I giudici del Riesame di Taranto accusano la proprietà del siderurgico di averlo inquinato "con coscienza e volontà". "La chiusura solo una possibilità"
Tutelare salute, lavoro e ambiente con l'Ilva aperta
Lavoratori e sindacati tarantini devono unirsi. Riva: "io e Vendola vendiamo fumo"
Lo stabilimento va nazionalizzato senza indennizzo
 
Il gip (giudice per le indagini preliminari) Patrizia Todisco era stata "aggredita" e ricoperta di insulti dalla proprietà dell'Ilva di Taranto, dal governo Monti, dalla stampa di regime e dai sindacati collaborazionisti CISL e UIL che contro di lei avevano organizzato addirittura uno sciopero filopadronale. Ma le sue conclusioni emesse il 27 luglio scorso che parlavano di disastro ambientare doloso e colposo, getto di sversamento pericoloso di cose, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici; che accusavano il gruppo Riva di aver continuato a inquinare "con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza" e decideva gli arresti domiciliari per i massimi vertici dello stabilimento tarantino e il sequestro senza licenza d'uso di sei reparti dell'area a caldo dell'acciaieria, affinché fossero messi a norma sono state confermate quasi totalmente dal Tribunale del riesame nella sentenza del 7 agosto.
Ciò è evidenziato con chiarezza nelle motivazioni composte di 124 pagine di detta sentenza scritte 15 giorni dopo dai giudici Antonio Morelli, Rita Romano e Benedetto Ruberto. Dalle quali emerge un vero atto d'accusa nei confronti del vertice del più grande centro siderurgico europeo e in particolare dei proprietari Riva che hanno operato "con azioni ed omissioni aventi una elevata potenzialità distruttiva dell'ambiente" compiute, sostengono i giudici, con "una reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà" per scelta della proprietà che ha "continuato a produrre nell'inosservanza delle norme di sicurezza dettate dalla legge". Pur sapendo "che le sostanze nocive originate dall'Ilva, costituiscono un pericolo per la popolazione delle aree urbane circostanti lo stabilimento". I Riva già al momento del loro arrivo alla guida dell'acciaieria erano a conoscenza dei livelli di inquinamento prodotti. "Le emissioni nocive - scrivono i giudici del Riesame - che scaturivano dagli impianti, risultate immediatamente evidenti sin dall'insediamento dell'attuale gruppo dirigente dello stabilimento Ilva di Taranto avvenuto nel 1995 sono proseguite successivamente" nonostante una condanna definitiva per motivi ambientali. Anche perché gli impegni assunti nel tempo per migliorare le prestazioni ambientali non sono mai stati mantenuti.

Confermate le disposizioni del gip Todisco
Accanto a questo motivato atto di accusa, il Riesame ha confermato anche il decreto di sequestro disposto dal gip Todisco, per i reparti dell'area a caldo, contro il quale si era innalzata una canea, "funzionale alla interruzione delle attività inquinanti" in presenza della "grave e attualissima emergenza ambientale e sanitaria" per nulla bloccata né attenuata. L'obiettivo però, è stato chiarito, non è certo quello di chiudere lo stabilimento con le inevitabili conseguenze sul piano occupazionale, un'eventualità mai accennata sia dalla procura che porta avanti le indagini sia dal gip, ma il raggiungimento nel più breve tempo possibile, del risanamento ambientale e l'interruzione delle attività inquinanti. Una cosa fattibile a giudizio dei periti incaricati dalla procura i quali "hanno individuato la possibilità che l'impianto siderurgico possa funzionare ove siano attuate determinate misure tecniche che abbiano lo scopo di eliminare ogni situazione di pericolo per i lavoratori e per la cittadinanza".
Non è compito della magistratura stabilire se e come occorra intervenire nel ciclo produttivo, è chiarito ulteriormente, o semplicemente, se occorra fermare gli impianti. Questa decisione " dovrà essere assunta - si legge nelle motivazioni - alla base delle risoluzioni tecniche dei custodi amministratori" (tra cui vi è stranamente Bruno Ferrante, presidente legale del Cda dell'Ilva) e "vagliate dalle autorità giudiziarie". In ogni caso gli interventi per eliminare le emissioni inquinanti illegali sono necessari e improcrastinabili per risanare l'ambiente e garantire la ripresa della produzione dello stabilimento la quale "ove il gestore non provveda ai dovuti adeguamenti sarebbe irrimediabilmente compromessa" visto che a quel punto le autorità competenti potrebbero arrivare, come previsto dall'Aia (Autorizzazione integrata ambientale), dalla normativa 152/2006, alla "revoca dell'autorizzazione e alla chiusura dell'impianto".
Un'eventualità, questa, che deve essere assolutamente scongiurata. È possibile, deve essere possibile mettere a norma gli impianti dell'acciaieria attraverso moderni adeguamenti tecnologici, come hanno fatto ad esempio in Germania, in modo da ridurre le emissioni inquinanti entro i limiti fissati in sede europea, coprire gli immensi parchi di depositi ferrosi e di carbone, come hanno fatto ad esempio nella Corea del Sud in modo da impedire l'ammorbamento dell'aria con quantità letali di poveri sottili, specie nelle giornate ventose; è possibile, deve essere possibile risanare l'ambiente tarantino, in particolare i quartieri adiacenti all'Ilva, Tamburi e Borgo, dai guasti prodotti dall'inquinamento con interventi specifici adeguati; deve essere possibile mettere in campo un piano complessivo che tuteli contemporaneamente la salute, il lavoro e l'ambiente. Nessuno scambio può essere accettato tra salute e occupazione!

