Sono 500 mila i lavoratori-ragazzini

Sfruttati e invisibili. Ammonta a quasi 500 mila l'esercito dei lavoratori-ragazzini nel nostro paese. Una piaga, quella del lavoro minorile, che non accenna a diminuire e che rappresenta ben il 10% del lavoro sommerso che in Italia è pari al 22% del Pil, un vero e proprio record.
A rinnovare la denuncia di questo drammatico e vergognoso fenomeno è l'ultimo rapporto stilato dall'Ires-Cgil.
Secondo l'indagine sono tra i 360 e i 400 mila i bambini in una fascia di età compresa tra i 7 e i 14 anni sfruttati e rappresentano circa l'8-9% sul totale dei loro coetanei. Tra questi vi sono anche i bambini figli di migranti e i 30-35 mila minori non accompagnati entrati in Italia clandestinamente.
Il 17,5% del totale, cioè circa 70 mila, lavorano oltre 4 ore in modo impegnativo e continuativo e oltre il 50% di questi 70 mila, ossia circa 40 mila, lavorano 8 e più ore, con paghe irrisorie che oscillano tra i 200 e i 500 euro.
Circa 130 mila, ossia il 32% dei minori sfruttati, sono impiegati in lavori stagionali e il 50%, circa 200 mila, aiutano i genitori nei cosiddetti "lavoretti" retribuiti con la cosiddetta "paghetta" ma che la Cgil considera invece "lavori precoci" in una famiglia povera.
Quanto ai settori che più sfruttano il lavoro minorile, al primo posto balza il commercio che occupa il 57% dei 70 mila minori impiegati in lavori continuativi, seguito dall'artigianato, il 20% e ben l'11% è impiegato nell'edilizia.
Povertà, lavoro minorile e dispersione scolastica sono le due facce della stessa medaglia. E non è dunque un caso che l'Italia detenga il secondo posto in Europa per la più alta percentuale (il 17%) di minori che vivono sotto la soglia di povertà. Al Sud il triste record: sono il 29,1% i minori poveri. Tra i bambini tra i 7 e 10 anni che lavorano più dell'80% proviene da famiglie sotto ai limiti o ai limiti della soglia di povertà. Una condizione di indigenza che rende "importanti" anche la manciata di euro portati a casa dal lavoratore-ragazzino quando si ha difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena, e che ha come conseguenza diretta l'abbandono della scuola.
Ma quel che è intollerabile è che la piaga dello sfruttamento del lavoro minorile negli ultimi dieci anni è cresciuta a dismisura. E anche se sui dati attuali pesa il "contributo" dato dai minori stranieri, il vero motivo è che vi è stato un abbassamento della guardia di fronte alla lotta di questo fenomeno, per non dire una aperta connivenza politica e istituzionale.
Per contrastare o quantomeno limitare il fenomeno la Cgil ha avanzato diverse proposte tra cui quello di attuare un piano straordinario, sul modello di quanto avvenuto recentemente in Portogallo, a cui destinare specifiche risorse per presidiare il territorio e costituire, con specialisti del settore, delle task force, ognuna con compiti particolari e ben distribuiti. Tra questi c'è anche da affrontare il fenomeno del reclutamento della criminalità organizzata, che del lavoro minorile si serve a piene mani. C'è poi la richiesta che il governo rifinanzi la legge per la promozione dei diritti e dell'infanzia e di mettere urgentemente mano a un disegno di legge che si occupi di contrastare la povertà. Se non si parte da questo ogni provvedimento nei fatti è privo di ogni credibilità politica.
Infatti se si vuole tagliare l'erba sotto i piedi agli sfruttatori di minori occorre da una parte sostenere in maniera multiforme (con aiuti sul piano economico, assistenziale, educativo e psicologico) le famiglie povere e indigenti, sia italiane sia dei migranti, con figli minori avviati al lavoro illegalmente con l'obbligo di riportarli a scuola. Dall'altra sono necessari adeguati provvedimenti che vedano il concorso di scuola, sindacati, comuni, ecc. moltiplicando le ispezioni e che sanzionino anche col carcere, nei casi più gravi, i datori di lavoro colpevoli di sfruttamento del lavoro minorile. Cosiccome è necessario nei contratti nazionali di lavoro sancire il divieto di impiegare mano d'opera al di sotto dei 16 anni e il divieto per le imprese di acquisire o far produrre sia sul territorio nazionale che all'estero prodotti realizzati con lavoro minorile. Inoltre occorre portare l'obbligo scolastico fino a 18 anni di età non attraverso una mera enunciazione del legislatore ma grazie all'impegno concreto da parte dello Stato che garantisca scuole pubbliche, gratuite e governate dalle studentesse e dagli studenti.

5 settembre 2007