La legge Acerbo

Durante il ventennio fascista ci fu una sola tornata elettorale, quella del 6 aprile 1924, e due plebisciti, il 24 marzo 1929 e il 25 marzo 1934. I due plebisciti furono una farsa di regime ma la legge elettorale sulla cui base di tennero le elezioni del 1924 merita grande attenzione essenzialmente per due motivi. Il primo è che tale legge, conosciuta come legge Acerbo dal nome del suo redattore, era una legge di tipo maggioritario, imperniata sul premio di maggioranza, quindi come la "legge truffa" del 1953, e come risulterebbe la prossima legge elettorale qualora passasse il sì al referendum Guzzetta-Segni del 21 giugno. Il secondo motivo è il "come" si giunse all'approvazione della legge Acerbo, cioè grazie alla progressiva capitolazione innanzitutto dei popolari, riformisti e liberali di allora. Ciò che è successo in questi ultimi decenni da parte della "sinistra" borghese che ha finito con lo sposare interamente la linea elettorale maggioritaria e presidenzialista della destra così come era previsto nei piani della P2 di Gelli. Fino all'ultima capitolazione di Franceschini che al referendum elettorale voterà sì come il neoduce Berlusconi.

L'avvento del fascismo di ieri
La realizzazione del regime fascista avvenne, grazie alle suddette capitolazioni, gradualmente, attraverso una serie di tappe successive. Dal punto si vista elettorale, la tappa decisiva fu appunto la legge Acerbo che attraverso il controllo assoluto del parlamento, permise a Mussolini, in maniera formalmente "legale" e utilizzando, proprio come vuole fare il suo epigono Berlusconi, una procedura di revisione costituzionale, di assicurarsi tutto il potere esecutivo attraverso una serie di leggi.
Tra queste vanno ricordate la legge del 1925 per la riforma dello Stato; quella del novembre del 1926 per la soppressione dei partiti politici e l'istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato; la trasformazione del Gran consiglio del fascismo in organo dello Stato nel 1928, per poi arrivare alla definitiva soppressione della camera dei deputati e l'istituzione in sua vece della camera dei Fasci e delle Corporazioni i cui componenti erano designati per legge tra i gerarchi del partito fascista e delle corporazioni.
Alle elezioni del 1921 i fascisti raccattarono 2 seggi, in proporzione lo 0,4%; alle elezioni successive, quelle del 1924, ottennero invece 374 seggi, il 69,9%. Questo sbalorditivo incremento fu l'amara conseguenza del clima di terrore e di intimidazione fasciste in cui si svolsero le elezioni del 1924, ma anche della legge elettorale che era stata approvata dal parlamento il 18 novembre 1923, n. 2444. Tale legge è conosciuta come legge Acerbo dal nome del sottosegretario alla presidenza del consiglio che la redasse su indicazione di Mussolini, cioè Giacomo Acerbo.
La legge Acerbo era imperniata su un meccanismo tanto semplice quanto antidemocratico e truffaldino, cioè l'assegnazione della maggioranza assoluta dei seggi al partito che otteneva la maggioranza relativa dei voti. In tal modo si stravolgeva e falsificava l'effettivo peso elettorale dei partiti, attribuendo a quello più forte elettoralmente la maggioranza assoluta dei seggi e quindi il predominio parlamentare e governativo. La legge Acerbo stabiliva che fossero assegnati ben due terzi del numero totale dei deputati al partito che avesse ottenuto il maggior numero di voti, comunque non meno del 25% dei voti validi. L'altro terzo dei deputati veniva ripartito tra le liste minoritarie in base alla percentuale dei voti ottenuti da ciascuna di esse. Era inoltre costituito un unico collegio nazionale, suddiviso in circoscrizioni elettorali regionali, che abbracciava l'intero territorio dello Stato. Era del tutto evidente che la legge Acerbo avrebbe permesso, come infatti avvenne, a Mussolini e ai fascisti di impadronirsi del parlamento e quindi di compiere un altro passo decisivo per la piena realizzazione del regime fascista.
Eppure vi fu un'infame capitolazione da parte degli altri partiti, in particolare dei popolari, i riformisti e i liberali. Del resto, allorché il re affidò a Mussolini la guida del governo - dopo le dimissioni del governo Fatta -, governo costituitosi il 31 ottobre 1922, accettarono di farne parte oltre ai fascisti e ai nazionalisti anche i liberali di destra e di sinistra, i democratici-sociali e i popolari, a dimostrazione che intorno al fascismo si erano già coagulate tutte le principali frazioni della borghesia. La capitolazione nei confronti della legge Acerbo non fu comunque immediata. Anzi, quando Mussolini la propose, non solo i socialisti e il PCI si opposero, ma anche i popolari. Mussolini allora, nel tentativo di aggirare l'ostacolo, propose che la legge Acerbo fosse discussa da una apposita commissione parlamentare composta da 18 rappresentanti di tutti i partiti. Accettare di far parte di quella commissione era già una capitolazione, significava accettare il terreno imposto da Mussolini, eppure nessuno si tirò indietro.

