Ipocrisia di Stato

Come sempre ad ogni nuova emersione delle ruberie e della corruzione che proliferano nelle istituzioni borghesi, anche dopo l'esplosione dello scandalo alla Regione Lazio tocca assistere al grottesco spettacolo dell'ipocrisia di Stato, con la quale le massime autorità istituzionali e i leader dei partiti borghesi cercano di circoscrivere le responsabilità a singoli politicanti corrotti e prevenire la frattura che si va sempre più allargando con le masse popolari.
Massimo rappresentante di tale ipocrisia di Stato si è dimostrato essere ancora una volta il rinnegato Napolitano, che parlando il 25 settembre agli studenti invitati al Quirinale in occasione dell'apertura dell'anno scolastico, proprio cioè all'indomani delle annunciate dimissioni della Polverini, ha moraleggiato che "anche di recente la cronaca ci ha rivelato come nel disprezzo per la legalità si moltiplichino malversazioni e fenomeni di corruzione inimmaginabili, vergognosi"; e che ciò "non è accettabile per persone sensibili al bene comune, per cittadini onesti, né per chi voglia avviare un'impresa".
Gli è andato subito dietro la seconda carica dello Stato, il berlusconiano presidente del Senato Schifani, che intervenendo alla trasmissione di Rai3, Ballarò, e sfoggiando un'ipocrita indignazione ha detto che "si sta superando il limite della tollerabilità" e che bisogna passare "dalle affermazioni e dalle condanne all'adozione di provvedimenti seri e rigorosi".
Dello stesso tenore e altrettanto ipocrite sono state le dichiarazioni del segretario del PD Bersani, che per giustificare in qualche modo la partecipazione del suo gruppo all'approvazione dell'aumento spropositato degli stanziamenti ai consiglieri laziali e alla loro spartizione col PDL e gli altri partiti, non ha trovato di meglio da dire di questo: "abbiamo sbagliato a non rovesciare il tavolo, ma noi di Batman non ne abbiamo" (e Penati suo ex braccio destro?). Sono necessarie a suo dire "iniziative urgenti sui costi delle Regioni".
A dir poco grottesche, poi, sono state le dichiarazioni dei leader del partito al centro del ladrocinio laziale, il PDL. Dopo aver cercato di convincere in tutti i modi e fino all'ultimo la Polverini a non dimettersi - altrimenti "qui crolla tutto, rischiamo di passare per il partito dei ladri e del marcio, di finire sotto le macerie", l'aveva scongiurata - Berlusconi ha immediatamente cambiato tattica appena si è dovuta dimettere, giurando che "il PDL non è un partito allo sbaraglio", che sperperi e ruberie sono da attribuire solo agli ex AN e proclamando solennemente che "ora è necessario intervenire con estrema decisione, con coraggio e severità perché la politica in Italia rischia di morire nel discredito in conseguenza di comportamenti collettivi e individuali intollerabili". Cosa che detta da colui che per quasi vent'anni ha praticato ed elevato la corruzione a metodo di governo a tutti i livelli istituzionali e politici, e al quale tutti i politicanti borghesi si sono uniformati, suona più che ipocrita, disgustosamente beffarda.
"Garantisco, a nome mio personale e della squadra che entrò in politica nel 1994, un impegno di risanamento senza incertezze. Occorre un forte rinnovamento", ha assicurato eppure con perfetta faccia di bronzo il neoduce, lasciando al suo tirapiedi Alfano il compito di definire in cosa consista tale rinnovamento: una proposta a Bersani e agli altri leader per non ricandidare i consiglieri uscenti della Pisana (sic) e la convocazione di "un'assemblea straordinaria, che chiameremo di 'rinascimento azzurro', per decidere le regole per la selezione della classe dirigente, con sanzioni per chi non rispetta le regole e meccanismi per scongiurare che si ripetano casi Fiorito", ha annunciato il segretario del "partito degli onesti".
