Ricordo del grande maestro del proletariato internazionale nell'anniversario della scomparsa avvenuta il 21 gennaio 1924
Lenin privato raccontato da sua sorella

L'articolo qui di seguito pubblicato fu scritto da Anna Ilinicna Ulianova-Elizarova, una delle sorelle di Lenin, per la raccolta Lettere ai familiari, edizioni del 1931 e 1934. L'articolo, che si trova nel volume n. 37 delle Opere complete di Lenin, porta il titolo: "A proposito delle lettere di Vladimir Ilic ai familiari".
Come l'altra sorella di Lenin, Maria Ilinicna Ulianova, curatrice della precedente edizione del 1930, Anna fu uno dei membri più anziani del partito comunista e aderì al movimento rivoluzionario fino dal 1886. L'anno successivo fu arrestata col fratello Aleksandr (condannato a morte e impiccato) con l'accusa di cospirazione per attentare allo zar Alessandro III. Nel 1898 divenne membro del primo comitato di Mosca del POSDR (Partito Operaio Socialdemocratico Russo). Durante la deportazione di Lenin in Siberia (febbraio 1897 - gennaio 1900), si dedicò alla pubblicazione delle opere del fratello
(Lo sviluppo del capitalismo in Russia, Studi ed articoli economici, ecc.). Negli anni successivi fu arrestata più volte come dirigente rivoluzionaria, lavorò alla redazione dell'Iskra e dei giornali bolscevichi clandestini, e curò inoltre la pubblicazione di Materialismo ed empiriocriticismo.
Dopo la rivoluzione lavorò alla
Pravda e dal 1918 al 1921 diresse i servizi per la protezione dell'infanzia dei commissariati del popolo alla sicurezza sociale e all'istruzione pubblica della giovane repubblica sovietica. Fu organizzatrice dell'Istituto di storia del partito e dell'Istituto Lenin, nonché suo importante collaboratore scientifico. Fu membro del comitato di redazione della rivista Proletarskaia Revoliutsia e autrice di numerosi lavori su Lenin e di altre opere.
L'autrice è anche tra i destinatari delle numerose lettere di Lenin ai familiari, insieme al marito Mark Timofeievic Elizarov, alla sorella Maria, e soprattutto alla stessa madre di Lenin, Maria Aleksandrovna Ulianova, oggetto come emerge dalle lettere di infinite premure e preoccupazioni e alla quale il grande maestro del proletariato internazionale si rivolge sempre con l'affettuoso appellativo "cara mammina". Altri destinatari di quelle missive sono il fratello Dimitri Ilic Ulianov, medico e anche lui rivoluzionario e comunista per tutta la vita come Lenin e le sue sorelle, e la compagna di vita e di lotta Nadiezda Kostantinovna Krupskaia, che Lenin sposò durante la deportazione in Siberia.
Tutti questi stretti familiari di Lenin erano anche suoi compagni di lotta o comunque, come la madre, erano a conoscenza delle sue idee e le condividevano. I suoi legami con i familiari, cioè, non erano solo di sangue, ma anche di idee e di convinzioni. Per cui le sue lettere riflettono sempre un duplice carattere, quello politico e rivoluzionario e quello personale e intimo, che si intrecciano senza soluzione di continuità, restituendoci un ritratto a tutto tondo del padre della Rivoluzione d'Ottobre, con tutta la sua acutezza e fermezza politica mai disgiunte però da un'umanissima e spontanea apertura ai sentimenti e agli affetti verso le persone a lui care. E alle quali non nasconde perciò, nei limiti consentitigli dalle circostanze, neanche le sue personali gioie, passioni (in particolare quelle per i libri, la natura e la vita all'aria aperta), difficoltà e perfino ansie e amarezze, tra cui le assillanti ristrettezze economiche che affliggevano e intralciavano non poco la sua preziosa attività rivoluzionaria.
Le lettere di Lenin ai familiari, di cui molte sono andate perdute a causa della censura, delle persecuzioni e degli arresti polizieschi, della guerra 1914-17 ecc., furono pubblicate in gran parte e in più riprese nel 1924, 1929 e 1930 nella rivista
Proletarskaia Revoliutsia, nelle raccolte pubblicate nel 1930, 1931 e 1934 a cura delle sorelle Anna e Maria, e si trovano attualmente raccolte in numero di 274, comprendente lettere, telegrammi e biglietti personali indirizzati dall'autore ai suoi familiari dal 1893 al 1922, sulle Opere complete di Lenin (Roma, Editori Riuniti).
  
 
Ciò che rende importante la corrispondenza privata per la biografia di un uomo e per lo studio della sua personalità è che, mostrandocelo nel vivo della vita quotidiana, nei suoi rapporti con gli altri uomini, contribuisce a far risaltare taluni aspetti del suo carattere che la sua attività scientifica o sociale ben poco o nulla è valsa ad illuminare e, comunque, rivela nuovi tratti che servono a caratterizzare l'individuo. Benché le lettere di Vladimir Ilic siano solitamente molto brevi e concise, aliene da qualsiasi effusione (cui egli non era mai stato propenso, come del resto non lo era per ogni forma di verbosità), benché in esse si senta l'uomo d'azione, abituato a dedicare il minor tempo possibile agli affari personali, tuttavia riflettono anch'esse, in maggior o minor misura, il carattere di chi scrive.
