Il parlamento nero avalla il golpe bianco di Napolitano
La destra e la "sinistra" borghese votano uniti il governo della grande finanza, della Ue e della macelleria sociale
Solo la Lega non ci sta sperando in un bottino elettorale
Allucinanti osanna bipartisan a Gianni Letta, braccio destro di Berlusconi

Il governo Monti, frutto del golpe bianco del nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, ha ottenuto la fiducia del parlamento nero con una maggioranza senza precedenti, grazie all'appoggio di quasi tutti i gruppi parlamentari della destra e della "sinistra" borghese: 281 sì contro 25 no il 17 novembre al Senato, e 556 sì contro 61 no il giorno seguente alla Camera. E questo perché soltanto la Lega ha deciso di non stare al gioco e di collocarsi all'"opposizione", con l'obiettivo dichiarato di rifarsi una "verginità" politica per recuperare i consensi perduti nel proprio elettorato e magari lucrarne di nuovi tra gli elettori dei partiti che sostengono il governo.
Se il sì a collo torto del principale partito della destra borghese, il PDL, era una scelta tattica obbligata per il neoduce Berlusconi e il suo "delfino" Alfano, che come "azionisti di riferimento" della maggioranza contano comunque di tenere Monti sulla corda e di prendersi la rivincita elettorale dopo che avrà esaurito il suo compito, il consenso entusiasta del PD di Bersani non si spiega se non con un cedimento cieco e totale alla volontà e agli interessi della grande finanza, dell'Unione europea e della classe dominante borghese, che con il cosiddetto "governo tecnico" di Monti, o "governo di impegno nazionale" come lui preferisce chiamarlo, mirano a scaricare la crisi economica e finanziaria del capitalismo sulle spalle dei lavoratori e delle masse popolari. La stessa medicina liberista e di massacro sociale già somministrata dal governo neofascista del nuovo Mussolini, nella sostanza, ma da attuare attraverso un esecutivo più "presentabile" e di stile anglosassone, e con la "coesione nazionale", da sempre raccomandata da Napolitano, necessaria per farla ingoiare più facilmente alle masse e prevenire la loro ribellione.
Eppure, che questo fosse il mandato del nuovo esecutivo e che il suo programma non rappresentasse affatto una "discontinuità", ma anzi un proseguimento di quello del governo Berlusconi, risultava evidente sia dal programma di governo su cui Monti ha chiesto la fiducia alle Camere, sia dal suo riconoscimento della cornice politica, ancora dominata dalla figura del neoduce di Arcore, in cui il suo tentativo ha potuto realizzarsi. È significativo a questo proposito il "pensiero rispettoso e cordiale" per aver "facilitato" la sua successione a Palazzo Chigi, che Monti ha rivolto a Berlusconi in apertura dei suoi interventi sia a Palazzo Madama che a Montecitorio. E ancor più significative sono state, alla Camera, le reciproche strette di mano e complimenti del neoduce ai nuovi ministri e quelle calorose di Monti agli ex ministri, in particolare alla Gelmini, e al suo stesso predecessore. Così come plateale è stato l'elogio che il nuovo premier ha tributato a Gianni Letta, l'eminenza grigia del nuovo Mussolini che avrebbe addirittura voluto al suo fianco come vicepresidente e che lo seguiva come un "nume tutelare" dall'alto delle tribune; elogio che si aggiungeva a quello sperticato già rivoltogli da Napolitano per il suo ruolo di "mediazione" durante la crisi di governo e a cui si è unito l'intero parlamento nero con un allucinante applauso bipartisan.

Continuità col programma di Berlusconi e della UE
Quanto alle misure per uscire dalla crisi, sebbene Monti ne abbia delineate solo le linee guida rimandando i dettagli a quelle che saranno prese dai ministeri competenti, ce n'è più che abbastanza per capire che, a parte lo stile più "moderato" e "accattivante", esse sono in perfetta continuità, quando non sovrapponibili, a quelle contenute nella "lettera di intenti" di Berlusconi già avallate dalla UE, dal Fondo monetario internazionale e da Napolitano. A cominciare dalla legge costituzionale per introdurre il vincolo di bilancio in pareggio per le amministrazioni pubbliche, che Monti vorrebbe addirittura fosse verificato da "Autorità indipendenti", cioè istituti finanziari privati sull'esempio della famigerata Standard & Poor's e simili. In questo quadro egli si dichiara perfettamente d'accordo anche sulla legge in discussione in parlamento che assegna allo Stato la potestà legislativa esclusiva sui bilanci pubblici, così da decidere quali regioni ed enti locali premiare e quali punire in base ai "risparmi" e alle privatizzazioni dei servizi pubblici realizzati o meno sulla pelle delle masse popolari.
