Perché ha denunciato a Rai3 amicizie di Schifani con mafiosi
Vogliono imbavagliare Travaglio
PDL e PD uniti contro il giornalista

Siamo nella trasmissione televisiva "Che tempo che fa" del 10 maggio scorso. Interviene Marco Travaglio: "È molto istruttivo quando vengono elette le alte cariche dello Stato perché i giornali pubblicano tutti i nomi dei personaggi che hanno ricoperto quella carica nella storia repubblicana e uno si rende conto che una volta avevamo De Gasperi, Einaudi, De Nicola, Merzagora, Parri, Pertini, Nenni... chessò possiamo fare una lunga lista, cioè uno vede tutta la trafila poi arriva e vede Schifani: c'è un elemento di originalità. La seconda carica dello Stato: Schifani! Mi domando chi sarà quello dopo... in questa parabola a precipizio, cioè dopo c'è solo la muffa probabilmente... il lombrico come forme di vita".
Fazio: "Marco! Marco... ha ragione Sgarbi, io guarda... questa mania di dissociarsi... mi tocca dissociarmi sempre da te, non sono d'accordo su niente".
Travaglio: "beh! almeno dalla muffa si ricava la penicillina... La gerarchia (delle notizie) la decidono i politici, intanto perché comandano sulla televisione, adesso stanno cercando di fare fuori 'Annozero' mettendo insieme il Consiglio di vigilanza, Consiglio di amministrazione e Autority, sono tre organismi politici che tappano la libertà di informazione, i giornalisti lo sanno di avere sopra quei tre organismi e lì si regolano di conseguenza. La notizia quando diventa tale? Quando i politici cominciano a parlare di quella notizia, l'Ansa dirama 40 esternazioni dei politici: quella diventa una notizia. Il giorno dopo (i giornali) avranno lo spazio proporzionale alle esternazioni dei politici. Noi (giornalisti) abbiamo delle responsabilità gravissime in un sistema che premia coloro che si mettono al servizio dei politici... È chiaro che se il clima politico induce ad una distensione tra l'opposizione e la nuova maggioranza... Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi? Io non scrivo che Schifani ha avuto delle amicizie con mafiosi perché non lo vuole né la destra né la sinistra! Ma io che c'entro con la destra o con la sinistra? Loro che prendano le posizioni politiche che vogliono, ma io devo fare il giornalista: io devo raccontarlo.
E invece noi (giornalisti) purtroppo andiamo a rimorchio del clima politico, se ci fosse scontro qualcuno dice... vabbè alla sinistra fa comodo e allora la dico (la notizia) oggi che nemmeno la sinistra vuol sentire parlare di queste cose, non ne parla più nessuno. È un dramma".
Non accenna a placarsi l'ondata di intimidazioni e minacce contro il giornalista Marco Travaglio, al centro di una vergognosa persecuzione di stampo neofascista tesa a screditarlo sul piano professionale e morale partita all'indomani della suddetta trasmissione televisiva condotta da Fabio Fazio, in cui il giornalista è stato ospite e reo di aver ricordato all'opinione pubblica che l'avvocato civilista Renato Schifani, attuale presidente del Senato ebbe contatti con esponenti mafiosi. Travaglio non ha né diffamato né calunniato il presidente del Senato, non ha nemmeno insinuato o voluto accreditare la tesi che Schifani fosse mafioso, ha esercitato legittimamente una critica sulla base di fatti e dichiarazioni già accertati dalla magistratura che tuttavia dovrebbero far riflettere a lungo.
"Almeno in tribunale - dice Travaglio - si bada ai fatti e le chiacchiere stanno a zero: o hai detto il vero o hai detto il falso. Io sono certo di avere detto il vero, e tra l'altro solo una minima parte. Oltretutto c'è già un precedente specifico: quando, per primo, Marco Lillo rivelò queste cose sull'Espresso nel 2002, Schifani lo denunciò. Ma la denuncia venne archiviata nel 2007 perché - scrive il giudice - 'l'articolo si presenta sostanzialmente veritiero'".