Né, d'altra parte, dobbiamo dimenticare che questa corrispondenza è dell'epoca della censura zarista, e che, sempre, vi poteva essere la possibilità di intercettazioni, donde l'opportunità di essere brevi e concisi al massimo. "È veramente per noi molto difficile scriverci come si vorrebbe", - sono parole di Vladimir Ilic alla sorella M.I. Tuttavia l'inchiostro simpatico consentiva una maggiore libertà; in queste lettere, oltre alla parte che trattava del lavoro, vi si trovano commenti sulle ultime novità della vita di partito, sui congressi e sulle conferenze, definizioni di Vladimir Ilic, in due o tre parole ben azzeccate, di persone e correnti del partito, espressioni brusche, decise, tipiche del suo normale modo di esprimersi. Ma queste lettere venivano distrutte appena lette e, naturalmente, nessuna è giunta a noi. Esse venivano scritte o fra le righe di altre lettere, o, più spesso ancora, tra una riga e l'altra di libri, riviste o, addirittura, di bozze di stampa. E quando Vladimir Ilic, nell'elencare i libri ricevuti, scrive che un "Diario del congresso dei tecnici" o un "estratto dell'Archivio" "erano particolarmente interessanti e Aniuta merita perciò un particolare ringraziamento", questo senz'altro significa l'arrivo di una lettera scritta con l'inchiostro simpatico. E neppure ho conservato le lettere scritte con inchiostro normale, ma spedite a un indirizzo differente dal mio come, ad esempio, quelle da me ricevute nel 1913 e nel 1914 e indirizzate, con un pseudonimo convenzionale, alla redazione del Prosvestcenie. Né, d'altra parte, era prudente conservare tutte le lettere inviate al mio indirizzo, tanto che mi rammento di un paio che Illic stesso aveva chiesto fossero distrutte.
Delle lettere incluse in questa raccolta si può dire ancora che, benché scritte a membri della famiglia e quindi spesso d'interesse puramente familiare, esse si rivolgono a persone vicine non soltanto per sangue, ma anche per convinzioni e con le quali si svolgeva anche una corrispondenza di lavoro, cosicché le lettere legali servivano talvolta da anelli supplementari nella catena della corrispondenza. E se, naturalmente, Vladimir Ilic non si rivolgeva direttamente alla madre per questioni di lavoro, non aveva d'altra parte ragione di celarle nulla, ben sapendo come essa seguisse con simpatia tutte le sue aspirazioni rivoluzionarie, tutta la sua attività. Pertanto una lettera indirizzata a un membro della famiglia doveva in genere valere anche per gli altri membri. In una lettera alla madre si davano incarichi alle sorelle, al fratello o al cognato, e di solito le lettere venivano lette da tutti i familiari e spesso rispedite a coloro che si trovavano in un'altra città.
Ciò che rende più importanti le lettere di Vladimir Ilic ai familiari è anche, naturalmente, il fatto che esse abbracciano il periodo, cioè il quarto di secolo, durante il quale è nato e si è formato il nostro partito, in un processo nel quale Vladimir Ilic ebbe tanta parte.
Più intensa e di maggior contenuto ci appare la corrispondenza degli anni 1897-1899 e 1908-1909, che coincidono con la pubblicazione di due grandi libri di Vladimir Ilic: Lo sviluppo del capitalismo in Russia e Materialismo ed empiriocriticismo, poiché essa tratta questioni pratiche per la pubblicazione, la correzione delle bozze, ecc. Le lettere del primo di questi due periodi sono inoltre più frequenti e ricche di contenuto anche perché coincidono con quegli anni di deportazione che, per lo stato di forzata solitudine e di distacco dalla vita, spingono perfino gli individui meno comunicativi a iniziare scambi epistolari. Dalle lettere di questo periodo, soprattutto da quelle più circostanziate, inviate alla mamma, si può meglio giudicare delle condizioni di vita di Vladimir Ilic, delle sue inclinazioni e abitudini; in esse si delinea con più forte rilievo, se così si può dire, la sua personalità.
E inoltre, cosa essenziale, nelle lettere dal luogo di deportazione Vladimir Ilic non solo non si dimostra per nulla staccato dalla vita, ma discute e tratta tutte le questioni scottanti della teoria e della pratica del marxismo. Vi troviamo, sia pure dietro il velo inevitabile di pseudonimi, il suo atteggiamento nei confronti dei membri del gruppo dell'"Emancipazione del lavoro", di Plekhanov e Axelrod, la sua completa solidarietà, il profondo rispetto da lui nutrito verso di essi, i suoi contatti con loro, sia epistolari, sia attraverso le trattative da me condotte, dietro suo incarico, al tempo del mio viaggio all'estero compiuto nel 1897. In queste lettere Vladimir Ilic sottolinea che, a suo parere, è assolutamente inammissibile quell'"isolamento dalla vita politica" sui cui pericoli ammoniva Axelrod. "Qui, secondo me, l'autore ha completamente e mille volte ragione, soprattutto contro i gretti fautori dell'"economia". Per tali intendeva Maslov e soci, cioè la redazione del Samarski Viestnik, che accusava il Novoie Slovo, con Struve alla testa, di simpatizzare con la borghesia, con il liberalismo. Per Vladimir Ilic non ci si doveva allora limitare, nella propaganda e nell'agitazione, alla sola lotta economica. "È importante impedire il diffondersi dell'illusione che si possa ottenere qualcosa attraverso la sola lotta contro gli industriali", mi diceva Vladimir Ilic poco prima del suo arresto. "Si deve sviluppare fin dall'inizio la coscienza politica degli operai". Perciò, in pieno accordo con il gruppo dell'"Emancipazione del lavoro"! egli si pose allora, come Fedoseiev e Martov, dalla parte di Struve in queste sue divergenze con i redattori del Samarski Viestnik e lo difese nelle sue lettere a Maslov e soci. Secondo le parole di Maslov, una delle lettere era scritta in tono battagliero e terminava con le parole: "Se volete la guerra, guerra sia". Anche nelle lettere del 1899 più di una volta Vladimir Ilic si mette contro i samaresi.