Promesse demagogiche per placare le masse
Tutto questo mentre la guardia di finanza mette sotto esame anche le spese e i rimborsi allegri dei gruppi consiliari di Piemonte ed Emilia-Romagna, e si annunciano nuovi scandali regionali destinati ad aggiungersi a quelli già purulenti della Lombardia di Formigoni, della Sicilia di Lombardo, della Campania di Caldoro, della Calabria di Scopelliti, e via rubando. Tanto che i governatori delle Regioni, guidati fra l'altro dall'inquisito Errani (PD), cercano di correre ai ripari e propongono un piano di tagli, chiedendo al governo di approvarlo urgentemente con decreto, di 300 consiglieri, una riduzione delle indennità di presidenti e consiglieri (ma non dei vitalizi) e regole di "trasparenza", con controlli vincolanti della Corte dei conti e sanzioni per gli inadempienti.
Ma è solo il classico tentativo di chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. Un espediente demagogico, tra l'altro con pericolosi risvolti presidenzialisti, per placare la giusta indignazione delle masse e stornare la loro rabbia dalle marce istituzioni borghesi. Anche dopo tangentopoli furono annunciate roboanti misure di "moralizzazione" della politica e di "pulizia" delle istituzioni, eppure a distanza di vent'anni siamo in una situazione ancor peggiore di allora.
Allora i partiti borghesi rubavano con la scusa di finanziare i costi della politica, oggi non hanno nemmeno bisogno di questa scusa, dato che con i "rimborsi elettorali", tramite i quali hanno aggirato il divieto del finanziamento pubblico ai partiti decretato con il referendum, si autoassegnano e si spartiscono direttamente ancor più lauti fondi che poi finiscono in larga parte nei conti correnti privati dei vari capibastone e sperperati in viaggi, cene, festini e altre gozzoviglie spacciate per "costi politici". E ciò, naturalmente, in aggiunta agli stipendi, i rimborsi spese, i vitalizi e gli altri privilegi da nababbi di cui già godono legalmente parlamentari e consiglieri regionali, provinciali e comunali.
Anziché combattere la corruzione e "moralizzare" le istituzioni, in questi vent'anni i leader politici borghesi non hanno fatto altro che ostacolare in tutti i modi la giustizia e reggersi il sacco a vicenda, tant'è vero che anche lo scandalo alla Regione Lazio non sarebbe emerso, grazie all'omertà reciproca di tutti i gruppi consiliari che beneficiavano dei fondi autoelargiti, se non fosse stato per le faide interne al PDL che hanno finito per mettere il marcio allo scoperto.
Presidenzialismo e corruzione:
due facce della stessa medaglia
A vent'anni da tangentopoli si assiste addirittura al paradosso che proprio coloro che allora erano i più scalmanati nell'agitare cappi e tirare monetine contro i politici corrotti, come i leghisti e gli ex missini, oggi li ritroviamo beccati anche loro in prima fila con le mani nella marmellata, come dimostrano emblematicamente gli esempi di Bossi e di Fiorito. In ogni caso, se ce ne fosse ancora bisogno, la vicenda Lazio dimostra che non c'è ormai alcuna differenza tra i partiti della destra e della "sinistra" borghese in fatto di corruzione e di gestione privatistica della cosa pubblica, visto la continuità perfetta tra la precedente giunta di "centro-sinistra" del PD Marrazzo e quella di "centro-destra" della ex fascista Polverini.
L'esperienza dimostra che l'elezione diretta dei governatori, lungi dal portare quella "trasparenza" e "moralità" nelle istituzioni regionali che prometteva, ha favorito semmai la corruzione, l'arrivismo, il carrierismo senza scrupoli e l'arricchimento privato: il presidenzialismo e la corruzione sono le due gambe su cui si è retta in questi vent'anni, e tutt'ora cammina, la seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista.
Ma quel che questa squallida vicenda dimostra sopra ogni altra cosa, è che chiunque vada al governo, centrale, regionale o locale, nel sistema capitalistico, finisce inevitabilmente per essere corrotto, perché la corruzione è connaturata al capitalismo stesso. Dimostra cioè che se si vuole veramente cambiare la società occorre abbandonare le illusioni elettorali, parlamentari, governativi e riformiste, impugnare l'arma dell'astensionismo e lottare al di fuori e contro le marce e corrotte istituzioni borghesi, cioè nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università e nelle piazze: nell'immediato per abbattere il governo Monti della grande finanza, della UE e del massacro sociale e in prospettiva per l'obiettivo dell'Italia unita, rossa e socialista.

3 ottobre 2012