Alla celebrazione della difesa di Roma dagli invasori tedeschi l'8 settembre '43
Il ministro della difesa La Russa (AN) esalta l'esercito della "Repubblica sociale italiana" di Mussolini
Alemanno si accoda, Napolitano si smarca ma auspica un "patriottismo costituzionale condiviso" una provocazione senza precedenti

L'intervento "riparatore" del leader di AN e presidente della Camera Gianfranco Fini alla festa dei giovani fascisti, in cui ha dovuto ribadire la svolta costituzionalista di Fiuggi, ha formalmente "chiuso" una settimana di polemiche apertasi con le dichiarazioni dei suoi ex "colonnelli" Alemanno e La Russa, sfacciatamente rivolte a riabilitare il fascismo e la "repubblica di Salò".
Aveva cominciato per primo il neopodestà di Roma, anche lui come Fini nel 2003 andato in pellegrinaggio in Israele per "purificarsi" agli occhi della comunità ebraica romana che ha contribuito ad eleggerlo, il quale in interviste al Corriere della Sera e al Messaggero, non aveva resistito, nel fare la rituale ammenda per le leggi razziali del '38, a precisare però che ciononostante e fino a quella data il fascismo non fu poi quel "male assoluto" che Fini fu allora costretto ad ammettere per fugare ogni sospetto di residuo antisemitismo nel suo partito. Il giorno dopo è stata la volta del suo camerata ministro della Difesa, che intervenendo l'8 settembre a Porta San Paolo alla celebrazione ufficiale del 65° anniversario della difesa di Roma da parte di alcuni reparti dell'esercito italiano contro le truppe tedesche che avevano invaso la capitale dopo l'armistizio, ne ha approfittato per fare una difesa d'ufficio e un'esaltazione dei militari della cosiddetta "repubblica sociale italiana" di Salò (Rsi) con queste parole: "Farei un torto alla mia coscienza se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Nembo della Rsi soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d'Italia".
Sulla sua scia si è subito accodato Alemanno, presente alla cerimonia come sindaco della capitale accanto a La Russa e Napolitano, che ha colto l'occasione per fare una pseudo correzione alle sue dichiarazioni che avevano suscitato immediate polemiche, ma in realtà riconfermandole in pieno nella sostanza: "Comprendere la complessità storica del fenomeno totalitario in Italia e rendere omaggio a quanti si batterono su quel fronte in buona fede - ha detto infatti il neopodestà fascista - non significa non condannare senza esitazione l'esito liberticida e antidemocratico di quel regime".

Imbarazzo e complicità di Napolitano
Da una parte la difesa e l'esaltazione dell'esercito fascista repubblichino alleato e al servizio dell'invasore hitleriano (la divisione di paracadutisti Nembo fu un reparto speciale inquadrato direttamente nell'esercito tedesco), dall'altra la riabilitazione del fascismo e di Mussolini, quantomeno fino al 1938: una provocazione senza precedenti quella dei due caporioni fascisti, anche perché messa in scena in un contesto ufficiale in cui intervenivano non come privati cittadini, e neanche come esponenti di partito, ma in veste di rappresentanti di istituzioni della repubblica e dunque soggetti al rispetto della Costituzione che - almeno formalmente - ripudia il fascismo e ne condanna l'apologia. E per di più in una cerimonia che richiamava alla memoria un episodio di resistenza al nazifascismo.
Napolitano, che doveva parlare per ultimo, ne è stato ben conscio, tant'è vero che non ha potuto celare il suo disagio e imbarazzo mentre ascoltava i grotteschi sermoni dei due eredi di Mussolini, in particolare quello sfrontatamente provocatorio di La Russa. Il suo successivo intervento, contenente il riferimento ai 600 mila militari deportati nei campi tedeschi che rifiutarono l'adesione alla "repubblica di Salò", è suonato quasi come una presa di distanza dalle parole del ministro della Difesa, o almeno così è stato "strillato" nei titoli diffusi dalle agenzie di stampa e ripresi poi dai giornali. Tanto che lo stesso La Russa, subito dopo la cerimonia, si è preoccupato di far sapere di aver parlato cordialmente con il capo dello Stato accompagnandolo alla macchina e di non aver ricevuto da lui alcuna critica.
E difatti lo stesso inquilino del Quirinale si è affrettato a precisare un paio di giorni dopo da Helsinki che il suo intervento era stato scritto prima che iniziasse la cerimonia e di non aver da fare "nessun commento", né di aver "partecipato a polemiche" o aver "tirato la giacca a nessuno", ammonendo anzi i giornalisti che avevano accreditato inesistenti contrasti col ministro della Difesa a "riferire correttamente il modo in cui si sono svolte le cose".
In realtà, se da una parte il discorso di Napolitano, con i suoi riferimenti alla Resistenza, può anche sembrare opposto a quello di La Russa e Alemanno, dall'altra presenta invece forti punti di contatto, in particolare laddove afferma che "il punto d'incontro e di sintesi (tra gli italiani, ndr) fu in un ritrovato amore per la Patria, in una comune volontà di far rinascere l'Italia, al di là delle divisioni fratricide del 1943-45". E laddove aggiunge che "si ritrovano oggi, e sempre più possono ritrovarsi, tutte le componenti ideali, sociali e politiche della società italiana nel sentire come propria la Costituzione di cui quest'anno abbiamo celebrato il 60°: nel rispettarla, nel trarne ispirazione, nell'animare un clima di condiviso patriottismo costituzionale". Un rinato e "condiviso" patriottismo che per il rinnegato del Quirinale sono incarnati nelle forze armate italiane interventiste, le "quali - ha sottolineato compiaciuto - hanno saputo via via rinnovarsi al servizio della Repubblica democratica fino a dare nuova prova di sé nel difficile cimento delle missioni all'estero per la pace e la sicurezza internazionale".
Quanto a La Russa, non solo non ha fatto una piega per le critiche che gli sono piovute addosso e ha negato qualsiasi contrasto con Napolitano, ma si è difeso sostenendo, con facile buon gioco, di aver detto le stesse cose già dette diversi anni fa da Violante, da Ciampi, da Scalfaro e altri senza che nessuno ne menasse scandalo. In sua difesa e di Alemanno sono scesi, manco a dirlo, lo stesso fogliaccio fascista di AN, il Secolo d'Italia, anche con un'intervista al rinnegato Giampaolo Pansa, ormai votato alla causa (per lui anche molto lucrosa) della riabilitazione dei "ragazzi di Salò", il quotidiano fascistoide e qualunquista Libero, con un articolo dell'ex "Lotta continua" pentito e pennivendolo di regime Giampiero Mughini, nonché Il Giornale berlusconiano. È sceso in campo perfino lo stesso neoduce Berlusconi, intervenendo alla festa Atreju dei giovani fascisti, dove pur senza riferirsi direttamente alle polemiche in corso sul fascismo e sui "ragazzi di Salò" ha significativamente esaltato il ras Italo Balbo e il colonialismo fascista in Libia. Successivamente, inaugurando la nuova stagione di "Porta a Porta", ha detto che "ci sono cose più importanti della democrazia e dell'antifascismo cui deve pensare".

