Un film incentrato su Dio, patria e famiglia
La Lega di Bossi strumentalizza il "Barbarossa" per esaltare il secessionismo
Proiettato in anteprima il 2 ottobre al Castello Sforzesco di Milano alla presenza dei gerarchi Bossi, Berlusconi, La Russa, Formigoni ed esponenti di industria, banche e finanza, tutti entusiasti della pellicola, il film di Renzo Martinelli si è invece rivelato un fiasco clamoroso al botteghino

Proiettato in un numero spropositato di sale (ben 267), costato una fortuna (circa 30 milioni di euro in gran parte sborsati dalla vituperata Rai), nel suo primo fine settimana di proiezione "Barbarossa", il film sul "centralismo da combattere" fortemente voluto dal fascio-leghista Umberto Bossi, ha incassato appena 400 mila euro. Persino lombardi, veneti e piemontesi, a cui idealmente è dedicato il film, si sono tenuti alla larga dalle sale. Uno sperpero di denaro pubblico vergognoso, necessario al neoduce Berlusconi, che in un giro di raccomandazioni e finanziamenti, come rivelarono un paio d'anni fa alcune intercettazioni telefoniche, si spese in prima persona con Agostino Saccà, presidente di Rai Fiction, per assicurarsi anche in questo modo la fedeltà incondizionata del leader delle camicie nero-verdi separatiste, razziste e xenofobe.
Finanziato pure da una cordata di padroni "padani", il film è stato realizzato anche con i loro metodi, ovvero con la delocalizzazione del set per ragioni economiche. "Barbarossa", infatti, è stato girato in Romania, con ventimila comparse rumene e bulgare, lo "zingarume, come le ha definite il regista anticomunista Renzo Martinelli ("in Italia i costi sarebbero almeno triplicati").

Operazione mistificatoria
Tanto industriarsi per che cosa? Al di là del suo misero valore cinematografico a cui accenneremo più avanti ci preme denunciare la sporca strumentalizzazione che il partito di Bossi fa di quell'avvenimento storico per spacciarsi come l'erede di quella "Lega Lombarda" che riunì le allora ricche città lombarde per resistere all'invasione e alla tirannia dell'esercito capeggiato dall'imperatore tedesco Federico I Barbarossa e sbaragliarlo nella battaglia di Legnano nel 1176. Una strumentalizzazione gridata e ripugnante che ha indotto il regista a far recitare lo stesso Bossi nella parte del nobile cittadino che appare nel film prima della decisiva battaglia di Legnano ricostruita nella foresta di Calugareni in Romania ("il mio compagno di viaggio" lo ha definito Martinelli perché "mi piace mettere i miei amici nei film"). Con tale cameo tenuto segreto fino all'inizio della proiezione, Bossi si autoinveste a liberatore del Nord ma mistifica la storia assimilando la sacrosanta resistenza della popolazione lombarda all'invasore tedesco, che aveva un carattere progressista, alla sua politica di secessionismo neofascista ai danni dell'unità nazionale, che ha un carattere reazionario e nostalgie feudali. Allora l'imperatore tedesco tentò di impossessarsi dell'Italia del Nord per poi conquistare anche l'Italia centrale, rase al suolo Milano, scacciandone gli abitanti e trasformandone i rimanenti in contadini asserviti, e soffocò la popolazione locale con tasse a non finire. Oggi la Lega di Bossi divide le masse popolari artificiosamente e solo per soddisfare gli appetiti delle ricche e ottuse borghesie locali e col suo secessionismo vuole ricacciarci indietro nel feudalesimo, mentre la sua politica ha una nera impronta razzista e xenofoba.
Inoltre il film del tandem Martinelli-Bossi si guarda bene dall'accennare anche solo di sfuggita alla situazione che attraversava l'Italia del tempo, frazionata politicamente e ostacolata nell'unificazione nazionale tanto dall'impero quanto e soprattutto dal papato. Cosicché il progresso economico e sociale manifestatosi al tempo dei Comuni non portò alla formazione di un unico mercato interno. Se le tante città-stato dell'Italia centro-settentrionale riuscirono a fiorire, ciò fu dovuto in gran parte al commercio con l'estero. E tuttavia si esaurirono in una lotta intestina, fomentata ad arte tanto dal papato quanto dall'impero, che rifletteva l'acuta concorrenza economica e per la supremazia politica. Insomma non una sola ma due erano le maggiori forze reazionarie del Medioevo: il papato e l'impero. Soprattutto il papato (che strumentalmente appoggiò la Lega Lombarda, mentre il Barbarossa aveva preso a pretesto, per intervenire, la supposta richiesta di aiuto rivoltagli da alcuni comuni, come Lodi, Pavia e Como, insofferenti verso le prepotenze di Milano) rappresentò in Italia l'ostacolo più insormontabile per il progresso e l'unificazione nazionale, quello stato bastione della reazione feudale che, collocato nel cuore strategico della penisola, la divideva in due, nonché quella potenza egemone in epoca feudale che dominava l'Europa e ambiva con le Crociate a espandersi a Oriente, a cui dovevano obbedienza, investitura e sottomissione imperatore e monarchi. Ma a questo il film si guarda bene dall'accennare.

Le masse non abboccano
Dal punto di vista tecnico siamo davanti a una piatta regia televisiva appesantita da effetti speciali hollywoodiani, una colonna sonora assordante e stordente, una sceneggiatura sciatta che cade nel grottesco infarcita per di più dalle stucchevoli premonizioni di veggenti e visionari, che legano i personaggi a un destino metafisico, rendendo la storia la manifestazione della volontà del divino.
La stessa battaglia di Legnano con cui nel 1176 la Compagnia della Morte guidata dal milanese Alberto da Giussano (personaggio storicamente incerto e creato nel XIV secolo dal frate domenicano Galvano Fiamma per compiacere con la sua storia di Milano il signore Galeazzo Visconti) ebbe la meglio sull'esercito di Federico I è rappresentata come una rivendicazione divina. Evidentemente Dio e patria per le camicie nero-verdi vengono prima di tutto e vanno pure a braccetto. Per completare la triade fascista non manca neppure l'esaltazione finale della famiglia. Il regista infatti tiene a informare a conclusione del film che "Alberto da Giussano sposò Eleonora ed ebbero molti figli", da buona coppia cattolica, eterosessuale e prolifica.
"Barbarossa" è un film scialbo, figlio della pochezza intellettuale della nascente terza repubblica piduista e della mai morta lottizzazione e rapina dei finanziamenti pubblici attuata proprio da quella Lega che gridava contro "Roma ladrona".
Ignorando "Barbarossa" le masse popolari hanno inferto un duro colpo al nascente filone dei film epici di esaltazione del regime neofascista.
La non premiata ditta Bossi-Martinelli ha in cantiere infatti un film islamofobico dedicato a Marco d'Aviano, predicatore delle province venete e venerato come beato dalla Chiesa cattolica, dal significativo titolo "11 Settembre", "perché proprio in quel giorno del 1683 - ha spiegato Martinelli - divampò a Vienna una battaglia pressoché dimenticata ma fondamentale per arginare l'avanzata islamica dell'esercito ottomano, guidato dal sultano Maometto IV e da Kara Mustafà, a opera della coalizione cristiana, capitanata dal re di Polonia Sobieski e ispirata dal venerabile Marco d'Aviano, in qualità di messo di papa Innocenzo XI. Se quella battaglia fosse stata perduta, oggi pregheremmo tutti inginocchiati verso la Mecca. Questa è storia. Sarà un'altra produzione in grande stile". E noi gli auguriamo un altro grande flop.

28 ottobre 2009