Della "lettera di intenti" Monti sposa pari pari la "riforma dei sistemi fiscale e assistenziale", il taglio della spesa pubblica col meccanismo dello spending review, il riordino delle province per legge ordinaria in vista della loro eliminazione con legge costituzionale, il programma di dismissioni dei beni pubblici per "almeno 5 miliardi nel prossimo triennio", le liberalizzazioni e le privatizzazioni dei servizi pubblici, la controriforma scolastica e universitaria meritocratica, corporativa e di classe della Gelmini, aggiungendovi di suo perfino un incentivo all'emigrazione giovanile in Italia e all'estero di sapore antimeridionale e schiavista d'altri tempi, il piano di investimenti in infrastrutture e trasporti (affidati interamente alle "cure" del banchiere Passera), con l'apertura ai capitali privati e le semplificazioni normative per facilitarli.

"Dialogo con le parti sociali" su pensioni e mercato del lavoro
Di altre misure della "lettera" di Berlusconi il nuovo premier dà invece una sua versione più sofisticata, in accordo con il cambio di tattica fondata sul "dialogo" con le "parti sociali" piuttosto che sui modi arroganti e fascisti tipici del neoduce e dei suoi gerarchi Sacconi, Brunetta e Gelmini. È il caso per esempio della previdenza, dove pur ammettendo che "il sistema pensionistico italiano è tra i più sostenibili in Europa", e perfino l'età pensionabile è di fatto superiore a quella in vigore in Francia e Germania, insinua però che esso "rimane caratterizzato da ampie disparità di trattamento fra diverse generazioni e categorie di lavoratori, nonché da aree di ingiustificato privilegio", per preparare il terreno a un prossimo "patto sociale" con i sindacati che avrà al centro l'estensione a tutti del sistema contributivo e l'eliminazione delle pensioni di anzianità.
Ed è il caso della contrattazione e del mercato del lavoro, dove "per facilitare la crescita della produttività" si riprendono con formulazioni meno brutali e più allusive la proposta del neofascista ex socialista Sacconi, ispirata da Marchionne, dell'abolizione della contrattazione collettiva in favore dei contratti aziendali di tipo autoritario e corporativo; così come l'altra dell'abolizione dell'articolo 18 per aprire alla libertà di licenziamento. Ma si specifica che sono obiettivi da raggiungere "con il consenso delle parti sociali" e nella forma edulcorata e demagogica di uno scambio tra licenziamenti liberi e contratti a tempo indeterminato e nuovi ammortizzatori sociali: proposta chiaramente ispirata alla "riforma del mercato del lavoro" del giuslavorista di area veltroniana del PD, Pietro Ichino, che non a caso era stato indicato inizialmente come possibile ministro del Lavoro, poi scartato per l'opposizione dell'ala dalemiana del suo partito.
Ci sono poi delle misure addirittura ulteriori rispetto alla "lettera" berlusconiana, come l'annuncio della reintroduzione dell'ICI sulle prime case e quello di un aumento dell'IVA sui consumi e delle rendite catastali ("per sostenere la crescita senza incidere sul bilancio pubblico"). Silenzio assoluto invece sulla nuova stangata da 20 miliardi sollecitata dalla Commissione europea, che il nuovo governo si accinge a varare e che sembra conterrà anche pesanti tagli alla sanità.