Schifani, scrive Travaglio nel suo blog, "non è omonimo di colui che insultò Rita Borsellino e Maria Falcone ('fanno uso politico del loro cognome') perché erano insorte quando Berlusconi definì i magistrati 'disturbati mentali, antropologicamente estranei al resto della razza umana': è proprio lui. Non è omonimo dell'autore del lodo incostituzionale che nel 2003 regalò l'impunità alle 5 alte cariche dello Stato, soprattutto a una, cioè a Berlusconi. La sua elezione è stata salutata da un'ovazione bipartisan, da destra a sinistra. Molto apprezzati il suo elogio a Falcone e Borsellino e la sua dichiarazione di guerra alla mafia. Certo, se uno evitasse di mettersi in affari con gente di mafia, la lotta alla mafia riuscirebbe meglio". Già, perché Schifani inizia la sua carriera come socio di quello che poi sarà giudicato un boss mafioso (Mandalà) e di un imprenditore condannato per concorso esterno (Benny D'Agostino) insieme a Enrico La Loggia di cui lo stesso Mandalà intercettato fa proprio un bel quadretto di famiglia ("Enrico tu sai da dove vengo e che cosa ero con tuo padre... io sono mafioso come tuo padre...") e che fece piangere lo stesso La Loggia quando minacciò di dirlo pubblicamente. Questi signori facevano parte della pubblica amministrazione di un comune sciolto per mafia, Schifani al tempo (fine anni '70) fu raccomandato per il ruolo di tecnico esperto dello stesso comune da un sindaco in odore di mafia. È pur vero che la mafiosità di Mandalà è stata giudizialmente accertata parecchi anni dopo l'inizio dei rapporti con Schifani, ma nulla toglie all'opinione pubblica di giudicare certi comportamenti, fatti e relazioni pericolose sotto il profilo politico-morale al di fuori di quello penale.
La vicenda Schifani è stata accennata in tv da Travaglio solo per fare un esempio di come i media di regime filtrano le informazioni giudicate inadatte al clima politico. Il contesto e l'approfondimento non cambierebbero di una virgola la legittima preoccupazione che ogni persona onesta dovrebbe avere rispetto a un presidente del Senato con un simile passato. E invece, ancora una volta si demonizza il dito per occultare la luna: si chiedono spiegazioni non a Schifani ma a Travaglio. Com'era prevedibile le reazioni dei politicanti di regime straripano abbondantemente dai gangheri della dialettica: il caporione di viale Mazzini, direttore generale della Rai Claudio Cappon, gonfia il petto per bollare l'episodio come "deprecabile" e "inescusabile" poi sentenzia: "ancora una volta il servizio pubblico della Rai viene messo a disposizione, senza contraddittorio, dalla condotta diffamatoria di Travaglio (sic!). Le offese al presidente Schifani troveranno la giusta risposta nelle sedi giudiziarie". A parte il fatto che non specifica quali sarebbero le offese, sulla questione del contraddittorio è come chiedere la versione del rapinatore ogni volta che il giornalista riporta la cronaca di una rapina. A dare manforte a Cappon ci pensa il direttore di Rai tre Paolo Ruffini, che stigmatizza le dichiarazioni di Travaglio "gratuitamente offensive nei confronti della seconda carica dello Stato". Per Gasparri "Travaglio trae conclusioni arbitrarie" e bolla Fazio come "megafono della calunnia", lo stesso Fazio, impaurito, il giorno dopo chiederà umilmente scusa per l'accaduto.
Schifani entra in causa solo per dire che "qualcuno probabilmente vuol minare il clima di dialogo e di confronto costruttivo che ha caratterizzato questo inizio di legislatura" mentre preferisce tacere sui fatti di quel passato sconsiderato. Poi minaccia: "Se c'è qualcuno che deve pagare dei prezzi, lo pagherà" e viene presto fiancheggiato da Altero Matteoli, ministro Infrastrutture e Trasporti, che s'affretta a definire quella di Travaglio "una vergognosa imboscata".