"Quanto ai samaresi, mi pare molto difficile che possano dire qualcosa d'intelligente (mi è già stato scritto circa le accuse di 'borghesismo')" (lettera del 13 febbraio 1899). Riguardo alla recensione del libro di Gvozdiev, egli scrive: "Non è stato un compito molto gradevole. Il libro non mi è piaciuto: nulla di nuovo, luoghi comuni, un linguaggio in qualche punto impossibile. Se mi riuscisse di conversare su questo tema (a proposito dell'articolo sull'eredità - A. E.) con persone che non si limitino alle idee di Gvozdiev (avete letto il libro di costui sui kulak?1 A me pare molto debole), la cosa sarebbe molto utile e molto interessante".
Ma pur continuando a lottare contro l'economismo, d'accordo con Axelrod e Plekhanov, i quali già nel 1895, al tempo del primo viaggio di Vladimir Ilic all'estero, avevano insistito sulla necessità di passare dalle discussioni di circolo con i populisti e dall'isolamento all'organizzazione del partito politico della socialdemocrazia, Vladimir Ilic nota nel nuovo opuscolo di Axelrod (sui rapporti tra la democrazia liberale e quella socialista in Russia) un'altra esagerazione. Secondo la sua opinione, l'autore non dà sufficiente rilievo al carattere classista del movimento e dimostra un'eccessiva benevolenza nei confronti degli agrari frondisti, mentre si sarebbe dovuto parlare della loro utilizzazione e non di un appoggio.
In queste lettere è espressa anche l'indignazione di Ilic per le correnti revisionistiche allora sorte: per il libro di Bernstein, per gli articoli dei revisionisti tedeschi, apparsi nella rivista Neue Zeit e per l'articolo di Bulgakov. Di quest'ultimo egli scrive: "Bulgakov mi ha proprio fatto andare in bestia: assurdità tali e solo assurdità e tanta presunzione infinitamente professorale che solo il diavolo sa... Egli addirittura snatura Kautsky. Ho intenzione di scrivere qualcosa sul libro di quest'ultimo" (contro Bernstein. A. E.) (cfr. lettera del 1°-V-1899).
Di Bernstein egli scrive: "Nadia ed io ci siamo subito accinti a leggerlo (il libro di Bernstein); ne abbiamo già letto più della metà e il suo contenuto ci lascia vieppiù perplessi. Dal punto di vista teorico è incredibilmente debole: ripetizione di pensieri altrui. Frasi sulla critica, ma non un solo tentativo di critica seria e indipendente. Dal punto di vista pratico, semplice opportunismo... E oltre a tutto pavido opportunismo, poiché Bernstein non intende affrontare sul serio il programma... Le dichiarazioni di Bernstein sulla solidarietà che molti russi gli dimostrerebbero... ci hanno veramente indignati. Si vede che qui noi dobbiamo essere proprio diventati dei veri "vecchi" e "siamo rimasti indietro" rispetto alle nuove parole d'ordine ricopiate da Bernstein. Presto scriverò a Aniuta dilungandomi maggiormente su questo tema".
Ilic chiede alla sorella Maria Ilinicna di fargli avere il resoconto del Parteitag di Hannover (22-VIII-1899) che si doveva tenere in ottobre. La questione principale che vi si doveva trattare era, com'è noto, quella di Bernstein. Nello spedire al Novoie Slovo la sua recensione dell'articolo di Bulgakov (fu pubblicata nel Naucnoie Obozrenie)2, Ilic scrive: "Certo, la polemica tra compagni è sgradevole e ho cercato di attenuarne il tono, ma ormai passare sotto silenzio le divergenze non è soltanto sgradevole, ma addirittura dannoso e non si possono tacere quei dissensi radicali tra l''ortodossia' e il 'criticismo' che si sono manifestate nel marxismo tedesco e russo".
Anche Tugan-Baranovski suscita l'indignazione di Vladimir Ilic; "Nel n. 5 del Naucnoie Obzrenie (lettera del 20-VI-1899) ho visto un articolo di Tugan-Baranovski mostruosamente stupido e presuntuoso: per 'confutare' Marx, egli ha semplicemente apportato modificazioni arbitrarie al tasso del plusvalore, e presupposta una cosa del tutto assurda, cioè una variazione della produttività del lavoro senza che vari il costo del prodotto. Non so davvero se valga la pena di mettersi a scrivere per ogni assurdo articoletto di tal fatta: mantenga prima la sua promessa di sviluppare più a fondo il tema. In generale, sto diventando un avversario più convinto della più recente 'corrente critica' in seno al marxismo e anche del neokantismo (che ha tra l'altro generato l'idea della separazione delle leggi sociologiche da quelle economiche). Ha perfettamente ragione l'autore di 'Beiträge zur Geschichte des Materialismus'3, quando definisce il neokantismo una teoria reazionaria della borghesia reazionaria e insorge contro Bernstein".
Il secondo articolo di Vladimir Ilic è Ancora sulla teoria della realizzazione4 (già diretto soprattutto contro Struve, di cui si facevano sempre più evidenti le simpatie per il revisionismo). La critica di Vladimir Ilic, a dire il vero, ha ancora il tono fraterno di una critica rivolta a un compagno.
