Attraverso le penne trotzkiste di Ingrao, Rossanda, Curzi e D'Avossa Lussurgiu
NUOVO INFAME ATTACCO DI
"LIBERAZIONE'' E "IL MANIFESTO'' AL SOCIALISMO E A STALIN
Questa volta si prende
spunto dalla controrivoluzione ungherese del 1956
Da una parte attaccano
l'astensionismo e incitano ad andare a votare agitando il "pericolo delle destre'';
ma dall'altra, invece di combattere realmente il capitalismo, l'imperialismo e i loro
lacché rinnegati del comunismo, concentrano i loro attacchi proprio a sinistra, non
stancandosi mai di gettare fango sul socialismo e i suoi padri, in particolare su Stalin.
ú questa la caratteristica tipica e ricorrente dei trotzkisti, che ultimamente ne hanno
dato un'ulteriore dimostrazione con le penne velenose di Ingrao e Rossanda, su "il
manifesto'', e di D'Avossa Lussurgiu e Curzi su "Liberazione''.
Questa volta lo spunto è stato offerto dalla controrivoluzione ungherese del 1956. Ha
cominciato Pietro Ingrao, attraverso un "dialoghetto sul '56'' con sé stesso sulle
pagine de "la rivista del manifesto'' del 13 gennaio scorso, a cui ha risposto un
lungo monologo di Rossana Rossanda sulla stessa rivista nel numero di febbraio
("Ancora sul '56''). Ha chiuso infine "Liberazione'' del 6 febbraio con una
pagina su "Quell'indimenticabile e terribile 1956'', a firma di Anubi D'Avossa
Lussurgiu, che cita abbondantemente anche un intervento del direttore del suo giornale,
Curzi, tenuto nel '96 in occasione del quarantennale della controrivoluzione in Ungheria.
Ingrao si piange addosso perché nel '56 il PCI si fece cogliere impreparato dagli
avvenimenti di "quell'indimenticabile anno'', e reagì chiudendosi a riccio allo
shock del rapporto di Krusciov al XX Congresso del PCUS di febbraio sui "crimini di
Stalin'' e alla successiva "insurrezione'' di Budapest dell'ottobre-novembre dello
stesso anno. E si batte il petto per aver allora accettato quell'atteggiamento del suo
partito, da lui definito in pratica reticente e ipocrita, che proveniva dallo stesso
Togliatti, e che non denunciò subito, prendendone le debite distanze ideologiche e
politiche, la crisi del blocco socialista, che poi sarebbe venuta fuori del tutto con
l'invasione sovietica della Cecoslovacchia nel '68, e con il crollo del muro di Berlino
nell'89.
In sostanza Ingrao si vergogna di aver allora dalle colonne de "l'Unità'' difeso
l'Urss e attaccato la controrivoluzione ungherese, anche se ci tiene a far sapere che lo
fece senza vera convinzione, solo per passivo allineamento alle decisioni della direzione,
che a sua volta doveva tenere conto degli umori della base, allora fortemente legata a
Stalin e all'Urss, e istintivamente (e giustamente) diffidente della "spontaneità''
dell'"insurrezio-ne'' ungherese: "Kruscev gettava un'ombra terribile e
insanguinata sulla mutazione politica mondiale, avvenuta incredibilmente in appena mezzo
secolo. Questo era il tema che veniva in campo col `rapporto segreto'. E fatalmente
scavalcava Stalin. L'avversario di classe aveva ragione nell'agitarlo clamorosamente'',
scrive infatti Ingrao. Che aggiunge: "Io che pure nel partito stavo, per così dire,
coi rinnovatori, difesi rabbiosamente l'Urss dagli intellettuali (quelli della lettera dei
`centouno'...), che invasero le stanze dell'"Unità'''.
La morale che Ingrao ne ricava è che l'Urss non era a quell'epoca e forse non è mai
stata un paese socialista: "Ho compreso tardi, e a fatica, che in Unione Sovietica
c'era soltanto una forma assolutamente inedita di capitalismo di Stato, cosa parecchio
diversa da qualche avvio, sinora a noi sconosciuto o almeno dubbio, di socialismo. Lo
slancio propulsivo di quella stella rossa sul Cremlino era finito parecchio prima che lo
riconoscesse Berlinguer''. ú questa una tesi classica dei trotzkisti, con la quale
giustificano il loro schierarsi di fatto nel campo della borghesia e dell'imperialismo,
accanto ai rinnegati e alla destra.