La frottola dell'"equità" e il piglio presidenzialista di Monti
In conclusione: dei "tre pilastri" indicati da Monti, "rigore di bilancio, crescita ed equità", di sicuro c'è solo il rigore, la crescita è tutta da vedere e dell'equità non c'è neanche l'ombra. Dov'è infatti la tassa sui patrimoni e le rendite finanziarie? Ci sono solo brevi e fugaci riferimenti alla "lotta all'evasione fiscale e all'illegalità" e al "monitoraggio della ricchezza accumulata". Dov'è l'abbattimento dei privilegi della "casta" dei politicanti borghesi? Si accenna semplicemente che "sono ineludibili interventi volti a contenere i costi di funzionamento degli organi elettivi". Dov'è la riduzione delle spese militari? Non solo non c'è, ma il tecnocrate della Bocconi ha pensato pure di ribadire che "vocazione europeistica, solidarietà atlantica, rapporti con i nostri partner strategici, apertura dei mercati, sicurezza nazionale e internazionale rimarranno i cardini della nostra politica", chiamando gli applausi bipartisan dell'intero parlamento nero a sostegno dei "nostri militari impegnati in missioni all'estero, le Forze armate e i rappresentanti delle forze dell'ordine, che sono in prima linea nella difesa dei nostri valori e della democrazia".
Inoltre non c'è neanche un accenno al Mezzogiorno, alla messa in sicurezza del nostro dissestato territorio, al ripensamento sull'opportunità di andare avanti con le inutili grandi opere, come la TAV e il ponte sullo Stretto, che drenano preziose risorse e portano altra devastazione ambientale. E come se non bastasse, a smentire che l'istituzione del ministero per la coesione nazionale preluda a un'inversione di rotta rispetto al forsennato federalismo secessionista portato avanti dal precedente governo, accusa che gli era stata rinfacciata dai banchi dalla Lega, Monti ha assicurato nella replica che il nuovo governo intende "ovviamente" completare "il processo di attuazione del federalismo fiscale".
Nella replica dopo il dibattito alla Camera Monti ha rassicurato il PDL di essere cosciente che il suo governo è a tempo e che dipende dalla fiducia del parlamento, ma ha anche messo in chiaro che si propone di arrivare alla fine della legislatura e che non gradisce di essere minacciato di "staccargli la spina". Anzi, facendosi forte del consenso di cui gode nei sondaggi, ha sfoderato il piglio presidenzialista ammonendo lui i partiti a dargli la fiducia, insinuando che in caso contrario i cittadini potrebbero revocarla a loro. La stessa malcelata arroganza l'ha mostrata negando sprezzantemente l'esistenza del conflitto di interessi nella sua compagine e di essere un rappresentante dei "poteri forti", proclamandosi addirittura "indignato" contro la società civile "che troppo facilmente punta il dito contro la classe politica".

Gli interventi dei leader della nuova maggioranza
Per le dichiarazioni di voto alla Camera sono intervenuti, nell'ordine, tutti i leader dei principali partiti che sostengono il governo Monti, IDV, UDC-Terzo polo, PD e PDL. Di Pietro ha annunciato la fiducia al governo "per il bene del nostro Paese", sebbene non una fiducia "in bianco e a occhi chiusi". Vuol vedere come si comporterà quando si tratterà di decidere tra il ponte sullo stretto o la difesa del territorio, tra "ragionare" con le popolazioni o mandare l'esercito per fare le infrastrutture, tra "riportare a casa i contingenti militari" o "insistere nell'acquistare i cacciabombardieri". Se Passera concederà gratis le frequenze televisive e se la ministra Severino intenderà assecondare Berlusconi sulle intercettazioni. Insomma, il leader dell'IDV si candida a fare (parole sue) la "sentinella della società civile", come se non ci fosse già materia a sufficienza per capire dove vuole andare a parare e chi vuole colpire questo governo della grande finanza, della UE, della grande borghesia e del Vaticano, così come l'hanno già capito gli studenti che sono subito scesi in piazza per combatterlo.
Il leader dell'UDC e del Terzo polo, Casini, ha offerto invece la fiducia incondizionata, "senza se e senza ma" a Monti, invocando una frettolosa archiviazione della stagione berlusconiana per "pacificare la nazione", favorire la "coesione nazionale" e "ricucire l'Italia dopo troppe polemiche e dopo troppe risse". Una fretta di mettere una pietra sopra il passato e rassicurare il nuovo Mussolini che nulla gli sarà più addebitato che risulta assai sospetta, alla luce dei successivi sviluppi dell'inchiesta Enav in cui lui stesso sembra coinvolto insieme al suo partito, e se si tiene presente la strana frase del neoduce che aveva detto di Casini: "Faremo ragionare il ragazzo con le buone o con le cattive".