"E ora sto portando a termine un articoletto in risposta a Struve. Mi pare che egli si sia parecchio confuso e che questo articolo possa suscitare non pochi equivoci nonché una maligna soddisfazione fra gli avversari" (7-III).
Ma piano piano nascono timori più fondati, che si manifestano in maniera più chiara nelle lettere di quello stesso anno, dirette a Potresov (Miscellanea di Lenin, IV). E nello stesso tempo Vladimir Ilic scrive di aver incominciato a studiare la filosofia sui pochi libri allora a sua disposizione.
"Volodia non fa altro che leggere ogni genere di filosofia (in questo momento è la sua occupazione ufficiale), Holbach, Helvetius, ecc.", scrive N.K. Krupskaia, in una lettera a M. A. Ulianova del 20-VI-1899.
Nelle lettere viene infine menzionato anche l'avvenimento politico forse più importante di quel periodo, il cosiddetto "Credo", nonché la relativa risposta, redatta da un gruppo di diciassette socialdemocratici: "Presto scriverò a Aniuta in maniera più particolareggiata5 a proposito del 'Credo' (che interessa e indigna molto tutti quanti) 1-VIII-1899).
"Quanto al Credo der Jungen sono rimasto semplicemente sbalordito dalla vacuità delle sue frasi. Non si tratta di un credo, ma solo di una misera accozzaglia di parole. Ve ne scriverò più a lungo" (25-VII-1899).
Quel documento fu inviato a Ilic da me e da me del tutto casualmente così battezzato. Senza attribuirvi alcun significato particolare, scrissi, nella maniera più concisa, con inchiostro simpatico: "Ti mando una specie di 'Credo' dei giovani".
Più tardi, quando questo nome prese piede, e si cominciò a parlare di un "Anticredo", mi sentii turbata per aver involontariamente, con quella definizione sbagliata, esagerato l'importanza del documento e ne scrissi a Ilic impiegando lo stesso mezzo della prima volta. Ma egli non decifrò quelle parole, poiché, quando al suo ritorno dalla deportazione io dissi che il documento non era simbolo della fede di nessun gruppo di giovani e solo due ne erano gli autori, la Kuskova e Prokopovic, mentre il nome di "Credo" apparteneva a me, Vladimir Ilic si stupì e per ben due volte chiese: "A te?", ma, dopo un istante di silenzio, disse che comunque bisognava rispondere. Fu così che il documento prese a circolare con questo nome.
Vediamo quindi che, nelle lettere inviate ai suoi familiari dalla deportazione, Vladimir Ilic si sofferma su tutti i più scottanti problemi della vita di partito di quel periodo e si intravede già quel suo orientamento generale che lo portò a evitare tanto la grettezza dell'economismo, quanto il pericolo di un'indefinita benevolenza verso i liberali, nonché la infatuazione tipicamente intellettuale per il revisionismo e il loro amore della critica per la critica. Già durante il periodo della deportazione egli sceglie i compagni per la futura edificazione del partito, per quella letteratura "non travestita"6, della cui necessità parla nella sua lettera a Potresov, designando a tale fine, in quella stessa lettera, fra tutti i suoi compagni di deportazione, il solo Martov, "l'unico che prende tutto questo" (gli interessi della rivista, del partito) "veramente a cuore". Egli sta tracciando il progetto dell'Iskra.
Nelle lettere di Vladimir Ilic del 1907 e 1909, periodo cioè in cui si stava pubblicando il suo libro Materialismo ed empiriocriticismo, troviamo pure osservazioni su temi di carattere generale, e in particolare sul tema del suo libro, benché molto meno che non nelle lettere dalla deportazione, in genere più dettagliate. Ma i tentativi di revisione del marxismo da parte dei filosofi capeggiati da Bogdanov e Lunaciarski indignavano Vladimir Ilic non meno dei tentativi di revisione economico-politica da parte di Bernstein. Abbiamo visto come già in Siberia questa corrente neokantiana nel marxismo lo avesse spinto allo studio della filosofia. Durante gli anni della reazione, succeduta alla nostra prima rivoluzione, la corrente della costruzione di dio lo spinse ad affrontare a fondo lo studio della filosofia e a scrivere un libro dedicato all'esame di questa deviazione dal marxismo.
"La mia malattia - scriveva Vladimir Ilic alla sorella M.I. il 13-VI-1908 - ha ritardato di parecchio il mio lavoro filosofico. Ma ora mi sono rimesso quasi completamente e scriverò senz'altro il libro. Ho dedicato molto tempo ai machisti e ritengo di avere analizzato tutte le loro indicibili banalità ('empiriomonismo' incluso").
Vladimir Ilic è terribilmente indignato per questo "pretismo", termine che egli impiega per definire qualsiasi costruzione di dio, qualsiasi tendenza a far passare nel marxismo, in questa o quella forma, concezioni religiose. Causa la censura, egli propone di sostituire ovunque, nel libro, alla parole "pretismo" la parola "fideismo" con una nota in calce ("fideismo: dottrina che sostituisce la fede alla conoscenza o che, in generale, attribuisce alla fede una notevole importanza").
E così fu fatto, ma nel manoscritto la frase, alla quale la nota si riferisce, si leggeva così: "Cercando sostegno in tutte queste dottrine apparentemente moderne, i distruttori del materialismo dialettico giungono impavidi fino a un vero e proprio pretismo (con particolare evidenza in Lunaciarski, ma niente affatto in lui solo)". E, con tutta la violenza di cui era capace, Vladimir Ilic si scaglia contro questi "distruttori", pregandomi di non mitigare nulla in quel che li riguardava e accettando a malincuore alcune attenzioni rese necessarie per via della censura.
