PD e PDL "inciuciano" sulle "riforme" costituzionali e sulla legge elettorale

"Dobbiamo dialogare col Partito democratico. E non solo sulla legge elettorale. Bisogna lavorare con loro anche alle altre riforme istituzionali": È bastata questa dichiarazione di Berlusconi al quotidiano Libero del 5 febbraio per rimettere in moto la macchina dell'"inciucio" tra il PDL e il PD sulle "riforme" costituzionali. Macchina che i due principali partiti del regime neofascista sembrano aver tenuta sempre ben oliata per ogni occasione favorevole, come questa della coabitazione nella stessa maggioranza di governo, fin da quando venne usata la prima volta per siglare il famigerato "patto della crostata" a casa di Gianni Letta nel 1997, in cui il rinnegato D'Alema si spianò la strada alla presidenza della Bicamerale golpista in cambio dell'assicurazione che l'allora governo di "centro-sinistra" Prodi non avrebbe messo mano alla legge sul conflitto di interessi e non avrebbe toccato l'impero televisivo del neoduce.
"Il 46 per cento degli italiani non sa chi votare e se andare a votare", ragionava infatti l'ex premier col fogliaccio neofascista suo fiancheggiatore, anche perché "il voto si disperde in una miriade di partiti e partitini come la sinistra radicale di Vendola, i Grillini, Di Pietro, i radicali, Fini, l'UDC di Casini, la Lega", e quindi "sarebbe opportuno alzare la soglia di sbarramento". Ma per farlo occorre che si mettano d'accordo i due partiti maggiori che hanno interesse ad un bipolarismo compiuto, il PDL e il PD. E già che ci siamo il dialogo dovrebbe estendersi alle "altre riforme istituzionali". Sì, anche a quella della giustizia, visto che "alla fine 40 dei loro deputati hanno votato a favore della responsabilità civile dei magistrati", puntualizzava il neoduce annunciando perciò l'avvio di un giro di consultazioni con gli altri partiti su questi temi, di cui il piatto forte era appunto l'incontro col partito di Bersani.
Detto fatto: il 7 febbraio, dopo un incontro preliminare con Calderoli e i capigruppo leghisti, per rassicurare il sospettoso partito di Bossi che l'iniziativa della "riforma" elettorale non è rivolta contro la Lega, la delegazione del PDL formata da Gaetano Quagliariello, Ignazio La Russa e il previtiano Donato Bruno si è incontrata per un'ora nello studio di Luciano Violante a Montecitorio con quella del PD, composta dallo stesso ex presidente della Camera e attuale responsabile per le "riforme istituzionali", da Gianclaudio Bressa e da Luigi Zanda. E il giorno dopo è stata la volta di delegazioni del Terzo polo, dei radicali e di SEL ad essere ricevute dagli emissari di Berlusconi presso l'hotel Minerva di Roma, in un incontro definito "serio" da Gennaro Migliore, che insieme a De Petris e a Mussi formava la delegazione del partito di Vendola. Successivamente la delegazione del PDL ha incontrato quelle del PRC, del PdCI e dei Comunisti-sinistra popolare di Rizzo, anche se questo partito non era presente nel precedente parlamento.

La nota congiunta PD-PDL
Secondo dichiarazioni di esponenti PD, nell'incontro nello studio di Violante i due partiti "si sono solo annusati", rimandando a un successivo e più importante incontro diretto tra i segretari dei tre partiti della maggioranza, Alfano, Bersani e Casini, il compito di condurre una trattativa vera e propria. Ma in realtà c'è stato qualcosa di più, anche perché era da tempo che Quagliariello aveva contatti riservati con Violante su questa materia, e la nota congiunta finale emessa a conclusione dell'incontro fa quantomeno il punto su tutto ciò, sottolineando i punti comuni di principio da cui i due partiti hanno convenuto di dover partire. Intanto convenendo "sulla necessità di utilizzare quest'ultima parte della legislatura per procedere rapidamente a riforme idonee a dare credibilità e forza al sistema politico e istituzionale". E poi, "per quanto concerne le riforme istituzionali, si è discusso della possibilità di avviare il superamento del bicameralismo paritario, di ridurre il numero dei parlamentari, di rafforzare la stabilità di governo e il ruolo dell'esecutivo in coerenza con i principi del sistema parlamentare".
Per quanto attiene alla legge elettorale, prosegue la nota, "si è convenuto sulla necessità di cambiare l'attuale sistema elettorale restituendo ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Il nuovo sistema elettorale dovrà evitare la frantumazione della rappresentanza parlamentare e mantenere un impianto tendenzialmente bipolare". Inoltre, conclude la nota congiunta, "si è convenuto sull'opportunità di procedere rapidamente e concordemente tra Camera e Senato alla riforma dei regolamenti parlamentari favorendo soprattutto la celerità e la trasparenza del procedimento legislativo".
Tradotto dal politichese ciò significa che i due principali partiti della destra e della "sinistra" della borghesia sono d'accordo sui seguenti punti: 1) Utilizzare la parte restante della legislatura, assicurando a Monti tutto il sostegno necessario a governare il Paese (quindi niente elezioni anticipate, come vorrebbe la Lega), per fare "rapidamente" le "riforme" costituzionali necessarie a rafforzare la governabilità del sistema, che è esattamente quello che va chiedendo il neoduce Berlusconi da quando ha dovuto cedere la poltrona di premier a Monti. 2) Dette "riforme" devono essere quindi dirette a istituzionalizzare il presidenzialismo già in vigore di fatto (di cui la genesi del governo Monti è solo l'ultima e più eclatante dimostrazione), con il suo inserimento nella Costituzione attraverso opportune modifiche della Carta che riducano i poteri del parlamento e accrescano quelli dell'esecutivo. 3) La "riforma" elettorale dovrà continuare a favorire il bipolarismo (due soli partiti o due sole coalizioni principali a contendersi la maggioranza), e a scoraggiare la frantumazione del parlamento, anche se occorre superare l'attuale sistema delle liste bloccate di candidati decise dai partiti.