Per il PDL ha parlato Alfano, dopo che Berlusconi era stato convinto all'ultimo momento a non intervenire di persona come aveva deciso, nel timore che con le sue sparate potesse mandare all'aria il compromesso, per una "fiducia vigilante" a Monti, raggiunto con gran fatica tra le diverse cosche del suo partito. Il leader del nuovo partito fascista ha annunciato la fiducia, sottolineando però che questo è solo un "governo tecnico" e non un "governo delle larghe intese o di compromesso storico". E che il suo programma di sacrifici dovrà attenersi strettamente a quello stabilito dal governo Berlusconi, il quale "non ha una storia da rinnegare" ed è lieto di lasciare il testimone "in buone mani". Quindi niente patrimoniale e niente "interventi economici che rafforzino il peso dello Stato sulla vita dei cittadini".
Il leader del PD Bersani, invece, ha annunciato un'apertura di credito totale e incondizionata a Monti, lodandolo per lo "stile" e assicurando che il suo partito avrebbe votato la fiducia "senza giri di parole, senza asticelle, senza paletti, senza termini temporali". Non ha nemmeno voluto emettere un qualche giudizio sul programma di soli sacrifici senza equità che il premier aveva freddamente annunciato. Anzi, ha dichiarato con ridicola umiltà che "noi non pretenderemo mai di dettarvi i compiti e neanche ci aspettiamo che voi facciate, su tutto, quello che faremmo noi". Al governo Monti il PD chiede soltanto di "tenere conto" di alcune sue idee, come la "sobrietà", il "rigore della vita pubblica" e "che l'Italia torni al suo posto in Europa con la dignità di un Paese fondatore".
Solo sul tema dell'"equità" Bersani si è azzardato ad avanzare non condizioni, ma piuttosto raccomandazioni a Monti, laddove lo ha invitato al "dialogo sociale partendo dal 28 giugno" (perché altrimenti la CGIL non potrebbe accettare il "patto sociale", ndr), e a "non avere timidezze a nominare i grandi patrimoni immobiliari", così come non le ha avute ("e questo ci fa molto piacere", ha sottolineato incredibilmente il segretario del PD) "nominando le pensioni". Ma il massimo della linea collaborazionista fino al servilismo il PD lo ha mostrato con il vergognoso "pizzino" intercettato dai teleobiettivi che Enrico Letta ha inviato a Monti, in cui il vicesegretario, a nome di Bersani, si metteva a "disposizione" del nuovo premier per "interagire riservatamente e pubblicamente" sulla scelta dei viceministri e sottosegretari.
Per completare il quadro di tanto unanimismo intorno a Monti, un'ultima considerazione va fatta sulla posizione opportunista del liberale Vendola, che dopo l'apertura di credito al governo Monti, del quale non smette di lodare "lo stile" e il "livello dei ministri", si è detto "deluso" delle sue dichiarazioni programmatiche. Malgrado ciò ha riconfermato il "vincolo di lealtà" con Di Pietro e Bersani che ora stanno nella maggioranza, e quindi implicitamente il suo ruolo di copertura a sinistra del golpe bianco di Napolitano e del governo della grande finanza, della Ue e del massacro sociale. Non per nulla anche in tv a "Che tempo che fa" ha osannato il capo dello Stato come "un faro nella notte buia della Repubblica". E il 22 novembre, in un convegno a Bari, ha così confermato la linea opportunista e trotzkista di SEL sul governo Monti: "'Aspettiamo i provvedimenti concreti e su quello ci orienteremo senza pregiudizio di alcun genere".
In realtà non c'è da aspettare niente, è già tutto chiaro. Come ha auspicato l'Ufficio politico del PMLI è necessario che "tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose democratiche e antifasciste si uniscano per liberare l'Italia dal governo della grande finanza, dell'Ue e della macelleria sociale".

23 novembre 2011