I limiti della posizione di Landini

Su questo non ci può essere alcun dubbio: la FIOM è in prima linea e sta conducendo una lotta importantissima, vitale, contro il modello mussoliniano di Marchionne e le sue relazioni industriali corporative e neofasciste, per la difesa dei diritti contrattuali e sociali dei lavoratori e le libertà e l'agibilità sindacali nei luoghi di lavoro. Una battaglia questa che non riguarda solo i metalmeccanici ma l'insieme del movimento dei lavoratori e del movimento sindacale italiano.
Lo sciopero generale del 9 marzo e la manifestazione nazionale, svoltasi con successo a Roma, è parte integrante ed espressione alta di questa battaglia che è sindacale ma anche politica perché è coinvolto lo stesso governo Monti per quanto riguarda la delicata questione della "riforma" del "mercato del lavoro". E più in generale la sua politica economica e sociale
Maurizio Landini che della FIOM è il segretario generale, sia alla vigilia con varie interviste e persino un editoriale pubblicato in prima pagina su "il manifesto" con il titolo "Un'idea generale di lavoro e democrazia", sia dal palco di piazza San Giovanni, ha evidenziato e sottolineato gli obiettivi della protesta che riguardano anzitutto la riconquista del contratto nazionale dei metalmeccanici cancellato dagli accordi aziendali imposti da Marchionne negli stabilimenti Fiat e poi, di fatto, all'intera categoria; il ripristino dei diritti e delle libertà sindacali per permettere il rientro della FIOM in Fiat e la lotta contro le intollerabili discriminazioni verso lavoratori e delegati con tessera FIOM. Sui temi della "riforma" del "mercato del lavoro" Landini ha detto che: l'articolo 18 non si deve toccare anzi deve essere esteso a tutti i lavoratori, diversamente si dovrà mettere in campo lo sciopero generale; la precarietà va abbattuta per dare una buona occupazione ai giovani; gli ammortizzatori sociali non vanno ridotti ma vanno, anch'essi, estesi ai settori che attualmente non ne beneficiano. Al governo Landini chiede anche di abolire l'articolo 8 della vecchia manovra economica dell'ex governo Berlusconi che, per iniziativa del ministro antioperaio Sacconi, introdusse le esiziali deroghe ai contratti nazionali e alla leggi sul lavoro. E al parlamento chiede l'approvazione di una legge sulla rappresentanza sindacale che modifichi l'art. 19 dello Statuto dei lavoratori utilizzato strumentalmente e vigliaccamente da Marchionne per cacciare la FIOM dalla Fiat.
Sono posizioni condivisibili, e gli obiettivi di lotta indicati meritano pieno appoggio che il nostro Partito non ha fatto mai mancare, anche in occasione della manifestazione del 9 marzo a Roma in cui era presente con una delegazione nazionale diretta dal compagno Andrea Cammilli. Tuttavia, se ci è permesso dirlo con sincerità, non tutte le posizioni di Landini ci convincono e ci trovano concordi, specie per le questioni politiche più generali, di strategia, vediamo dei limiti di tipo riformistico. Ci sono dei tatticismi che non aiutano la chiarezza ma producono ambiguità. Per esempio: sulla "trattativa" sui temi del "mercato del lavoro" Landini mette dei paletti da non oltrepassare ma non ha il coraggio di dire che questa trattativa è finta e va interrotta perché le sue conclusioni non potranno che essere negative per gli interessi dei lavoratori. E una volta che i buoi sono scappati...
C'è un'altra rivendicazione sostenuta dal segretario generale della FIOM che riguarda "il reddito garantito di cittadinanza", fin qui avversato dalla FIOM e dall'intera CGIL, che si muove in alternativa, che lo si riconosca o meno non fa differenza, alla richiesta di un lavoro per tutti a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato. In pratica c'è l'accettazione di principio dell'ineluttabilità della disoccupazione e del precariato da indennizzare con un sussidio. Un'idea questa non nuova ma vecchia partorita da economisti liberaldemocratici.
C'è una iniziativa promossa da Landini e dal vertice FIOM, nei mesi scorsi, e che ci lascia assai perplessi per le conseguenze negative che potrebbero avere. Si tratta della raccolta di firme negli stabilimenti Fiat per svolgere il referendum sull'accordo modello Pomigliano esteso con la sola firma di FIM, UILM e FISMIC e una consultazione farsa delle Rsu (facenti capo a queste organizzazioni sindacali collaborazioniste) a tutto il gruppo. E se dovessero vincere i sì, magari sotto ricatto occupazionale? Cosa fa la FIOM, firma? Ma come, sin dall'inizio Landini aveva sostenuto giustamente che i referendum svolti a Pomigliano e a Mirafiori erano da ritenersi illegittimi, anche perché venivano lesi diritti più generali non disponibili e non modificabili a livello aziendale e perciò la FIOM non avrebbe mai firmato accordi simili. Cosa è successo nel frattempo? L'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra Confindustria e sindacati confederali, compresa la CGIL che recepiva in buona parte la controriforma contrattuale e stabiliva regole sulla democrazia e la rappresentanza sindacali arretrate, più vicine alle posizioni di CISL e UIL, che Landini non ha contestato più di tanto, di fatto le ha assunte.
Landini è tra i sindacalisti italiani uno dei più combattivi. Ma su un piano riformista. Ciò emerge con chiarezza quando sostiene che attraverso la contrattazione e l'azione sindacale si possa "modificare il modello sociale". Quando attacca il modello di sviluppo "che non riconosce vincoli sociali né ambientali". Troppo poco. Forse arriva ad attaccare il neoliberismo ma non sfiora nemmeno le cause prime fondamentali della crisi che stiamo vivendo e delle sue conseguenze nefaste sulle condizioni di vita e di lavoro delle larghe masse lavoratrici e popolari del nostro Paese e nel mondo: il capitalismo monopolistico e la sua fame insaziabile di profitti e di sangue e sudore dei lavoratori nella fase della globalizzazione imperialista dei mercati. Ci pare un'illusione riformistica, un po' velleitaria la richiesta di un piano "di investimenti pubblici e privati per un'uscita sostenibile dalla crisi".
Ma il limite maggiore di Landini dal punto di vista di classe e del cambiamento sociale sta nella sua visione della democrazia. Finché si tratta di quella sindacale nelle fabbriche, e segnatamente nella Fiat, egli ne denuncia l'assenza, ma non vede che non esiste nemmeno nel Paese e che viviamo da tempo in un regime neofascista. Egli si rifà, di fatto alla democrazia borghese, formale, monca, ipocrita anche nella sua versione più avanzata. Ed è di questa che parla, senza dirlo, visto i suoi riferimenti alla Costituzione del 1948, che tra l'altro non esiste più.
Un'analoga considerazione va fatta sul tema del lavoro. Quello che si può e si deve ottenere e strappare con la lotta nel capitalismo, anche il più tutelato sindacalmente, non esce non può uscire dalla schiavitù salariata e dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Solo il socialismo può realizzare una democrazia a favore della maggioranza del popolo e un lavoro per tutti libero dallo sfruttamento.
Landini avanza obiettivi di carattere generale e si pone come punto di riferimento e come collante dei vari movimenti di lotta peccato però che il suo orizzonte è chiuso dentro il capitalismo. In particolare colpisce la scarsa critica che dedica al governo Monti della grande finanza, della Ue e della macelleria sociale di cui non chiede che se ne vada.

14 marzo 2012