Proprio su questa stessa tesi, non a caso, insiste con ancor maggior livore antistalinista
la trotzkista Rossanda, condividendo l'"autocritica'' di Ingrao per non aver già
allora "capito'' tutta la gravità e le implicazioni del rapporto sui "crimini''
stalinisti e della "vicenda ungherese''. Riflettendo sulla foto di un funzionario
comunista impiccato dai rivoltosi ungheresi, ne trae infatti questa "lezione'':
"Avevo conosciuto il poveraccio fascista, quello che s'era messo nella milizia nel
1944 perché non sapeva dove altro andare, conoscevo chi al Sud si faceva carabiniere o
seminarista non avendo altre scelte ma poi diventa molto prete e molto carabiniere. Le
scelte prima le facciamo e poi ci fanno. Il povero e l'oppresso non hanno sempre ragione.
Ma i comunisti che si fanno odiare hanno sempre torto, lo pensavo e lo penso. E quello era
un odio massiccio, sedimentato; non si arriva a queste enormità senza un'offesa
lungamente patita. In quei giorni mi vennero i capelli bianchi...''.
Rossanda, quindi, accredita la tesi dell'"insurrezione popolare'' spontanea, e lo
pensava già allora, anche se non lo diceva apertamente in giro, e come Ingrao si cosparge
il capo di cenere per non aver già allora, e come lei l'intero gruppo dirigente del PCI,
analizzato "il perché del degenerare di quella rivoluzione'' (bolscevica), e di come
e quando "abolita la proprietà privata dei capitali, si riformassero illiberalità e
inuguaglianze'', arrivando ad adombrare che il punto di "svolta'' potrebbe essere
"la burocratizzazione denunciata da Trotzki'' (guarda caso), se non addirittura
"quando Lenin ruppe con i socialisti rivoluzionari''.
Ai piagnistei di Ingrao e Rossanda che si dolgono di non essere stati abbastanza
socialdemocratici già nel '56, fa da contrappunto il quotidiano del PRC, che con D'Avossa
Lussurgiu cerca di sintetizzare le parallele esperienze dei due trotzkisti storici nel
nome dell'antistalinismo più viscerale, ricollegandole ad altri "fermenti''
trotzkisti all'interno del PCI messi in movimento dai fatti del '56 e che avrebbero dato
"frutti'' in seguito: a "il manifesto'' e a Rifondazione, pare di capire.
ú così che D'Avossa Lussurgiu cita il trotzkista Curzi e la sua rievocazione, quattro
anni fa, della vicenda di "Nuova generazione'', settimanale della FGCI il cui primo
numero uscì in novembre proprio "sui fatti di Ungheria, di Polonia e dell'Egitto'',
e in cui "l'editoriale del giovanissimo Occhetto (altro trotzkista, poi neoliberale e
affossatore del PCI, ndr) ricordava che `all'insurrezione di Budapest partecipa una grande
parte del proletariato'''. Curzi aggiunse che fu proprio Togliatti a "calmare'' gli
attacchi di Amendola e Pajetta, che volevano chiudere subito la pubblicazione, e che fu
Ingrao, poi, parlando alla direzione della FGCI, ad invitarli tempo dopo i "fatti''
ad una nuova stagione di "attenzione a quanto di nuovo stava maturando nei giovani
socialdemocratici e laburisti nell'Europa occidentale''.
I trotzkisti, insomma, si riconoscono tutti nel comune odio contro Stalin, e alla fine,
sia pure con qualche ritardo, si ritrovano dalla stessa parte della borghesia e dei
socialdemocratici ad attaccare questo grande maestro del proletariato e il socialismo. E
con le stesse identiche tesi velenose che questi usavano nel '56, e che i trotzkisti di
allora, come Ingrao, Rossanda e Curzi, non avevano ancora il coraggio di manifestare
apertamente.
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