I poveri relativi sono 8 milioni e 3 milioni gli assoluti
L'Italia ai primi posti nel divario tra ricchi e poveri
La metà della ricchezza appartiene al 10% della popolazione e la metà della popolazione dispone del 10% della ricchezza

La macelleria sociale provocata dal nuovo Mussolini e dal suo gerarca all'Economia Giulio Tremonti per "contrastare" la devastante crisi economica e finanziaria del sistema capitalista non solo ha prodotto una povertà diffusa e generalizzata, che ormai attanaglia quasi 8 milioni di persone, ma, ha finito per approfondire ancora di più il baratro che esiste tra ricchi e poveri in Italia dove la metà della ricchezza è nelle mani di appena il 10% della popolazione mentre la metà della popolazione si deve accontentare delle briciole e dispone di appena il 10% di tutta la ricchezza prodotta nel nostro Paese.
È il vergognoso quadro che emerge dalla classifica sulla disuguaglianza economica stilata dall'Ocse, l'organizzazione che studia l'andamento delle economie dei trenta paesi più avanzati, in base al coefficiente di Gini, un indicatore basato sui redditi di ciascuno (tutti i redditi, non solo quelli di lavoro) e che fornisce un'idea del livello di diseguaglianza di un Paese: più alto il coefficiente, più grande la distanza tra le fasce ricche e quelle povere di quella nazione.
In Svezia e Danimarca, dove le diseguaglianze sono minori, il coefficiente Gini è del 23%, in Francia del 28, in Germania del 30. Mentre l'Italia col 35% si piazza agli ultimi posti della classifica ed è superata solo da Polonia (37%), Stati Uniti (38), Portogallo (42), Turchia (43) e Messico (47). Un risultato che assume aspetti ancora più drammatici se si pensa che gli Stati Uniti non hanno un vero sistema di welfare mentre Turchia e Messico non sono certo tra i Paesi più sviluppati al mondo.
Disuguaglianze a livello europeo e mondiale che si ripercuotono anche a livello regionale e addirittura provinciale: infatti, si legge nel rapporto Ocse, accanto alla nota diseguaglianza fra regioni del Mezzogiorno e quelle del Centro Nord caratterizzate da una significativa differenza di reddito pro capite esiste anche una diseguaglianza all'interno delle singole regioni. La regione con la maggiore diseguaglianza è il Lazio che arriva al 33,9%, superando di poco la Sicilia e la Campania (33), mentre le regioni con minori disparità sono Friuli Venezia Giulia (26,2%) e Trentino (26%).
Secondo l'Ocse, il coefficiente di Gini in Italia è aumentato di tre punti tra la metà degli anni Ottanta e la metà dei Novanta e di un altro punto nel decennio successivo: "Uno dei fattori è stato sicuramente l'abolizione della scala mobile a metà degli anni Ottanta e comportò la scomparsa di un meccanismo di compressione delle diseguaglianze salariali. Un'altra ragione fu la grave crisi valutaria ed economica del '92 e che portò il governo Amato ad attuare una manovra restrittiva severissima, il cui impatto sugli strati più deboli della popolazione è stato molto marcato e più profondo di quanto non considerato al momento".
Secondo il rapporto Istat "Distribuzione del reddito e condizioni di vita in Italia", nel 2009 le famiglie in stato di povertà relativa (quelle che possono spendere solo la metà della spesa pro capite del Paese) erano 2 milioni e 657 mila, pari a 7 milioni e 810 mila persone. I poveri "assoluti", quelli non in grado di soddisfare bisogni essenziali per una vita dignitosa, superavano i tre milioni: 3.074.000 di persone e 1.162.000 famiglie. E ancora: undici famiglie su cento non riescono a scaldare adeguatamente la propria abitazione, il 5,7% lamenta rinunce alimentari e l'11,2 % non ha potuto permettersi spese mediche. Nel 2008, 11,9 famiglie su cento non riuscivano a pagare le bollette contro l'8,8 dell'anno prima; così come le famiglie che non arrivavano a fine mese sono salite dal 15,4 al 17 per cento. La povertà minorile in Italia è ben al di sopra della media europea e raggiunge il 25 per cento. Avete letto bene: un minorenne su quattro vive in condizioni di povertà. Solo Bulgaria e Romania riescono a fare peggio.
Sempre secondo l'Istat le famiglie che non possono affrontare una spesa imprevista di 750 euro stanno aumentando: nel 2008, ogni cento se ne contavano 32; in un solo anno sono diventate 33,3, una su tre.
Nel 2010 quante saranno state? E nel 2011?
"Le famiglie con figli - si legge nel rapporto - sono più esposte a situazioni di disagio". L'Istat aggiunge che se in media l'11,7% delle coppie con figli dichiara di essersi trovata in arretrato con il pagamento delle bollette (contro il 5,4% di quelle senza figli), la percentuale sale al 22% per quelle con tre o più figli. E la situazione di "maggiore vulnerabilità" dei nuclei con almeno tre figli è confermata anche dal fatto che il 31,5% dichiara di arrivare a fine mese con molta difficoltà, il 7,3% di aver avuto insufficienti risorse per le spese alimentari, il 29,2% per il vestiario e il 22% di quelle che vivono in affitto o hanno contratto un mutuo sono state in arretrato con le rate.
L'Italia è anche il Paese che meno investe per contenere il fenomeno dell'esclusione sociale. Con 12,9 euro per abitante, la nostra è la quota più bassa di tutta l'Europa a 27: un sesto della media europea, un decimo di quanto spende la Francia, un'inezia rispetto ai 221 euro della Danimarca, una bestemmia per i 558 dell'Olanda.
Durissimo il Codacons: "I dati Istat dimostrano che con la Carta acquisti si è aiutato solo il 3% degli italiani che non riescono a far fronte ad una spesa imprevista di 750 euro ed appena il 15% di quelli che non riescono a fare un pasto adeguato almeno ogni 2 giorni. Una vergogna".
E meno male che il nuovo Mussolini e il suo tirapiedi Tremonti avevano promesso: "non lasciaremo indietro nessuno".

9 febbraio 2011