"Ha inventato un piccolo dio, dovrà essere sostituito con: 'ha inventato... per dirla in termini blandi, concezioni religiose', o qualcosa di questo genere."
Nel manoscritto, quest'espressione appariva nella seguente frase: "Gli uomini possono immaginare e 'inventare' qualsiasi inferno, qualsiasi tipo di spiriti folletti. Lunaciarski ha perfino inventato un piccolo dio". Ma quando non c'è motivo di temere la censura, Ilic mi scrive: "Ti prego di non mitigare minimamente le espressioni contro Bogdanov, Lunaciarski e soci. Impossibile farlo. Tu hai cancellato il punto dove si dice che Cernov è un avversario più 'onesto' di loro, ed è un vero peccato. È cambiata la sfumatura. Tutto il complesso delle mie accuse manca ora di coerenza. Il nocciolo della questione, infatti, è che i nostri machisti sono dei nemici disonesti, vili e pavidi del marxismo nel campo della filosofia". E più oltre: "Ti prego di non mitigare le espressioni contro Bogdanov e il pretismo di Lunaciarski. I nostri rapporti con loro sono ormai del tutto rotti. Non è il caso di mitigare, non ne vale la pena" (9-III-1909).
"Soprattutto non cancellare 'Purisckevic' ecc. nel paragrafo dove si parla della critica del kantismo" - egli scrive il 21 marzo.
Ilic paragonava i machisti a "Purisckevic", perché come quest'ultimo dichiarava di criticare i cadetti con maggiore decisione e coerenza dei marxisti, i machisti affermavano di criticare Kant con maggior decisione e coerenza dei marxisti. Ma non dobbiamo dimenticare, signor Purisckevic - dice Ilic rivolgendosi a lui - "che voi avete criticato i cadetti perché sono troppo democratici, mentre noi li abbiamo criticati perché non sono sufficientemente democratici. I machisti criticano Kant perché è troppo materialista, mentre noi lo critichiamo perché non è sufficientemente materialista. I materialisti criticano Kant da destra, noi da sinistra" (Opere, vol. XIII, p. 163).
Un'altra volta, inviandomi un'aggiunta al paragrafo 1 del IV capitolo Da quale lato N. G. Cernyscevsky criticava il kantismo, Vladimir Ilic scrive: "Considero di grande importanza contrapporre Cernyscevski ai machisti". Nelle lettere legali di questo periodo l'aspetto politico di tali divergenze, note come divergenze con il gruppo Vperiod, viene menzionato da Ilic solo con poche parole: "Qui le cose vanno male: ci sarà certamente Spaltung (scissione); spero di darti notizie più precise in merito tra un mese o un mese e mezzo. per ora si tratta solo di congetture" (26-V). Di questa scissione si parla in modo particolareggiato nella Relazione sulla riunione della redazione allargata del "Proletari" e sulle risoluzioni annesse: 5, sul distacco del compagno Maximov (Bogdanov) e 4, sulla scuola di partito (di Capri) "di cui la redazione del Proletari declina la responsabilità dato che i fondatori e organizzatori della scuola sono tutti esponenti dell'otzovismo, dell'ultimatismo e della costruzione di dio" (giugno 1909, Opere, vol. XIV, pp. 89-103). Nelle lettere degli ultimi anni, in generale meno frequenti, gli argomenti di carattere sociale vengono trattati ancor meno.
I primi anni della seconda emigrazione trascorrevano pieni di tristezza e noia e Ilic ne soffriva molto. Ebbi occasione di rendermene conto personalmente, quando mi recai da lui a Parigi nell'autunno del 1911. Lo trovai d'umore molto meno gaio del solito. Durante una nostra passeggiata egli mi disse: "Chissà se ce la farò a vivere fino alla prossima rivoluzione". Mi rimase allora impressa l'espressione triste del suo viso, simile alla fotografia che gli era stata fatta dalla polizia politica nel 1895. Si stava attraversando un periodo d'intensa reazione e si stavano solo profilando alcuni sintomi di rinascita, come, ad esempio, la pubblicazione della Zviezdà e della Mysl.
Così, nella sua lettera del 3 gennaio 1911, risuonava come una nota gioiosa questa notizia: "Ieri ho ricevuto dalla Russia il n. 1 della Zviezdà e oggi, il n. 1 della Mysl. Questo, sì, che fa piacere! ... Questo, sì, che consola!!".
Naturalmente, l'umore si fa ancora più nero a causa di "tutte queste beghe, per le quali il mio lavoro va di male in peggio", (di cui Vladimir Ilic scriveva nel 1910), cioè per le divergenze con l'ufficio estero del CC e con il gruppo Vperiod. A questo "periodo particolarmente pieno di beghe" Vladimir Ilic fa cenno nella lettera del 3 gennaio 1911, scusandosi con M.T. Elizarov per la scarsa puntualità delle sue risposte.
A partire dall'autunno 1912, cioè dal trasferimento a Cracovia, si nota dalle sue lettere che l'umore è sensibilmente migliorato. Egli scrive che si vive meglio che a Parigi, che i nervi riposano, si fa più lavoro letterario e ci sono meno beghe. Il lavoro per la Pravda, la ripresa del movimento operaio e dell'attività rivoluzionaria esercitano naturalmente un'influenza molto positiva su Vladimir Ilic. Si notano meno beghe, cosicché Vladimir Ilic scrive che Gorki ha un atteggiamento meno ostile nei nostri confronti. Poco dopo, come si sa, Gorki entrò nella redazione della rivista bolscevica Prosvestcenie.
