Tra Alfano, Bersani e Casini con la soddisfazione di Napolitano e Monti
Inciucio per cambiare la costituzione e la legge elettorale
Premier indicato sulla scheda e con più poteri. Premio di maggioranza a chi vince. Diminuzione dei parlamentari. Sbarramento per i partiti più piccoli
E' la linea della P2

Il 28 marzo i segretari dei tre partiti della maggioranza che sorregge il governo Monti, Alfano (PDL), Bersani (PD) e Casini (UDC-Terzo polo), si sono riuniti di nuovo e hanno siglato un accordo per accelerare la nuova legge elettorale e le "riforme istituzionali", su cui avevano già raggiunto un'intesa di principio col vertice dello scorso 7 febbraio.
L'accordo fra i tre leader è stato raggiunto in un paio d'ore di discussione nello studio di Berlusconi a Montecitorio, alla presenza degli "sherpa" che conducono per loro conto le trattative, La Russa, Quagliariello, Violante, Adornato, Bocchino e Pisicchio, e prevede l'avvio in parallelo e in tempi rapidi in parlamento della "riforma" elettorale e delle modifiche presidenzialiste alla Costituzione già decise. Tra le quali, per depotenziare il parlamento e ridurre la sua rappresentatività, c'è il taglio del numero dei parlamentari a 500 deputati e 250 senatori e la fine del "bicameralismo perfetto", con l'attribuzione di competenze diverse a Camera e Senato e l'approvazione delle leggi e dei decreti assegnata sostanzialmente a un solo ramo del parlamento. Mentre per il rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio, c'è facoltà di nominare e revocare i ministri e chiedere al capo dello Stato lo scioglimento delle Camere. A cui si aggiungono la "sfiducia costruttiva", per cui il parlamento non può far cadere un governo senza disporre di una maggioranza e di un premier alternativi, e la modifica dei regolamenti parlamentari per privilegiare e accelerare i provvedimenti del governo.
L'intesa sulla "riforma" elettorale (intesa di massima, perché non c'è ancora un testo scritto il cui compito è demandato ora agli "sherpa"), è modellata su una combinazione dei sistemi elettorali tedesco e spagnolo, con la metà dei deputati eletti in collegi uninominali e l'altra metà eletti col proporzionale in collegi piccoli e con liste bloccate, senza preferenze. È prevista una soglia di sbarramento per i partiti minori che dovrebbe aggirarsi sul 4-5%, con un "diritto di tribuna", cioè ad avere una piccola rappresentanza in parlamento, anche per quelli che non ce la fanno a superare lo sbarramento elettorale. Cosa che fra l'altro ha mandato in brodo di giuggiole Rifondazione trotzkista e il suo segretario Paolo Ferrero, che per questo ha valutato "positivamente" l'accordo.
Rispetto all'attuale legge cosiddetta "porcellum" sparisce l'obbligo di coalizione e l'indicazione del candidato premier di coalizione, ciò che ha fatto infuriare tanto la Lega e gli oltranzisti berlusconiani ed ex AN del PDL, da una parte, e i prodiani e veltroniani fautori del "bipolarismo", dall'altra. L'indicazione del candidato premier rimane però sulle schede dei singoli partiti, che comunque non sarebbe vincolante per la formazione dei governi. Anche il premio di maggioranza cambierebbe rispetto all'attuale, che è molto forte e scatta per qualsiasi percentuale di differenza, e consisterebbe in 36 seggi da assegnare alla formazione vincente, con in discussione l'ipotesi di assegnarne un certo numero in più anche a quella arrivata seconda.

