Nonostante la disponibilità offerta dall'"opposizione" in parlamento
Imposto col voto di fiducia il "piano anti-crisi" del governo
Miliardi e agevolazioni fiscali a banche e imprese, elemosine al popolo
Approvato in soli 8 minuti dal Consiglio dei ministri lo scorso 28 novembre e convertito in legge con duplice voto di fiducia in parlamento entro i 60 giorni prescritti: questa la fulminea storia del "piano anticrisi" del governo, perfetto esempio di cosa intendono per "governare" il neoduce Berlusconi e il suo ministro dell'economia Tremonti.
E il bello è che il voto di fiducia in entrambi i rami del parlamento è stato posto dal governo non per paura dell'ostruzionismo dell'"opposizione", che anzi ci aveva esplicitamente rinunciato e dopo la votazione "bipartisan" sul federalismo fiscale sarebbe stata più che disposta a fare il bis, a patto di avere un minimo di considerazione e di voce in capitolo da parte della maggioranza, come ha più volte sottolineato in aula. No, è stato posto dal governo per paura della sua stessa maggioranza, che potessero cioè aprirsi delle crepe in seno ad essa e che il decreto di Tremonti ne uscisse in qualche modo cambiato.
Alla vigilia della votazione alla Camera, avvenuta il 14 gennaio senza sorprese data la schiacciante maggioranza di cui il governo dispone, erano infatti stati presentati ben 120 emendamenti, di cui però solo una cinquantina dall'"opposizione" e solo dieci dal PD. Gli altri settanta erano invece tutti della maggioranza, e in particolare di deputati meridionali che lamentavano le scarse risorse destinate al Sud e anzi le vere e proprie penalizzazioni riservate a queste regioni, come ad esempio sulle tariffe elettriche e sulle restrizioni al credito per le imprese e le famiglie.
Da qui la decisione di Berlusconi e Tremonti di ricorrere al voto di fiducia per stroncare ogni richiesta di allargamento dei cordoni della borsa e per approvare il decreto così com'era stato varato in quattro e quattr'otto dal governo. In più hanno voluto anche strafare presentando la cosa come una prova di correttezza istituzionale. Il ministro per i Rapporti col parlamento Elio Vito si era presentato infatti in aula per spiegare che il governo aveva deciso di porre la fiducia "per rispetto del parlamento" e dopo l'"ampio dibattito in commissione Bilancio e Finanze". Come dire per non far perdere tempo al parlamento visto che la discussione si era già abbondantemente svolta in commissione. Una tesi grottesca per giustificare l'ennesimo esproprio dei poteri del parlamento da parte del governo, che perfino il fascista Fini, dall'alto del suo scranno di presidente della Camera, non ha potuto fare a meno di criticare, ricevendo gli applausi dell'"opposizione" e mandando il neoduce su tutte le furie. Chiaro che Fini, che poi si è recato anche da Napolitano per lamentarsi del ricorso eccessivo alla decretazione d'urgenza e al voto di fiducia da parte del governo, ha voluto rendere al neoduce la pariglia per essere stato di fatto escluso dalla designazione a suo successore nella conferenza stampa di fine anno, quando Berlusconi alluse ai "giovani" come Alfano meritevoli di succedergli. E al tempo stesso il presidente della Camera ha segnato un altro punto nella strategia di coltivare un'immagine di uomo al di sopra delle parti a vantaggio delle sue ambizioni istituzionali.
Tutto ciò comunque non ha avuto la minima influenza sul voto, dal momento che poi la fiducia è passata anzi con una maggioranza record dall'inizio della legislatura, segno che il controllo del neoduce sulla sua compagine è più ferreo che mai, contrariamente a quanto si illudono i rimbambiti leader della "sinistra" borghese ogni volta che emergono contraddizioni di natura puramente tattica in seno alla maggioranza. Lo stesso è avvenuto il 27 gennaio al Senato, dove anche qui si è ripetuto il copione della Camera, con i soli "distinguo" dell'MPA di Lombardo che ha votato la fiducia per "lealtà" pur dichiarando disaccordo con alcuni punti del provvedimento.
È così passato senza colpo ferire, grazie ai metodi presidenzialisti del neoduce Berlusconi ma anche alla rinuncia all'ostruzionismo da parte dell'opposizione di cartone del PD-IdV, un "piano anticrisi" che, come abbiamo denunciato dettagliatamente a suo tempo su "Il Bolscevico" n. 45 del 2008, elargisce solo delle elemosine per i più poveri e non affronta minimamente i drammatici problemi dei salari e delle pensioni, della disoccupazione, del precariato e degli "ammortizzatori sociali", dei servizi per i lavoratori e dei prezzi e delle tariffe, del Sud e delle altre zone più disagiate del Paese, mentre regala miliardi e agevolazioni fiscali a banche e imprese e si rifiuta di tassare le rendite e i patrimoni dei più ricchi.

4 febbraio 2009