Vladimir Ilic scrive proponendo di stampare opuscoli presso la Pravda, vede un maggior numero di russi ed evidentemente si sente più vicino alla Russia: invita M.T. Elizarov a venire in villeggiatura da loro, a Zakopane, e comunica che da Varsavia vi si arriva in treni diretti; invita me pure, e ricorda che gli abitanti delle zone di confine possono attraversarlo pagando soli 30 copechi.
In generale, è contento della vita a Cracovia e scrive di non aver alcuna intenzione di trasferirsi altrove, "salvo se mi caccerà di qui la guerra, ma non la credo molto probabile".
A partire dall'autunno 1913 andai a vivere a Pietroburgo, dove mi misi a lavorare per la rivista bolscevica Prosvestcenie, per la Rabotnitsa, e anche per la Pravda. In questo periodo, oltre alla corrispondenza in inchiostro simpatico mantenevo con Vladimir Ilic un ampio scambio epistolare anche su questioni di pubblicistica; egli mi inviava lettere indirizzate alla redazione del Prosvestcenie, con lo pseudonimo; Andrei Nikolaievic. Di questa corrispondenza di lavoro posseggo per ora soltanto due lettere aperte dalla polizia e non incluse in questa raccolta.
Come è naturale, durante gli anni della guerra la corrispondenza si fece più rara e molte lettere andarono perse. Ma anche in quelle poche che si sono conservate e perfino nelle cartoline, Vladimir Ilic si sofferma sui problemi generali che maggiormente risvegliano il suo interesse. Così, nella cartolina del 1°-II-1910 leggiamo: "Questi ultimi tempi sono stati da noi piuttosto 'burrascosi', ma tutto è terminato con un tentativo di pacificazione con i menscevichi; proprio così, per quanto possa sembrare strano; abbiamo soppresso il nostro organo di frazione e tentiamo di mandare avanti con maggiore slancio la riunificazione. Staremo a vedere se si riuscirà".
La cartolina del 24-III-1912 dice: "... sono in corso qui tra i nostri baruffe e scambi di insulti, come da molto non si era visto, ammesso che si sia mai visto. Tutti i gruppi e sottogruppi si sono mobilitati contro l'ultima conferenza e contro i suoi organizzatori, di modo che nelle riunioni tenute qui si è venuti letteralmente alle mani".
Nelle lettera del 14-XI-1914 scrive: "È molto triste assistere al progresso dello sciovinismo nei vari paesi e ad atti di tradimento come quelli dei marxisti o pseudomarxisti tedeschi7 (e non solo tedeschi)... È del tutto naturale che i liberali elogino di nuovo Plekanov: egli si è pienamente meritato questa vergognosa punizione... Abbiamo letto l'impudente, svergognato numero del Sovremienni Mir... vergogna, vergogna...!"8.
Ma la corrispondenza di lavoro con l'impiego dell'inchiostro simpatico fu in quegli anni, nei quali ogni corrispondenza dal CC si era fortemente ridotta, ancora più intensa, e nell'unica cartolina del 1915 che si sia potuto conservare, Vladimir Ilic mi ringrazia, in particolare, "infinitamente per il libro, per l'interessantissima raccolta di pubblicazioni pedagogiche e per la lettera". La raccolta pedagogica, era, naturalmente, "interessantissima" per quanto era scritto fra le righe, con l'inchiostro simpatico.
Così, nelle lettere di Vladimir Ilic ai familiari, troviamo continui echi di quella lotta per una giusta interpretazione del marxismo, per la sua giusta applicazione nelle varie fasi di sviluppo nel movimento proletario che egli condusse durante tutta la sua vita.
E ora, basandoci su queste lettere, tentiamo di giungere ad alcune conclusioni generali, di indicare brevemente quegli aspetti della personalità, quei lineamenti del carattere di Vladimir Ilic, che, a nostro parere, scaturiscono dalle lettere ai suoi cari.
Prima di tutto, come è già stato notato nelle recensioni delle lettere di Vladimir Ilic ai familiari, pubblicare parzialmente nella Proletarskaia Revoliutsia, osserviamo la costanza dei suoi affetti, l'atteggiamento duraturo ed eguale verso le stesse persone nel corso di lunghi anni. È vero che si trattava di parenti stretti, ma queste lettere rivelano tuttavia in modo netto la costanza delle simpatie, la dirittura e la fermezza del carattere.
Possiamo poi osservare nelle stesse lettere la fermezza delle sue convinzioni e della sua fede nella propria causa: nessun'ombra di dubbio, di incertezza, di infatuazione per qualche altra diversa tendenza troviamo nelle lettere scritte da Vladimir Ilic a persone care con le quali si è più portati ad aprirsi.
Per parte nostra non solo non vediamo traccia alcuna di piagnisteo e di sconforto, completamente estranei al suo carattere, ma nemmeno semplici lamentele per la sua situazione, sia che egli si trovi in prigione, in deportazione o emigrato all'estero, e perfino nessun tono agro nel parlarne. Naturalmente ciò dipende anche dal fatto che gran parte delle lettere erano indirizzate alla madre, la quale già tanto doveva soffrire per i suoi figli, cosa questa che Vladimir Ilic, pieno di vivo amore e di rispetto per la mamma, profondamente sentiva. Egli sentiva che anche la sua attività personale era fonte di molte inquietudini e dure sofferenze per sua madre e, per quanto da lui dipendeva, cercava di attenuarle.
