di una speciale esenzione dell'intera imposta su tutti gli immobili di sua proprietà che non siano "esclusivamente" adibiti ad attività commerciale. Una formulazione ambigua che consente di spacciare come attività benefiche e caritatevoli edifici e strutture che invece sono usati per scopi di lucro come alberghi, cliniche e scuole private, case di riposo e così via. O quantomeno consente di confondere le acque e rendere difficili gli accertamenti da parte dei comuni, che difatti hanno in corso centinaia di contenziosi legali con la chiesa cattolica per esenzioni Ici indebitamente rivendicate.
Questo scandaloso privilegio era stata regalato alla chiesa dal governo Berlusconi nel 2005, attraverso l'esenzione dall'Ici per tutti gli immobili degli enti no-profit, indipendentemente dal loro utilizzo. L'apertura di un'indagine della UE per sospetto di legge lesiva della concorrenza, e più ancora l'indignazione dell'opinione pubblica, avevano costretto poi il governo Prodi ad una restrizione di tale privilegio, ma con la scappatoia dell'esenzione limitata agli edifici "che non hanno esclusivamente natura commerciale". Ed è proprio attaccandosi a questa ambiguità che il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), Bagnasco, per rompere il silenzio imbarazzato della chiesa di fronte alle crescenti proteste popolari per essere stata risparmiata anche dalla manovra di Monti, ha rinviato la palla ai comuni dichiarando che "se vi sono dei casi concreti nei quali un tributo dovuto non è stato pagato, che l'abuso sia accertato e abbia fine". Anche se poi ha dovuto fare un'apertura a denti stretti ad "eventuali approfondimenti" riguardo a tutta la normativa dell'esenzione per gli enti no-profit. Cioè alle classiche calende greche, come ha confermato anche il segretario di Stato vaticano, Bertone, per il quale quello dell'Ici è tuttalpiù "un problema da studiare e da approfondire".
Ma a quanto ammonta il patrimonio immobiliare della chiesa e quanto potrebbe ricavare in più lo Stato se su esso fosse applicata la nuova Ici-Imp escludendo solo gli immobili realmente destinati ad opere no-profit? Di sicuro si tratta di un patrimonio sterminato, stimato in 115 mila immobili, quasi 9 mila scuole e oltre 4 mila tra ospedali e centri sanitari. Solo a Roma il Vaticano controlla qualcosa come 23 mila unità tra terreni e fabbicati. Il solo patrimonio di Propaganda fide, l'istituto finito nelle inchieste su corruzione e appalti illeciti, ammonta a ben 9 miliardi. Un patrimonio che se adeguatamente tassato potrebbe fruttare secondo le varie stime da svariate centinaia di milioni a un paio di miliardi, discrepanza che tiene conto appunto della difficoltà di accertare l'effettiva destinazione degli immobili, ma che comunque potrebbe compensare almeno in parte l'esenzione totale dalla nuova Ici per le famiglie di lavoratori e pensionati.
Ma il tecnocrate borghese Monti, sordo a ogni richiamo, tace e tira dritto verso la fiducia alla manovra così com'è. Sulla questione di far pagare l'Ici alla chiesa vale ancora la risposta sprezzante che ha dato ai giornalisti subito dopo il Consiglio dei ministri: "È una questione che non ci siamo posti".

14 dicembre 2011