Nell'orgia di regime anti-Travaglio si unisce anche Anna Finocchiaro del PD che vaneggia: "Trovo inaccettabile che possano essere lanciate accuse così gravi, come quella di collusione mafiosa".
Sommerso dalle accuse bipartisan Travaglio sbotta: "I fascistelli di destra, di sinistra (sic!) e di centro che mi attaccano, ancora non hanno detto che cosa c'era di falso in quello che ho detto". Nel frattempo Schifani lo querela. La cosiddetta Autorità garante per le Telecomunicazioni, che richiama alla memoria i tribunali fascisti, ha aperto un'istruttoria. Il direttore generale della Rai Claudio Cappon, invece di pensare a ben altre faccende, manda a dire a Travaglio che "non può più sbagliare, altrimenti è fuori". Oggettivamente infondate, becere, maligne, false e strumentali sono tutta una serie di insinuazioni e delazioni piovute nel giro di pochi giorni e a fuoco incrociato contro la persona di Travaglio da mezzo mondo politico parlamentare, rivomitate ad arte sui giornali e telegiornali di regime, riprese poi da centinaia di forum su internet che hanno abboccato all'amo di un falso scoop di Giuseppe D'Avanzo vicedirettore de "La Repubblica" che avrebbe voluto vedere Travaglio immischiato in questioni di mafia sulla base inconsistente di una intercettazione del 2002 in cui Travaglio domanda cuscini e stoviglie al maresciallo dell'antimafia Giuseppe Ciuro (in seguito condannato come informatore di Cosa nostra) e a cui Travaglio inconsapevolmente si era rivolto per trovare un residence nella regione siciliana.
È in un clima così avvelenato che si perde di vista, ancora una volta, il nocciolo della questione per lasciare così campo libero alla violenta reazione di tutte le cosche parlamentari che hanno temporaneamente messo da parte le loro microscopiche divergenze per concentrare tutti i loro sforzi contro chi fa informazione. Altrettanto ignobili e nauseabonde sono le lezioni di giornalismo impartite a Travaglio dai peggiori pennivendoli e leccapiedi berlusconiani, a partire da quel Polito che implora l'ex neopodestà di Roma, Veltroni, di "scrollarsi finalmente di dosso la banda dei quattro, Di Pietro, Grillo, Travaglio e Santoro".
Per Travaglio "l'Authority sanzionerà 'Che tempo che fa' per avermi dato la possibilità di dire ciò che è vero. La Rai mi potrà denunciare e poi stabilirà che io non potrò più collaborare con 'Annozero' e così si sono tolti i problemi". Ed è proprio al programma di Santoro che fino a pochi giorni prima Travaglio si è dovuto sorbire gli insulti di un tracotante Vittorio Sgarbi che ogni due secondi gli abbaiava addosso "sei un pezzo di merda!", senza che la Rai aprisse un procedimento contro Sgarbi per le "offese gratuite" e le ingiurie più che reali contro Travaglio.
Di recente il giornalista ha perso una causa civile, da svariate migliaia di euro, solo per aver usato la parola Mediaset al posto di Fininvest in uno dei suoi brucianti articoli.
È il segno evidente che siamo in pieno regime neofascista e il governo, sia esso in mano alla destra o alla "sinistra" borghese, non tollera più nessuna sbavatura e vuole mettere a tacere tutti quei magistrati e giornalisti, quantunque allineati su posizioni democratico-borghesi come Travaglio, che osano mettere sotto accusa o criticare il governo e le istituzioni in camicia nera. Si tratta di attacchi inaccettabili da qualsiasi punto di vista, che mirano a imbavagliare definitivamente la stampa e la magistratura per nascondere all'opinione pubblica il malaffare e la corruzione che regnano sovrani a tutti i livelli nelle istituzioni di questo marcio sistema capitalista.
Naturalmente non può mancare la solidarietà de "Il Bolscevico" a Travaglio ingiustamente attaccato, intimidito e calunniato.

21 maggio 2008