Berlusconi invoca la repressione poliziesca e Kossiga gli ricorda come agì da ministro di polizia

Quando il governo e la classe dominante borghese non riescono con le "buone" ad arginare ed evirare un movimento di massa, come quello studentesco, passano prontamente alle cattive, cioè lo tacciano di fomentare il terrorismo "brigatista" e agitano minacciosamente il pugno di ferro della repressione poliziesca.
Non appena il nuovo Mussolini Berlusconi ha minacciato, nel corso della conferenza stampa al fianco della Gelmini, di inviare la polizia nelle scuole e nelle università per sgombrarle e porre fine alle occupazioni, subito gli ha fatto eco il capo dei gladiatori Cossiga con un'illuminante intervista rilasciata a Andrea Cangini e pubblicata su QN il 23 ottobre. "Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno", ha esordito. Dovrebbe, cioè, "infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città.
Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano". Parole di una tale gravità da indurre il forcaiolo intervistatore a obiettare: "E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? 'In Italia torna il fascismo', direbbero". "Balle - gli risponde sprezzantemente il capo dei gladiatori - questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l'incendio."
Abbiamo voluto citare per esteso i passi salienti di quest'intervista perché a nostro parere confermano due incontrovertibili verità. La prima è che ciò che la destra e la "sinistra" di regime chiamano democrazia non è che la riedizione del ventennio mussoliniano, che non tollerava alcun tipo di contestazione di massa e opposizione sociale e le affogava nel sangue non appena facevano capolino. Se la Costituzione borghese del '48 non fosse stata ridotta a un simulacro e a carta straccia, il proclama fascista di Cossiga sarebbe stato prontamente incriminato dalla magistratura per il reato di istigazione alla sovversione golpista e al terrorismo, che nelle sue parole peraltro trova riconoscimento e autogiustificazione. La seconda è la conferma che la politica dell'infiltrazione e della provocazione non è una deviazione o eccezione rispetto al tradizionale metodo di governo borghese ma la regola: il terrorismo e le "Br" erano non solo pesantemente infiltrati e inquinati ma teleguidati dai servizi segreti, che facevano di tutto per accreditarli come un frutto della contestazione operaia e studentesca.
Quanto a Kossiga, ribattezzato così durante la Grande Rivolta del Sessantotto per la sua anima nera e la sua politica di selvaggia repressione dei movimenti operaio e studentesco, ha confessato quel che noi marxisti-leninisti denunciammo fin da subito, ossia che lo stragismo, la cosiddetta "politica della tensione" e lo stesso terrorismo "brigatista" erano lo strumento a cui ricorreva l'allora corrente golpista della borghesia per affogare nel sangue la lotta di classe per il socialismo ed è stata la strategia che avrebbe finito per aprire la strada alla seconda e all'incipiente terza repubblica neofascista e al neoduce Berlusconi.

29 ottobre 2008