Ma questa forza d'animo permea anche le lettere indirizzate ad altri membri della famiglia, anche a coloro che in determinati periodi non vissero insieme alla mamma. Ricordo, ad esempio, le sue lettere indirizzate a me nel periodo 1900-1902, quando mi trovavo all'estero, e che, naturalmente, dovetti distruggere al mio ritorno in Russia. Rammento che esse erano sempre come un getto d'acqua fresca che faceva sparire ogni sconforto, nervosismo o apatia, suscitava un flusso di energie e incitava a riprendersi. Nello stesso tempo la sua sicurezza non aveva nulla di opprimente e induceva invece a esplicare maggiormente le proprie energie, la sua spiritosa arguzia infondeva la gioia di vivere, e serviva di stimolo a ogni genere di lavoro. Si nota nelle sue lettere una grande sensibilità per gli stati d'animo degli altri, una sollecitudine di amico e di compagno; lo si vede quand'egli si preoccupa sia per sua madre e per gli altri membri della famiglia, sia per i compagni, lo si sente nelle sue richieste di notizie e in quelle che a sua volta egli comunica dalla prigione, dalla deportazione o dall'estero (cfr., ad esempio, le lettere del 15-III e del 5-IV 1897).
E nello stesso tempo richiamano la nostra attenzione la semplicità e la naturalezza di Vladimir Ilic, la sua grande modestia, la completa assenza non solo di ogni boria, di ogni vanteria, ma di qualsiasi menzione dei propri meriti, di qualsiasi loro ostentazione, e questo fin dagli anni giovanili, quando una certa ostentazione di siffatto genere è di solito naturale in una persona dotata. Così, a lungo non volle che il suo primo ampio e fondamentale lavoro venisse intitolato Lo sviluppo del capitalismo in Russia, dicendo che il titolo era "troppo vasto, audace e promettente", che "dovrebbe essere più modesto" (lettera del 13-II-1899) e che "neppure gli piaceva" l'argomentazione secondo cui con quel titolo il libro sarebbe "andato" di più (10-I-1899).
Tutto il lavoro ch'egli dedicava in prigione, nella deportazione e, più tardi, all'estero allo studio dei materiali per il libro filosofico e per altri lavori, alla redazione di articoli e opuscoli legali e illegali, dei quali tanta parte andava perduta, veniva da lui considerata cosa del tutto naturale. Anche qui si rivela la grande capacità di lavoro di Vladimir Ilic, la sua tenacia e perseveranza nel tener fede agli impegni assunti. Così, come si può vedere dalle lettere pubblicate più avanti, egli finisce di solito entro i termini che si era proposto il suo libro Lo sviluppo del capitalismo in Russia o uno dei suoi capitoli.
Esigente con se stesso, egli lo era, naturalmente, anche con gli altri. Affidando sempre gran numero di incarichi e sempre insistendo affinché fossero eseguiti, egli educava alla sua stessa precisione e puntualità tutti quei compagni che in questo o quel periodo con lui ebbero a collaborare. La mancanza di puntualità, i ritardi nel lavoro o negli incarichi affidati o nella corrispondenza suscitavano sempre in lui malcontento. Così, nelle lettere dalla deportazione, egli rimprovera Struve per la sua mancanza di puntualità nel rispondere; nelle lettere del periodo 1908-1909 si dichiara scontento del compagno Skvortsov-Stepanov per aver egli fatta male la correzione delle bozze del libro Materialismo ed empiriocriticismo, di cui si era incaricato, ecc.
Dalle lettere di Vladimir Ilic si vede pure quant'egli fosse modesto e di poche pretese, come sapesse accontentarsi di poco. In qualsiasi situazione lo ponesse la sorte, sempre scriveva di non aver bisogno di nulla, di avere il necessario per nutrirsi bene; anche in Siberia, dove disponeva del solo sussidio statale di 8 rubli al mese; anche nell'emigrazione, dove, in occasione delle nostre rare visite, potemmo sempre constatare personalmente che il suo vitto era del tutto insufficiente. La necessità di dover ricorrere più a lungo del normale, date le sue condizioni, all'aiuto finanziario della madre invece di essere lui ad aiutarla, sempre lo tormentò. Così, il 5 ottobre 1893, egli scrive: "... rimane una spesa eccessiva: 38 rubli al mese. C'è poco da fare, non ho fatto economia: per il solo tram a cavalli, ad esempio, ho speso 1 rublo e 35 copechi in un mese. Probabilmente quando mi sarò abituato alla vita di qui, spenderò meno". E, più tardi, si inquietò molto e pregò la mamma "di non mandargli nulla e di non fare economie sulla sua pensione" quando ebbe notizia che essa, saputo da una lettera del figlio indirizzata a qualcun altro, della sua difficile situazione, si preparava a spedirgli il denaro (lettera del 19-I-1911).
Allo stesso modo lo imbarazzava la necessità di dover ricorrere al denaro del partito, quando diventava insufficiente il guadagno che ritraeva dal suo lavoro letterario. "Hai cominciato a ricevere la 'pensione'", gli aveva detto scherzosamente N. Krupskaia quando era arrivato il denaro dalla Russia (15-II-1917) ed egli riporta le sue parole con un senso di viva amarezza.