Non sarà una battaglia facile
Non ha senso, è sbagliato prendersela con la magistratura la quale, almeno questa volta, ha fatto il suo dovere contribuendo non poco a puntare l'attenzione sul caso Ilva e sul disastro ambientale e sanitario da essa causato; rilevando la necessità di atti urgenti e adeguati per fronteggiare tale situazione. Tuttavia non sarà affatto facile percorrere questa soluzione avendo consapevolezza chi sono i Riva e come hanno operato sin qui: mettendo il profitto privato sopra ogni altra cosa, la salute dei lavoratori e della popolazione tarantina, bambini compresi tra le principali vittime di questo agire criminoso; ignorando coscientemente i livelli di inquinamento ben oltre i limiti leciti prodotti dal suo stabilimento; nascondendo e dissimulando questa realtà anche grazie alla disinformazione attuata da giornalisti asserviti; corrompendo coloro che, per dovere istituzionale, dovevano vigilare sugli impianti e sulle emissioni dell'Ilva, ultimo caso recente una mazzetta di 10 mila euro elargita da Arcaina, uomo Ilva, al perito incaricato dalla procura di Taranto, Lorenzo Liberti; non rispettando nessuno degli accordi, ancorché parziali e insufficienti, presi con comune e regione e con i sindacati, accordi fasulli per ingannare lavoratori e popolazione; agitando il ricatto occupazionale, alla Marchionne per intendersi, chiudo tutto, licenzio tutti e porto la produzione all'estero. I Riva che tre lustri fa rilevarono lo stabilimento tarantino, allora di proprietà pubblica e chiamato Italsider, per un tozzo di pane, hanno potuto fare quello che hanno voluto con l'oggettiva complicità dei governi che si sono succeduti, in specie gli ultimi due, quello di Berlusconi e quello in carica del tecnocrate liberista borghese Monti che hanno chiuso occhi, orecchie e bocca davanti allo scempio che si compieva per causa dell'Ilva. Complice anche la giunta regionale della Puglia con alla testa Vendola che ha sempre badato più alla forma che alla sostanza, ai pezzi di carta firmati senza verificare le conseguenze pratiche. Tanto da far dire al patron dell'Ilva, Emilio Riva: "Io e Vendola vendiamo fumo". Complici i sindacati collaborazionisti CISL e UIL "culo e camicia" con la dirigenza aziendale; la stessa FIOM ha dormito a lungo, non si è dimostrata all'altezza della situazione.

Una goccia nel mare
Sono passati circa 40 giorni dalle ordinanze emesse dal gip Todisco e non si è ancora mosso quasi nulla. L'acciaieria continua a produrre e a inquinare come prima. Nessun intervento è stato messo in atto. È vero, il governo ha stanziato 336 milioni di euro da utilizzare per bonificare l'ambiente e altri 146 milioni (per essere esatti 56 milioni oltre ai 90 già stanziati) li ha promessi il presidente dell'Ilva Ferrante nel corso di un incontro con i ministri Clini e Passera. Ma sono una goccia nel mare rispetto a quanto necessita. E allo stato attuale, al di là delle dichiarazioni di circostanza, volutamente vaghe e fumose, i Riva non sembrano intenzionati a metterci tanto di più. Hanno fatto già sapere, per dirne una, che non sono disponibili a sostenere le spese per coprire i parchi, uno degli interventi più importanti richiesti dagli esperti.
Sarebbe illusorio e perdente lasciare la soluzione della vicenda nelle sole mani della magistratura. Occorre un movimento di lotta di massa che si faccia sentire nei confronti del governo e delle altre istituzioni coinvolte, ed eserciti la pressione sociale sul vertice dell'Ilva affinché si assuma tutte le sue responsabilità, anche dal lato finanziario, oltreché penali, e attui tutte le necessarie misure sugli impianti e sull'ambiente. Occorre una grande unità tra lavoratori, sindacati e masse popolari di Taranto e non solo per condurre e portare positivamente a conclusione una vertenza che tuteli insieme salute, lavoro e ambiente. Senza mobilitazione popolare, politica e sindacale, senza muovere la piazza utilizzando i metodi di lotta anche duri difficilmente sarà possibile ottenere risultati positivi e duraturi senza i quali la chiusura della fabbrica può diventare un epilogo concreto.

L'esproprio è la soluzione migliore
Se si vuole evitare questo, se si vuole impedire ai Riva di delocalizzare all'estero, privando il nostro Paese di un settore strategico come quello della produzione dell'acciaio e similari, se si vogliono ottenere gli obiettivi sopra richiamati la migliore soluzione, se non l'unica, appare la nazionalizzazione dell'Ilva senza indennizzo. Esiste persino un articolo della Costituzione, il 43, che giuridicamente permette di farlo. Là dove recita che: "Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione, salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale". A proposito dell'indennizzo, potrebbe bastare un euro. È una richiesta, quella della nazionalizzazione dell'Ilva, che si sta facendo strada. Vedi l'intervento dell'ambientalista Gianfranco Amendola sul Corriere della Sera, dove chiede "che il governo espropri l'Iva, faccia un decreto legge, nomini un commissario con pieni poteri" per gestire il piano di risanamento ambientale e ammodernamento degli impianti.

5 settembre 2012