Imperialisti fermatevi. No a qualsiasi intervento militare in Libia
Battaglia nelle città di Ras Lanouf e Zawiya
 

Il presidente americano Barack Obama ha dichiarato il 3 marzo che gli Usa sono pronti a qualsiasi iniziativa per intervenire in Libia, dai voli civili e militari già messi in pratica per trasportare in patria i profughi egiziani riparati in Tunisia alla possibilità di imporre una no fly zone, una zona di interdizione al volo per gli aerei militari libici un intervento che trova concordi Francia, Gran Bretagna e anche l'Italia. Ha sottolineato che varie ipotesi militari sono allo studio della Nato che potrebbe essere il braccio armato per l'invocata "missione umanitaria", del tipo di quella attuata a suo tempo sull'Iraq da Bush, allo scopo di impedire la reazione violenta del regime di Tripoli contro i civili nelle zone insorte.
Una posizione inaccettabile. I paesi imperialisti si devono fermare, non devono assolutamente mettere il naso nelle questioni interne della Libia, a cominciare da un intervento militare di qualsiasi tipo. Il loro scopo non sarebbe quello di proteggere la popolazione dagli attacchi dell'aviazione governativa ma quello di mettere il cappello sulla rivolta per la libertà scoppiata il 17 febbraio, assicurarsi la fine del regime di Gheddafi e successivamente il controllo dei ricchi giacimenti libici.
Che non si tratti di una azione "umanitaria" lo ha confermato il segretario di Stato Hillary Clinton che in un intervento al senato americano ha sottolineato "la preoccupazione che la Libia possa diventare una nuova Somalia", intesa come "covo di terroristi", e ha rivelato che molti militanti di Al Qaeda arrestati in Afghanistan "provenivano dalla Libia orientale, quella che ora è chiamata l'area libera della Libia"; le stesse parole usate dal dittatore Gheddafi per difendere il suo regime.
Dal quartier generale della Nato di Bruxelles è intervenuto, il 7 marzo, il segretario generale dell'organizzazione militare imperialista Anders Fog Rasmussen per sostenere che "non posso immaginare che l'Onu e la comunità internazionale restino fermi a guardare"; "la comunità internazionale sarebbe - secondo Rasmussen - di fronte a un dilemma. Da una parte i sistematici attacchi alla popolazione civile ci spingerebbe ad intervenire. Dall'altro lato siamo consapevoli che un intervento militare potrebbe creare una reazione da parte del mondo arabo. Siamo coscienti di ciò e per questo siamo in stretto contatto con la Lega araba e l'Unione africana". Il pensiero di non ingerirsi negli affari interni della Libia non gli passa nemmeno per l'anticamera del cervello. La preoccupazione espressa da Rasmussen è solo quella di come la Nato potrà muoversi, e lo potrebbe fare in seguito a una decisione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, la cui convocazione è già stata richiesta dalla Lega Araba e dall'Unione Africana. Mentre Francia e Gran Bretagna lavorano alla preparazione di una bozza di risoluzione sulla creazione di una no fly zone sulla Libia da presentare al Consiglio Onu, dove finora si sono dichiarati contrari Russia e Cina.
Gli Usa di Obama già muovono le loro pedine. Il 3 marzo, mentre il presidente Obama decideva l'uso di aerei militari ufficialmente per trasportare i profughi, il segretario alla Difesa Robert Gates ordinava "al Comando Africa di assumere la direzione della pianificazione della difesa riguardante la situazione in Libia". La direzione delle operazioni aeronavali era consegnata nelle mani dell'Africom che coordinava le missioni degli aerei da ricognizione Awacs, che dal 7 marzo pattugliano i cieli della Libia 24 ore su 24, e delle forze navali che si stanno concentrando davanti alle coste libiche, fra le quali navi di vario tipo di Usa, Francia, Gran Bretagna, Italia, Canada e financo della Corea del Sud. Non è ancora la "coalizione dei volenterosi" messa in piedi da Bush per aggredire l'Iraq ma poco ci manca.
Nel corso dell'ultima settimana le battaglie più importanti si sono svolte nelle cittadine di Zawiya, a soli 50 chilometri a ovest di Tripoli, e Ras Lanuf ai bordi della regione orientale della Cirenaica, due centri strategici per l'industria petrolifera. Proprio attorno al terminal petrolifero e alle raffinerie del porto di Ras Lanuf ci sono stati duri combattimenti per il controllo della città mentre a Zawiya le forze ribelli sono asserragliate nel centro della cittadina difendendolo dai furiosi attacchi delle forze governative. Una difesa che aveva avuto successo il 3 marzo contro l'offensiva governativa su Brega, l'altro importante porto petrolifero della Libia orientale.
Il responsabile del Consiglio nazionale provvisorio libico, Mustafa Abdel Jalil, ha dichiarato l'8 Marzo alla rete televisiva al Jazira che se Muammar Gheddafi "lascerà il paese entro 72 ore e porrà fine ai bombardamenti, noi non lo perseguiremo" per i suoi crimini. Un'offerta che ha lo scopo di "arrivare a una soluzione che eviti ulteriori spargimenti di sangue". Un addetto stampa del Consiglio ha aggiunto che "siamo stati contattati da un rappresentante di Gheddafi che cercava di negoziare la fuoriuscita di Gheddafi. Abbiamo respinto la proposta. Non negoziamo con chi ha versato il sangue libico e continua a farlo. Perché dovremmo fidarci di quell'uomo oggi?".
La notizia che l'ex primo ministro Jadallah Azzouz Talhi avesse avanzato al Consiglio, per conto di Gheddafi, la proposta del suo esilio in cambio delle garanzie di immunità per sé e la sua famiglia è stata smentita dalla televisione governativa. Quali che siano i negoziati dietro le quinte resta il fatto che la questione deve rimanere in mano al popolo libico e ai suoi rappresentanti affinché colga il successo la rivolta e la resistenza popolare contro il regime dittatoriale di Gheddafi, difeso da quella parte dell'esercito che non ha disertato per unirsi alla rivolta e da bande di mercenari.
La parola fine non la possono mettere in alcun modo i paesi imperialisti e la Nato.

9 marzo 2011