Con l'appoggio di Napolitano varata una Finanziaria di 27,3 miliardi in tre anni. 11,6 miliardi per il 2014
La stangata c'è, in particolare sul pubblico impiego
Il Mezzogiorno non è nemmeno menzionato. Alimenta il precariato invece di ridurlo. Prolungato al 2018 il blocco del turn-over e ancora bloccati i contratti pubblici. Solo 14 euro al mese in più per i lavoratori. L'Imu sostituita dalla Trise. Non toccate le rendite finanziarie. Tagli alla spesa pubblica. Rimandati i tagli alla sanità al 2015
Occorre subito lo sciopero generale, 4 ore sono uno sciopericchio

“Per la prima volta non si comincia con una sforbiciata di tagli o nuove tasse che servono per Bruxelles”: è così che il presidente del Consiglio Letta ha esordito compiaciuto presentando il 15 ottobre alla stampa la legge di Stabilità 2014 da 11,6 miliardi di euro, vantandone il carattere di “svolta” rispetto a quelle degli ultimi anni perché a suo dire “restituisce risorse” alle imprese e ai lavoratori e non rappresenta “una mannaia” per le famiglie, dato che alla fine non ci sono stati i paventati tagli alla sanità e che invece farà scendere la pressione fiscale di un punto nei prossimi tre anni. Ma in realtà la stangata c’è anche stavolta, eccome! Da quello che è emerso dai resoconti della stampa (perché un testo ufficiale al momento in cui scriviamo ancora non c’è e la legge è già stata riscritta almeno sette volte nel giro di 72 ore a causa dei contrasti interni alla maggioranza), a fronte di una risibile elemosina di una decina di euro mensili in media nelle buste paga, da cui sono escluse oltretutto le pensioni, arrivano 27 miliardi di manovra complessiva per il triennio 2014-2016. E tra questi sono ben 16 i miliardi di tagli alla spesa e nuove entrate fiscali, di cui oltre la metà da realizzare già il prossimo anno. Per il 2014 la legge prevede infatti 8,6 miliardi di entrate, ma di questi ben 3,5 proverranno direttamente da tagli alla spesa pubblica, di cui 2,5 miliardi dal bilancio dello Stato e 1 miliardo da quello delle Regioni. A farne le spese saranno soprattutto i lavoratori del pubblico impiego, con un ulteriore rinvio dei contratti già bloccati da anni, il prolungamento del blocco del turn-over e la riduzione degli straordinari, con il conseguente aggravamento della situazione dei precari e il peggioramento quando non la chiusura dei servizi alla cittadinanza, in particolare nella scuola e nella sanità. C’è poi la nuova service tax sulle abitazioni, la Trise, che non è altro che la vecchia Imu 2012 sotto altro nome, con l’aggravante che non avrà nemmeno le detrazioni per la prima casa e per i figli a carico e che dovranno pagarla in percentuale anche gli inquilini. E i previsti tagli alla sanità sono usciti dalla legge solo per essere rinviati alla nuova spending review allo studio del governo e al “patto per la salute” con le Regioni. Si mette inoltre mano subito alla collocazione sul mercato di una prima tranche di beni statali di pregio per mezzo miliardo di euro, in preparazione di una più massiccia svendita di proprietà demaniali e partecipazioni pubbliche per un altro miliardo e mezzo nel triennio, non escluse le spiagge. E mentre ancora una volta non si toccano le rendite finanziarie e non si lesinano i finanziamenti alle forze armate e di polizia, alla scuola privata e alle grandi opere come il Mose e l’alta velocità ferroviaria, si riservano solo poche briciole per gli esodati, i cassintegrati, l’assistenza ai disabili e la scuola pubblica. Il Mezzogiorno, poi, stavolta non è neanche menzionato, come se ormai la questione meridionale non fosse più un problema che riguarda il futuro di questo Paese. Eppure l’ultimo rapporto Svimez fornisce dati allarmanti sull’aggravamento della situazione già drammatica del Sud, dove la disoccupazione reale ha raggiunto il 28,4%, contro il 12% del Centro-Nord ed è ripresa massicciamente l’emigrazione della forza lavoro, tanto che negli ultimi 20 anni sono emigrate dal Sud 2,7 milioni di persone, come se fosse scomparsa una regione di media grandezza come la Calabria. Si tratta dunque ancora una volta di una finanziaria che scarica tutto il peso della crisi sui lavoratori e le masse popolari, fatta su misura degli interessi del grande capitale, dei mercati finanziari, della Bce e della Commissione europea, alla quale è stata infatti subito inviata per chiederne l’approvazione. E non a caso lo spread è calato ai minimi storici dal luglio 2011, non appena sono state annunciate le misure contenute nella legge di Stabilità. Eccone qui una sintesi:

Cuneo fiscale
 Stanziati 10,6 miliardi in 3 anni, di cui 5,6 per le imprese e 5 per i lavoratori dipendenti. Sindacati e imprese chiedevano almeno 10 miliardi già per l’anno prossimo. Invece sono solo 2,5 miliardi per il 2014, di cui 1,5 di riduzioni Irpef per i lavoratori dipendenti fino a 55 mila euro di retribuzione lorda (ma non per i pensionati) e 1 miliardo per le imprese, sotto forma di defiscalizzazione per i neo assunti. Per i lavoratori lo sgravio massimo (fascia di reddito lordo intorno ai 15 mila euro) arriverà a 182 euro l’anno: 14 euro mensili, neanche una pizza e una birra! In compenso il taglio dal 19 al 17% in due anni (equivalente a 3 miliardi nel 2015 e 7 nel 2016) delle detrazioni Irpef per spese sanitarie, mutui, assicurazioni ridurrà ulteriormente i “benefici” della riduzione del cuneo. È questa una clausola di salvaguardia, prevista dal “fiscal compact” recepito nella Costituzione, se la legge di stabilità giungesse a sforare l’obiettivo del 3% del deficit.

Pubblico impiego
Blocco della contrattazione fino a tutto il 2014, estesa anche alle amministrazioni in house (tipo aziende speciali comunali, provinciali e consortili) ed enti. Era già bloccata dal 2009, con una perdita secca media di 600 euro a testa. cancellata l’indennità di vacanza contrattuale per il biennio ‘13-14. L’ultima era stata corrisposta nel 2010, per 9 euro al mese. “Il fermo dei contratti negli ultimi tre anni è costato ai dipendenti 7 miliardi, cui rischiano di aggiungersi altri 7 se fino al 2017 non sarà corrisposto altro che la vacanza contrattuale. Il lavoro pubblico non è un bancomat”, ha protestato Rossana Dettori, segretaria della Funzione pubblica (Fp) Cgil. È stato inoltre prorogato fino al 2018 il blocco del turn-over: nel 2014 potrà essere rimpiazzato solo il 20% del personale andato in pensione, ad esclusione di forze armate, polizia e vigili del fuoco. Negli ultimi 10 anni la Fp ha perso già 300 mila posti di lavoro. Rischiano perciò di saltare anche 126 mila precari in scadenza, che potrebbero non essere prorogati il 31 dicembre. Tagliati del 10% anche gli straordinari (solo 5% per polizia e vigili del fuoco), e tutto ciò non potrà non recare ulteriore grave pregiudizio ai già ridotti servizi alla popolazione: “Già oggi – dice Dettori – anche in settori sensibili come la scuola e la sanità quelle ore di straordinario che il governo vuole tagliare servono spesso a garantire la copertura dei turni. Risponderemo punto per punto, se necessario con la mobilitazione”. Infine, e come se non bastasse, sarà rateizzata in due volte, e nell’arco di un anno, la corresponsione della liquidazione che attualmente avviene dopo sei mesi in un’unica soluzione. Si va addirittura a due anni per i Tfr sopra i 50 mila euro e tre anni sopra i 100 mila euro.

Service tax
Nasce la nuova service tax, denominata Trise (tributo sui servizi), che accorpa la nuova tassa sui rifiuti (laTari, che sostituisce l’attuale Tares) e la nuova tassa sui servizi indivisibili (Tasi), e la prima rata andrà pagata già il 16 gennaio. La Tasi sostituisce l’Imu per le prime case non di lusso, mentre si affianca all’Imu per tutte le altre. Come l’Imu è calcolata sulla rendita catastale, con un’aliquota base dell’1 per mille che potrà essere aumentata dai comuni al 2,5 per mille per l’abitazione principale e fino all’importo della vecchia Imu pagata nel 2012, cioè il 10,6 per mille, per tutte le altre. Con il paradosso che nei comuni dove le seconde e terze case già pagano il 10,6 di Imu la Tasi non si pagherà affatto. A differenza dell’Imu sarà pagata in parte (si parla dal 10 fino al 30%) anche dagli inquilini, e non ci saranno le detrazioni di 200 euro per la prima casa e quelle per i figli a carico. Secondo la Cgia di Mestre la Trise costerà in media circa 370 euro a famiglia, ma penalizzate rischiano di essere soprattutto le prime case più modeste, che a causa della cancellazione delle detrazioni rischiano di pagare più dell’Imu del 2012, qualora l’aliquota applicata fosse del 2,5 per mille. Ai comuni è stato promesso 1 miliardo di compensazione dallo Stato, in modo che il gettito finale della Tasi non si discosti molto dai 4 miliardi che assicurava l’Imu prima casa.