Minacce in tono golpista di Monti
Perché questa improvvisa accelerazione sulla legge elettorale, dopo che i tre partiti, soprattutto per volere di Berlusconi che non voleva rompere con la Lega, avevano deciso di avviare subito le sole "riforme" istituzionali e rinviare l'altro tema a dopo le amministrative? A mettere loro il fuoco sotto i piedi è stato Monti, indispettito dalle resistenze e dalle rivolte sociali suscitate dalla sua "riforma del mercato del lavoro", che si ripercuotono anche a livello politico provocando tensioni e instabilità nella maggioranza, con il PDL a premere da destra per approvare la "riforma" così com'è col voto di fiducia, e il PD costretto invece ad ammansire la rabbia crescente nel suo elettorato invocando "modifiche" in parlamento. È così che con un piglio autoritario in tutto e per tutto degno del neoduce Berlusconi, Monti è sbottato lanciando da Seul un freddo ma inequivocabile avvertimento ai partiti e alle forze sociali, minacciando di fare fagotto e andarsene lasciando tutti col cerino in mano e con l'unica prospettiva delle elezioni anticipate mentre ancora infuria la crisi: "Se il Paese, attraverso le sue forze sociali, parlamentari e politiche non si sente pronto per quello che noi riteniamo un buon lavoro, non chiederemmo certo di continuare tanto per arrivare a una certa data", ha detto il tecnocrate liberista borghese, che il giorno dopo, rivolto stavolta in maniera più mirata al PD, reo ai suoi occhi di subire troppo i veti della CGIL e della piazza, ha così rincarato la dose: "La gente sembra apprezzare un modo moderato e non gridato di affrontare i problemi e, nonostante alcuni giorni di declino recenti a causa delle misure sul mercato del lavoro, il governo sta godendo di un alto consenso nei sondaggi di opinione, i partiti no".
Subito dopo, per far capire ancor più chiaramente l'antifona a Bersani, si è prodotto in un nuovo sperticato elogio a Berlusconi, perché ha accettato graziosamente di passare il testimone "senza essere stato battuto in parlamento". Come dire che anche Bersani dovrebbe fare un passo indietro per il bene del Paese. Nasce da questo perentorio richiamo all'ordine la corsa precipitosa dei tre segretari a mandare un segnale rassicurante a Monti (e al suo alto protettore al Quirinale) che la maggioranza è coesa e che non vuole le elezioni anticipate, ma intende assicurare al suo governo il cammino fino alla scadenza naturale della legislatura. E come pegno di ciò mette subito in cantiere le "riforme" istituzionali e la nuova legge elettorale, in cambio della quale Bersani si impegna a non far cadere il governo sull'articolo 18 e a tenere a freno eventuali - per quanto improbabili - tentazioni nel suo partito di cavalcare le rivolte sociali per andare alle elezioni anticipate e vincerle.
Non per nulla l'intesa a tre è stata immediatamente salutata con grande compiacimento dal premier Monti, che si è detto molto "soddisfatto dei passi avanti compiuti". Idem da parte del nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, che ricevendo al Quirinale il presidente del Senato Schifani, venuto a rassicurarlo che vigilerà sui tempi della "riforma" in parlamento, definita non a caso "Lodo Napolitano" dal PDL Quagliariello, ha preso atto "con vivo apprezzamento dell'impegno manifestato da PDL, PD e Terzo polo a collaborare per avviare senza indugio - incardinandole parallelamente - un insieme di modifiche della Costituzione e la revisione della legge elettorale".

Grande inciucio sotto l'egida di Monti e Napolitano
L'accordo di Montecitorio è quindi essenzialmente un grande inciucio tra Alfano e Bersani, con la mediazione di Casini, sotto l'egida di Monti e di Napolitano, per far durare il governo della grande finanza, della Ue e del massacro sociale, far passare l'antioperaia controriforma del lavoro con qualche modifica di facciata in parlamento e le altre misure antipopolari in cantiere, e avviare intanto le modifiche costituzionali ed elettorali che traghettino il Paese verso il completamento della repubblica presidenziale disegnata nel "piano di rinascita democratica" della P2 di Gelli, Craxi e Berlusconi.
Basti pensare che per quanto riguarda il rafforzamento dei poteri del premier previsto da questa intesa a tre, il piano della P2, alla voce "ordinamento del governo", prevede testualmente: modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera all'inizio di ogni legislatura e può essere rovesciato soltanto attraverso le elezioni del successore (sfiducia costruttiva, ndr). E che per quanto riguarda il sistema elettorale e la riduzione dei poteri del parlamento rispetto all'esecutivo, alla voce "ordinamento del parlamento", prevede rispettivamente:
I - nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco) riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato, di rappresentanza di secondo grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali, diminuendo a 250 il numero dei senatori ed elevando da 5 a 25 quello dei senatori a vita di nomina presidenziale, con aumento delle categorie relative (ex parlamentari - ex magistrati - ex funzionari e imprenditori pubblici - ex militari ecc.);
II - modifica della Costituzione per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) ed alla Senato preponderanza economica (esame del bilancio); IV - stabilire che i decreti-legge sono inemendabili.

Verso la Costituzione del regime neofascista
Sono tutti punti, questi, che l'inciucio di Montecitorio sembra ricalcare in maniera impressionante, con la "riforma elettorale" maggioritaria, con la riduzione del numero dei parlamentari, la fine del bicameralismo perfetto e la modifica dei regolamenti parlamentari per istituzionalizzare il sistema di governo a forza di decreti legge e voti di fiducia ormai in atto da anni.
Anche il presidenzialismo è in atto da anni, e non è affatto sparito con le dimissioni di Berlusconi, come dimostra il continuo travalicare i poteri assegnatigli dalla Costituzione da parte di Napolitano, e come dimostra il piglio golpista con cui questo governo, che non ha nemmeno il "crisma" di essere passato dal vaglio elettorale previsto dalle regole ipocrite della democrazia borghese, procede come un carro armato nello smantellamento di ciò che resta delle conquiste economiche, sindacali e politiche della classe operaia, e visti l'arroganza e il disprezzo con cui tratta i sindacati, i partiti e il parlamento. Ma la classe dominante borghese e i suoi rappresentanti politici non si accontentano più di esercitare questi poteri solo di fatto, all'ombra di una Costituzione materiale che ormai ha sostituito quella formale del 1948 demolita pezzo a pezzo negli ultimi decenni, e vogliono scriverli nero su bianco in una nuova Costituzione del regime neofascista, così che poi nessuno possa più osare metterli in discussione.

4 aprile 2012