Sempre per fare economia, Vladimir Ilic cerca di servirsi il più possibile dei libri delle biblioteche. In divertimenti non spendeva quasi nulla: andava così poco al teatro, ai concerti (cfr. lettere del 9-II-1911) che ciò non poteva incidere sul suo bilancio. Inoltre al tipo di riposo in società, in mezzo alla gente, egli preferì sempre il riposo in mezzo alla natura. "Qui ci si riposa meravigliosamente, - scriveva egli da Stirsudden (Finlandia), al ritorno dal V Congresso del partito, - si fanno i bagni, passeggiate, non si fa nulla", "Il non veder gente e il non far nulla sono per me la miglior cosa" 27-VI-1907). "Passeggio con un senso di vera gioia anche se in un giorno mi tocca percorrere 5 verste, quasi un'ora di cammino", scriveva nel 1897 dalla Siberia.
Zaino in spalla, egli fa con N.K. Krupskaia lunghe passeggiate per i pendii e i valichi alpini della Svizzera. Durante il suo soggiorno presso Cracovia, si arrampica sui monti Tatra. Ma ad attrarlo non sono solo queste particolari bellezze della natura; a piedi o no, va nei dintorni delle grandi città, come Londra o Monaco. "Dei compagni di qui, siamo gli unici a voler esplorare tutti i dintorni della città. Troviamo viottoli di campagna, conosciamo le località vicine, e abbiamo pure intenzione di spingerci più lontano". "Andiamo a finire in angoli così remoti, dove nessuno dei nostri emigranti si reca mai." Egli si appassiona per lo sport, caccia, pattinaggio, bicicletta, scacchi, abbandonandosi a questi svaghi con il trasporto di un giovane o, perfino, di un adolescente.
Con molto colorito, anche se in modo conciso, descrive alcune delle sue passeggiate sui monti, ad esempio, sul Salève, presso Ginevra, o la sua "Sciù-sciù-sciù", dalla Siberia.
Le lettere di Ilic dimostrano anche la sua capacità di utilizzare nel modo migliore la situazione del momento: di immergersi nel lavoro scientifico, teorico quando si trova in prigione, in esilio, nei periodi più oscuri dell'emigrazione, costruendo, per così dire, e rafforzando le fondamenta scientifiche dell'opera principale della sua vita, quella tesa alla rivoluzione proletaria, nei periodi nei quali la sorte lo costringe, in maggiore o minore misura, a non parteciparvi direttamente. Ma quando la vita lo spingeva ad avere più contatti con il suo prossimo, in campagna, all'estero, durante i trasferimenti, i viaggi, sa afferrare la realtà, comprendere le masse, passare dai fatti e dalle osservazioni minute alla generalizzazione, tendere di continuo a rafforzare quei fili che uniscono le teorie e gli ideali di carattere generale alla vita, così come essa è, e inversamente. Sa arricchirsi di simili impressioni, prendendole ovunque, da qualsiasi conversazione o lettera. Vediamo come Ilic si dimostra veramente assetato di lettere che si limitino semplicemente a descrivere la vita circostante senza proporsi alcun fine di carattere generale; vediamo come rivolge loro avidamente la sua attenzione e chiede che gli siano inviate più spesso.
E vediamo infine, in queste lettere, come Vladimir Ilic sapesse conservare la calma, l'equilibrio interiore, sia in prigione, sia dopo che ne è uscito (cfr. la sua lettera del 19-V-1901, con i consigli dati a M.I.); vediamo come, dopo la detenzione, dopo i perturbamenti sociali o politici che scuotevano questo equilibrio, egli compia grandi sforzi per ristabilirlo al più presto. Egli si rendeva conto che tale equilibrio era necessario al lavoro intellettuale e politico, scopo principale di tutta la sua vita. Ed è per questo stesso motivo che egli trascorse tutti e tre gli anni di deportazione nella sua Sciusc, senza chiedere di essere trasferito in città, come invece facevano gran parte dei deportati. Egli scriveva che in città era molto meglio recarsi di tanto in tanto che non viverci. Parlando del suicidio di Fedoseiev, egli scrive: "Nell'esilio non c'è nulla di peggio di questa 'storia tra deportati'" "E' meglio che tu non mi auguri dei compagni intellettuali a Sciusc" (24-I-1898).
Nel concludere così questo breve esame degli aspetti del carattere di Vladimir Ilic che, a nostro parere, vengono rivelati dalle sue lettere ai familiari, speriamo che le lettere pubblicate aiuteranno a meglio chiarire e comprendere la personalità di Vladimir Ilic.
A. Ulianova-Elizarova
(sorella di Lenin)
(Articolo scritto per la raccolta Lettere ai familiari, edizioni del 1931 e 1934, in Lenin, Opere complete, Ed. Riuniti, vol. 37, pp. 28-43)
NOTE
1 Gvozdiev, I kulak-usurai e il loro significato economico-sociale, Pietroburgo, 1899
2 Cioè con inchiostro simpatico.
3 Plekhanov.
4 Opere, vol. II, p. 405
5 Cioè con inchiostro simpatico.
6 L'interpretazione che L. Kamenev dà di queste parole nella prefazione alle lettere ai familiari e nella nota 41 (Miscellanea di Lenin, IV, p. 19) è manifestamente erronea. Per "letteratura travestita" non si intende certo la letteratura liberale, camuffata coi panni della socialdemocrazia, ma la nostra letteratura socialdemocratica, costretta dalla censura a darsi un'apparenza legale; occorreva cioè, oltre alla letteratura legale, una letteratura illegale socialdemocratica. Da questo passo non traspare nessuna necessità di delimitarsi dai "liberali travestiti". Nessun'altra interpretazione è possibile.
7 Votazione, il 4 agosto 1914, dei crediti di guerra da parte dei socialdemocratici tedeschi.
8 Articolo di Iordanski: Sì, vinceremo!
 
12 gennaio 2011