Rendite finanziarie
Non è passata la proposta del PD di aumentare la tassa sulle rendite finanziarie dal 20 al 22%, anche per riallinearsi con le tassazione europea, per l’opposizione sia del PDL che del ministro dell’Economia Saccomanni. Al suo posto è stato aumentato il bollo sulle comunicazioni relative a prodotti finanziari dall’1,5 al 2 per mille per il 2013, misura che vale 900 milioni. È passato invece un ulteriore sconto ai concessionari di giochi e slot-machines per aderire alla sanatoria, con l’aliquota che scende dal 25 al 20% del dovuto. La sanzione iniziale di 98 miliardi, già ridotta a 800 milioni da Tremonti, viene così portata dal governo delle “larghe intese” ad appena 500 milioni. E, ciliegina sulla torta, Saccomanni ha anche allo studio un altro scudo fiscale da varare entro l’anno per i capitali esportati illegalmente all’estero.

Enti locali
Come già accennato è stato tagliato 1 miliardo di spesa alle Regioni. Ai comuni è stato concesso invece di allentare il patto di stabilità di 1 miliardo per fare investimenti, più 500 milioni per il pagamento dei debiti verso fornitori. Ma dovranno anche subire una spending review da 5 miliardi nel 2014, che se non raggiunti saranno coperti con un aumento delle accise a partire dal 2015

Dismissioni
 A inizio dicembre lo Stato venderà alla Cassa depositi e prestiti un primo gruppo selezionato di immobili di pregio da mettere sul mercato, per un ricavo stimato di 525 milioni. Ma entro il triennio 2014-16 il governo punta a vendere altri beni per 1,5 miliardi. Tra cui potrebbero esserci anche le spiagge, come chiedeva Alfano. In proposito Letta aveva dichiarato allegramente al Washington Post: “I mercati sono pronti a comprare asset pubblici, per esempio Fincantieri. Venderemo parte di Terna (la rete distributiva dell’energia elettrica, ndr), ovviamente non il 100% ma il 49%. Presenteremo questo piano di privatizzazioni che penso sia un passo importante. Oggi la pressione fiscale è al 44,3%. Entro tre anni la ridurremo al 43,3%. E reperiremo le risorse attraverso un processo di privatizzazione”. La sciagurata vicenda della privatizzazione della Telecom non ha evidentemente insegnato nulla.

Sanità
Nonostante che in Italia la spesa sanitaria in rapporto al Pil sia più bassa che in Francia, Olanda e Germania, fino all’ultimo si è parlato di tagli lineari per 3,5 miliardi nel prossimo anno e di altri 1,5 nel 2015. La ministra Lorenzin, che si era opposta insieme alle Regioni, ricordando che negli ultimi anni la sanità è stata già tagliata per ben 22 miliardi, ha esultato soddisfatta: “Nessun taglio alla sanità, è la prima volta in 10 anni”. Ma si è scordata di precisare che in questi 10 anni, tranne due, al governo c’era il suo amato leader Berlusconi. Per ora i tagli sono stati rimandati al “patto per la salute” da definire insieme alle Regioni entro dicembre. C’è poi l’altra spada di Damocle dei ticket per 2 miliardi su specialistica e diagnostica (già programmati dall’ultima manovra del governo Berlusconi) che dovrebbero scattare a gennaio. Il governo ha “promesso” che non li applicherà ma che saranno inglobati nella nuova spending review, cioè altri tagli di beni e servizi, che dovrà essere definita entro il 2014 dal nuovo commissario straordinario Carlo Cottarelli. L’obiettivo minimo da raggiungere è di 600 milioni di “risparmi” nel 2015 e 1,6 miliardi nel 2016. Tra l’altro, solo per effetto delle misure sul pubblico impiego, la spesa sanitaria sarà tagliata di 1,15 miliardi nel prossimo biennio.

Istruzione
Qualche briciola è stata concessa per le Università (150 milioni per il fondo ordinario 2014) e per i policlinici universitari (80 milioni). In compenso arriva un generoso finanziamento alle scuole paritarie (leggi private), con un’aggiunta di 220 milioni per il 2014: buon sangue democristiano (di Letta e Alfano) non mente.