Perché l'intervento di Fini
Tuttavia il caso era talmente grave da non poter essere lasciato passare senza conseguenze. Anche perché rischiava di compromettere seriamente tutta la politica di Fini, a partire da Fiuggi, tesa ad accreditare l'affidabilità democratica di AN e la sua personale come uomo delle istituzioni e il suo futuro di statista. Anche l'asse tra la destra e la lobby sionista rischiava di essere seriamente compromesso. Pur con molta riluttanza e incertezza la comunità ebraica di Roma, per bocca del suo rappresentante Riccardo Pacifici, aveva dovuto criticare le dichiarazioni degli "amici Alemanno e La Russa", anche per rispondere alla mossa di Veltroni che aveva dato per protesta le dimissioni dal museo romano della Shoah, da lui voluto e realizzato. Anche Amato aveva dovuto cedere alle pressioni del PD e abbandonare la presidenza della Commissione per Roma capitale a causa del "clima non favorevole" conseguente alle polemiche scatenate dalle dichiarazioni del neopodestà fascista.
Sta di fatto che, dopo che entrambi avevano aspettato invano che le acque si calmassero spontaneamente, Napolitano ha convocato Fini al Quirinale e i due devono aver concordato una via d'uscita che non poteva non prevedere un intervento autorevole del leader di AN per svelenire il clima, anche perché rischiava di montare nel Paese un allarme antifascista del tutto inopportuno per gli sforzi del rinnegato del Quirinale tesi a favorire il dialogo tra la destra e la "sinistra" di regime per le "riforme istituzionali" e la terza repubblica. È così che Fini è dovuto andare alla festa di Azione giovani per chiudere l'"incidente" e smentire i suoi "colonnelli", spiegando di nuovo al suo partito che la svolta di Fiuggi è stata irreversibile, che "la storia non si può isolare in fotogrammi. Le leggi razziali sono state un infame abominio ma il fascismo è tutto negativo" e che "non si può equiparare chi stava da una parte e combatteva per una causa giusta e chi, fatta salva la buonafede, stava dalla parte sbagliata".
Un intervento del tutto ipocrita e strumentale, il suo, dettato solo da opportunismo politico, per quanto lodato e osannato dai miopi e rimbambiti leader della "sinistra" borghese. Di certo destinato ad essere regolarmente smentito da una prossima uscita dei suoi camerati. In ogni caso, se non lui, ci penserà Berlusconi a far da sponda alle provocazioni dei nostalgici di Salò, come ha fatto raccogliendo le ovazioni dei giovani fascisti con l'apologia di Balbo. Non a caso il neoduce è stato definito dal fascista ex repubblichino Ciarrapico il vero erede e continuatore della "repubblica sociale italiana". Anche i fascisti, insomma, lo individuano sempre più come il nuovo Mussolini dell'Italia di oggi.

17 settembre 2008