Nel 2008 crescita zero in Italia
In Italia salari più bassi dei 30 paesi più industrializzati

Le stangate finanziarie e i pesanti sacrifici imposti dal governo di "centro-sinistra" per "risanare il Paese" hanno immiserito i lavoratori e le masse popolari italiane. A confermarlo sono i dati sull'andamento economico e salariale pubblicati agli inizi di marzo dai maggiori centri e istituti di ricerca nazionali e internazionali.
Secondo l'analisi effettuata dal Centro Studi di Confindustria: "a causa del caro-greggio e dell'attuale livello dei cambi, l'Italia corre forti rischi di una crescita zero nel 2008. Il caro petrolio sottrae 0,6 punti alla dinamica del Pil, la rivalutazione del cambio ne toglie 0,2 (e altri 0,4 nel 2009). La frenata colpisce tutti i Paesi industriali - si legge ancora nell'analisi mensile - è piu' grave per un Paese a bassa crescita come l'Italia".
Sul fronte retributivo, ad attestare il bassissimo livello dei salari italiani non sono solo le indagini interne, come quelle dell'Istat, o degli uffici studi dei sindacati, ma anche le organizzazioni internazionali. Nel rapporto annuale dell'Ocse pubblicato l'11 marzo, l'istituto di Parigi che riunisce i trenta Paesi più industrializzati del mondo, le retribuzioni nette medie dei lavoratori italiani sono scivolate nel 2007 al 23° posto dal 19° posto del 2004. Ci superano non solo Stati Uniti, Giappone, Germania e Francia, ma anche Spagna, Grecia e Irlanda. In Europa, facciamo meglio solo del Portogallo e dei Paesi dell'ex area dell'Est, nel mondo peggio di noi se la passano solo i turchi e i messicani. Per il resto in tutti gli altri paesi si registra un salario medio più alto. In Corea il salario medio è di 37.844 dollari l'anno. Se si resta in Europa, dalla classifica Ocse emerge comunque che un inglese guadagna quasi il doppio (l'87,8% in più) di un italiano, un tedesco il 43,1% e un francese il 28,6% in più. L'Italia è nettamente sotto la media Ocse (24.660 dollari), Ue a 15 (26.434) e Ue a 19 (23.282).
I calcoli sono fatti sul salario medio al netto di un single senza carichi di famiglia e sono a parità di potere d'acquisto, inglobando anche gli effetti del caro-vita.
La classifica ovviamente si capovolge se si guarda l'imposizione fiscale e contributiva, ossia alla parte di salario che, invece di finire in busta paga, finisce nelle casse del Fisco e degli istituti previdenziali. Ciò che pesa sui salari italiani e che posiziona l'Italia al sesto posto tra i trenta più industrializzati è il cosiddetto cuneo fiscale, ossia la differenza tra lo stipendio lordo e il netto percepito.
Il cuneo fiscale è salito in Italia, per un lavoratore o una lavoratrice single, al 45,9% nel 2007, in crescita dello 0,3% rispetto all'anno precedente (e a fronte di una media Ocse del 37,7%). Ciò significa che, fatto cento il salario lordo, il 45,9% se ne va tra tasse e contributi. In particolare, l'imposizione fiscale è aumentata di 0,118 punti, i contributi previdenziali trattenuti sono saliti di 0,227 punti, mentre è rimasto invariato il contributo a carico del datore di lavoro. E pensare che proprio sul cuneo fiscale il democristiano Prodi e il governo di "centro-sinistra" avevano giocato la precedente campagna elettorale promettendo un taglio di ben 5 punti. Il taglio alla fine c'è stato, ma a tutto vantaggio dei padroni e non certo delle masse lavoratrici. In totale le tasse sul reddito, sempre nel caso di lavoratore single, sono ora pari al 14,4% mentre i contributi previdenziali sono pari rispettivamente al 7,2% per il lavoratore e al 24,3% per quanto riguarda il datore di lavoro.
Per una coppia monoreddito con due figli a carico il cuneo è stato pari nel 2007 al 33,8% (dato che posiziona l'Italia alla dodicesima posizione), in crescita dello 0,5% rispetto al 2006 (ma molto vicino al dato del 2004, e pari a quello del 2002). Il valore più basso, pari al 18,1%, è quello degli Stati Uniti, dove però va ricordato che la previdenza è privata.
Ma non è tutto, perché, evidenzia ancora l'Ocse, a erodere i redditi dei lavoratori dipendenti è anche il fiscal drag, il cosiddetto drenaggio fiscale: quel fenomeno per cui l'adeguamento dei salari all'inflazione comporta uno scaglione di tasse più elevato che dunque finisce per assorbire gli aumenti stessi. Quindi, se da un lato, l'Ocse rileva che il reddito lordo per un lavoratore single è aumentato nel 2007 del 2,6% a 23.990 euro, dall'altro lato, risulta che una gran parte di questo aumento è stato eroso dall'inflazione (cresciuta del 2%): l'aumento effettivo, al netto delle tasse, è stato così solo dello 0,6% cui tuttavia ha fatto fronte un aumento medio del livello di tassazione dello 0,2% e l'aumento inarrestabile di beni di prima necessità quali pane, pasta e latte, non adeguatamente considerati dal tasso di inflazione ufficiale.

23 aprile 2008