Infrastrutture
Stanziati 3 miliardi, di cui 2,1 aggiuntivi. Tra questi 400 milioni vanno ad opere inutili come il Mose; esattamente quanti ne vanno per tutta la manutenzione delle ferrovie, invece dei 700 previsti inizialmente. In compenso 720 milioni vanno invece all’alta capacità ferroviaria.

Spesa sociale
Stretta sugli assegni di accompagnamento, con l’istituzione di una soglia di reddito di 60 mila euro per gli ultra 65enni dal prossimo anno. Concessi 250 milioni al fondo per i non autosufficienti, quando solo per i malati di SLA ne servirebbero almeno 280. Rifinanziata la cassa integrazione in deroga per altri 600 milioni, ma secondo la CGIL ne mancano almeno altri 300. “Ricaricato” il fondo per la social card di 250 milioni di euro per il 2014. Salvaguardati altri 6.000 esodati (praticamente un’altra goccia d’acqua nel deserto), con copertura a carico delle pensioni sopra i 100 mila euro. Ripristinata “a scalare” l’indicizzazione delle pensioni sopra i 1.400 euro lordi, ma resta il blocco per le pensioni sopra i 3.000 euro. In compenso, con singolare solerzia, sono stati stanziati 80 milioni per il rimborso del prelievo sulle pensioni d’oro che era stato bocciato dalla Corte costituzionale.

Spese militari
 Qui il governo è di manica larga, con 850 milioni per rifinanziare le missioni di guerra all’estero, 340 milioni per la flotta navale, 190 milioni per potenziare la rete comunicazioni delle forze di polizia. Braccino corto invece per la flotta aerea antincendio (appena 5 milioni). Mentre per i Canadair bisognerà aspettare i proventi degli aerei dismessi dello Stato, sempre che si riesca a venderli.

Occorre lo sciopero generale
 A sostenere a spada tratta la legge di Stabilità di Letta è solo il PD di Epifani. Sul piede di guerra invece Berlusconi per la service tax, per i tagli alla sanità rinviati e contro ogni ipotesi di tassazione delle rendite. Il neoduce usa la legge di Stabilità come arma di ricatto per minacciare di far cadere il governo in caso il parlamento approvi la sua decadenza. Anche il padronato, con in testa la Confindustria di Squinzi, è scontento perché si aspettava un regalo ben più sostanzioso sulla riduzione del cuneo fiscale e sui tagli alla spesa pubblica, e tuona affinché non siano approvati altri aggravi di spesa in parlamento. Prevedendo tutto ciò e per addolcire la pillola, Letta aveva messo le mani avanti dichiarando che “abbiamo dovuto correre (con allusione alla crisi di governo appena superata, ndr) e ci saranno aggiustamenti che per forza di cose saranno messi a punto in parlamento”. Ma, come ha precisato Saccomanni, qualsiasi modifica in parlamento potrà essere fatta solo entro i limiti dei saldi già fissati dalla legge. D’altra parte, a blindare la legge di Stabilità e il governo, è intervenuto ancora una volta il presidenzialista Napolitano, avvertendo con un videomessaggio al convegno dei giovani industriali a Napoli, che nei confronti del provvedimento “l’atteggiamento critico” deve essere “sostenibilmente propositivo e consapevole di vincoli e condizionamenti oggettivi che non si possono aggirare”; altrimenti, ha sentenziato, “non sarebbe una prova di coraggio ma una prova di incoscienza”. In queste condizioni è chiaro che nessun cambiamento sostanziale ci si può aspettare dal parlamento. Lo sciopero di quattro ore deciso da Camusso, Bonanni e Angeletti, con manifestazioni solo territoriali nella prima quindicina di novembre, è assolutamente insufficiente e inadeguato, è una risposta debole e compiacente al governo, chiaramente nell’ottica collaborazionista di non aumentare l’instabilità politica, accettare la logica delle “compatibilità” con i vincoli europei e ottenere solo qualche modifica “migliorativa” che non cambierà la sostanza antipopolare, antisindacale e stangatrice del provvedimento. Invece di quello sciopericchio occorre proclamare subito lo sciopero generale nazionale di otto ore con manifestazione a Roma, perché questa legge non si può “migliorare” con qualche ritocco, tanto meno cambiare di segno, ma va combattuta in blocco con la mobilitazione e la lotta di tutti i lavoratori, di tutti i sindacati, di tutti i movimenti, a cominciare da quello studentesco, fino al suo completo affossamento.

23 ottobre 2013