Convergenze su presidenzialismo e bipolarismo
Riguardo al secondo punto si sa che ci sono già delle intese di massima per dare al premier il potere di nomina e di revoca dei ministri e sull'introduzione del meccanismo della "sfiducia costruttiva" (per sfiduciare un governo occorre dimostrare di avere una maggioranza e un premier alternativi, altrimenti c'è lo scioglimento delle Camere). E che c'è altrettanto accordo sul dimezzamento dei parlamentari, l'abolizione di una delle due Camere (eventualmente il Senato, da trasformare in Senato federale, Camera delle Regioni o qualcosa del genere), nonché la modifica dei regolamenti per accelerare ancora di più di adesso i provvedimenti del governo: praticamente istituzionalizzando in modo formale la pratica ormai consueta di governare a colpi di decreti e voti di fiducia sulle materie più varie.
Sul terzo punto, quello della "riforma" elettorale, sembra che le due delegazioni si siano trovate d'accordo in linea di massima su un sistema misto spagnolo-tedesco, che utilizzi i collegi uninominali del primo (voluti dal PD al posto delle preferenze) e il proporzionale con soglia di sbarramento per i partiti minori previsto dal secondo, che il PDL vorrebbe alzare attorno all'8-10% per semplificare drasticamente il quadro politico. Ma sulla legge elettorale PDL e PD devono procedere più cauti per non allarmare troppo i rispettivi alleati, la Lega e l'IDV. Il partito di Bossi non vuole rinunciare all'attuale "porcellum", per il quale accetterebbe al massimo un correttivo riguardo alle preferenze.
Quanto a Di Pietro sembra deciso a tenersi fuori dalla partita, dichiarando in polemica diretta con il partito di Bersani di non voler partecipare a "incontri riservati, al chiuso di un albergo o in un sottoscala", e denunciando l'esistenza nel PD di un "partito dell'inciucio che ha votato nel segreto per la responsabilità civile dei magistrati e ha salvato Tedesco". Sentendo evidentemente puzza di bruciato, il leader dell'IDV ha annunciato anche di star lavorando, in vista di un innalzamento della soglia di sbarramento, ad una "lista civica nazionale fatta da noi, SEL, Rifondazione, i nuovi sindaci (Pisapia e De Magistris, ndr) e altre formazioni". Proposta a cui aderisce in maniera entusiastica il leader della federazione della sinistra, Ferrero, estendendola da buon trotzkista all'idea di "costruire un polo di sinistra come la Linke in Germania".

Il PD riaccredita Berlusconi come fece nel 1997 e nel 2007
In realtà è probabile che la trattativa sulla nuova legge elettorale venga rinviata a dopo le prossime elezioni amministrative, perché Berlusconi tiene ancora molto all'alleanza con la Lega e vuol vedere che tendenza emergerà dalle urne prima di scegliere definitivamente su quale dei diversi tavoli giocare. Lo dimostra il fatto che sono stati proprio PDL e Lega a far saltare un accordo al Senato per dare il via a una commissione congiunta dei capigruppo per discutere subito delle "riforme istituzionali". Quel che è certo è che la riapertura della partita delle "riforme", caldeggiata fortemente dal nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, e subito accettata dal liberale Bersani, rimette il pallino in mano al neoduce Berlusconi, che ritorna nuovamente protagonista della scena politica dopo esserne stato apparentemente emarginato dall'avvento di Monti.
Si sta ripetendo esattamente, cioè, il copione del 1997, quando dopo aver perso le elezioni del '96 lo davano per finito e invece arrivò il rinnegato D'Alema, con il "patto della crostata" e la Bicamerale golpista, tenuta a battesimo anche dall'allora presidente della Camera Violante, a ripescarlo e a ridargli la legittimità e il fiato necessari per prendere di nuovo la rincorsa verso Palazzo Chigi nel 2001. Lo stesso avvenne nel 2007, quando stavolta fu il liberale e presidenzialista Veltroni, in nome del bipolarismo e delle "riforme" costituzionali, a ridargli la scena che aveva perduto con le elezioni del 2006 e a consentirgli di ripresentarsi vittorioso a quelle del 2008.
Evidentemente non c'è due senza tre, e oggi tocca al liberale Bersani la parte di portatore d'acqua al cavaliere piduista, visto che ha risposto come se nulla fosse all'appello non appena questi ha schioccato di nuovo le dita sulle "riforme" costituzionali, limitandosi a bofonchiare che "l'incontro di oggi è stato positivo. Se son rose fioriranno e vedremo alla fine se Berlusconi è affidabile".
Dopo 17 anni di berlusconismo Bersani non ha ancora capito se il neoduce è affidabile oppure no! Intanto, così facendo, il PD asseconda e riaccredita in pieno il nuovo Mussolini, che lavora dietro le quinte per ricrearsi un'aureola di "statista" e di "padre" della controriforma costituzionale, per poi puntare ad un suo ritorno in campo in grande stile alla conclusione di questo ciclo in cui la scena è dominata forzatamente da Monti. Si dice infatti che si stia lavorando Napolitano per ottenere una nomina a senatore a vita, dalla quale potrebbe poi puntare a qualsiasi carica istituzionale, Quirinale compreso.

15 febbraio 2012