L'opposizione parlamentare capitolò
Ne fecero parte Giolitti, presidente; Orlando e Salandra, vicepresidenti; Falciani (democratico); Fera e Casertano (democratici sociali); Grassi (demoliberale); Paolucci e Terzaghi (fascisti); Orano (gruppo misto); Chiesa (repubblicano); Lanza di Scalea (partito agrario); De Gasperi e Micheli (popolari); le tre formazioni dei socialisti, con Turati (socialista unitario), Bonomi (riformista), Lazzari (massimalista) e persino il PCI con Graziadei.
I popolari proseguono la loro capitolazione con il loro leader De Gasperi, che prima afferma che il "no" dei popolari alla legge Acerbo non è pregiudiziale e poi, in commissione, avanza la proposta del suo partito: sì alla legge Acerbo purché il minimo di voti necessari per farla scattare sia portato da 25% a 40%.
Tale proposta sarà fatta propria anche dai socialisti e dal PCI, che insieme ai popolari l'avanzarono ufficiamente nella relazione di minoranza della commissione. Sarà ripetuta in parlamento dal popolare Gronchi nel dibattito sulla legge Acerbo che si apre alla Camera il 10 luglio 1923. Il 15 luglio interviene nel dibattito parlamentare Mussolini che, in un discorso nel quale alterna minacce a menzogne, irride la "proposta" di popolari, socialisti e PCI affermando: "I piccoli mercanti dei due quinti, dei tre quarti, o di qualche altra frazione di questa abbastanza complicata aritmetica elettorale, non mi interessano e non mi riguardano". Al termine dell'intervento di Mussolini i fascisti chiedono il voto. Iniziano nel frattempo le defezioni, con deputati che dal "no" alla legge Acerbo passano al sì, come Falciani (democratico), o come il socialista riformista Bonomi che dal "no" passa all'astensione. Mussolini pone allora il voto di fiducia al governo sia sulla decisione di passare alla discussione della legge che sulla legge stessa. I popolari, decidono di astenersi e con ciò danno il via libera a Mussolini. Alcuni deputati popolari, come Vassallo, dichiarano addirittura che voteranno a favore della legge. L'infausta marcia della legge Acerbo non incontrerà più ostacoli e verrà approvata definitivamente dalla Camera il 21 luglio 1923 con 223 voti contro 123, dal Senato il 13 novembre dello stesso anno con 165 voti contro 41 e trasformata in legge il 18 novembre, n. 2444.
I capitolazionisti tentarono di giustificare il loro infame comportamento sostenendo di aver voluto evitare la "guerra civile" che Mussolini avrebbe scatenato nel Paese se la legge Acerbo non fosse passata. Cosicché, anziché combattere, preferirono capitolare senza colpo ferire, macchiandosi di un indelebile crimine storico.
I nefasti effetti della legge Acerbo non mancarono di farsi sentire nelle elezioni del 6 aprile 1924. Mussolini presentò un "listone" governativo con dentro noti esponenti liberali come Orlando e Salandra, ex popolari e numerosi industriali fra cui lo stesso presidente della Confindustria, Benni. Questo blocco elettorale ricevette il sostegno di tutti i centri decisivi della vita italiana: dall'esercito ai giornali della borghesia, dal Vaticano alla Casa Savoia. Del "listone" furono eletti 356 membri, dei quali due terzi esponenti fascisti e un terzo fiancheggiatori. A questi vanno aggiunti gli eletti delle "liste bis" che i fascisti avevano creato per disturbare le opposizioni. In tutto il 56,54% dei voti. Scattò allora il "premio" previsto dalla legge Acerbo e i fascisti ottennero il 69,9% dei seggi, dunque il totale controllo del parlamento in attesa di sopprimerlo totalmente nel 1938.

E oggi peggio della legge Acerbo
La nuova legge elettorale fascista che entrerebbe in vigore qualora vincessero i sì al referendum del 21 giugno paradossalmente sarebbe ancor più grave della legge Acerbo. Sia perché allora non esisteva una soglia di sbarramento per i partiti più piccoli come invece prevede l'attuale legge, sia perché in questo caso non sarebbe prevista nessuna soglia minima di voti validi necessari per assicurarsi il premio di maggioranza. In teoria anche solo col 10% dei voti validi, il partito che risultasse comunque il più votato si assicurerebbe la maggioranza assoluta dei seggi.
Disertare le urne il prossimo 21 giugno al referendum per non far passare la nuova legge fascista è dunque un imperativo per tutti gli autentici democratici e antifascisti.

27 maggio 2009