Lottare nelle assemblee dei lavoratori per modificare la piattaforma Cgil, Cisl, Uil sulla "politica dei redditi"
Liberare la dinamica salariale dai tetti di inflazione. Richiedere una nuova scala mobile per i salari e le pensioni. Rafforzare il contratto collettivo di lavoro nazionale
Respingere la linea sindacale cogestionaria e neocorporativa
I segretari di Cgil, Cisl e e Uil, Epifani, Bonanni e Angeletti hanno tenuto il 24 novembre scorso a Milano un'assemblea nazionale di quadri e delegati sindacali per parlare di salario dei lavoratori, della perdita del potere d'acquisto delle retribuzioni del lavoro dipendente, di un piattaforma rivendicativa per recuperare il terreno perduto. Detta così sembra una buona notizia, specie dopo le vergognose prestazioni rimediate dai vertici sindacali confederali in occasione della firma del Protocollo di Prodi sul welfare e nell'inizio di confronto con la Confindustria per la "riforma" del modello contrattuale per citare due fatti di rilievo recenti. E invece di riflessioni critiche e di contestazioni ce ne sono eccome da fare.
A partire da come è stata organizzata questa iniziativa. Quando a suo tempo fu annunciata doveva essere una grande manifestazione nazionale, se non proprio uno sciopero generale, sui temi della Finanziaria 2008, sui contratti da rinnovare, sui salari troppo gravati da imposte fiscali. Alla prova dei fatti si è ridotta a un'assemblea al chiuso, organizzata in fretta e furia, chiamando ad assistere pensionati e sindacalisti da "reperire" in Lombardia; un'assemblea aperta e chiusa nella mattinata, con gli interventi dei segretari generali confederali, i quali si sono dilungati su una piattaforma rivendicativa in materia di "politica dei redditi", concordata tra loro 48 ore prima, e pochissimi interventi; un'assemblea di scarso rilievo politico per le caratteristiche assunte, non per caso praticamente ignorata dai grandi mezzi di comunicazione.
Un'altra considerazione da fare è il grave ritardo che segna questa iniziativa sui salari dei lavoratori e l'assoluta mancanza di autocritica rispetto a una politica salariale che i vertici sindacali hanno portato avanti, fondata sul "patto sociale" del 23 luglio '93, con risultati fallimentari per i lavoratori dipendenti pubblici e privati che sono davanti a tutti. Parliamo di ritardo grave, colpevole, ingiustificabile perché sono anni che si assiste a un impoverimento progressivo dei salari e delle pensioni a favore dei profitti e delle rendite, riconosciuto persino da Montezemolo e da Draghi che sono rispettivamente il presidente della Confindustria e il governatore della Bankitalia. È di questi giorni la pubblicazione del Rapporto dell'Unione europea sull'occupazione 2007 che rileva come in Italia si lavori di più e si guadagni di meno in confronto con Francia, Germania e Gran Bretagna. Ci sono milioni di lavoratori italiani appartenenti a vari settori con il contratto di lavoro nazionale scaduto; più tempo passa più perdono salario. Bisognava averlo già proclamato lo sciopero generale di 8 ore di tutte le categorie, invece è rimandato al 2008 se entro l'anno non saranno rinnovati.
L'assenza di autocritica per aver abolito la scala mobile sui salari e le pensioni, per aver praticato una politica degli aumenti contrattuali subordinati ai tetti dell'inflazione programmata, per aver determinato un gigantesco spostamento della ricchezza dal monte salari ai profitti capitalistici, significa che non esiste alcuna intenzione di cambiare "politica dei redditi".
Una concezione cogestionaria e neocorporativa
Infatti, la piattaforma lanciata (sarebbe meglio dire calata dall'alto in modo super-verticistico) nella suddetta assemblea, denominata "Per valorizzare il lavoro e far crescere il Paese", non segna quel cambiamento di strategia che sarebbe necessario, la premessa politica non è condivisibile, le rivendicazioni riunite in cinque capitoli risultano insufficienti, sbilanciate sul lato del fisco e che non toccano minimamente i profitti padronali.
Nella piattaforma varata a Milano è riproposta pari pari una concezione sindacale di stampo cogestionario e neocorporativo, da "patto sociale" filocapitalistico, dove i salari vengono dopo i profitti, dove la crescita salariale è sempre subordinata alla crescita economica. Questo concetto è scritto in apertura del documento: "incrementare la crescita economica del nostro Paese" alla quale anche gli operai devono contribuire, per poi "realizzare una maggiore equità sociale anche attraverso una migliore distribuzione del reddito". La internazionalizzazione dei mercati impone "all'economia e alla società italiana nuove sfide competitive" da affrontare con "uno sforzo congiunto di tutto il Paese". Mentre si persegue questa strategia occorre "dare - si legge nella piattaforma - una risposta al lavoro dipendente". Come? Con "una nuova politica dei redditi che abbia come asse centrale la crescita e lo sviluppo delle capacità produttive e competitive del paese, con un marcato segno redistributivo - bontà loro - verso il lavoro dipendente".

I cinque punti della vertenza
Nell'ambito di questa politica sindacale riformista-borghese, nell'ambito di questa strategia sindacale cogestionaria e neocorporativa i vertici di Cgil, Cisl e Uil "formalizzano l'apertura di un confronto con il Governo e le controparti datoriali" e aprono una vertenza fondata su cinque punti rivendicativi: "riforma" dell'Irpef; tasse sugli aumenti contrattuali; federalismo fiscale; politiche fiscali sulla casa; tariffe e prezzi. L'aspetto fiscale ha in questa piattaforma, come vedremo anche dopo più nel dettaglio, un ruolo assolutamente preponderante. L'alleggerimento delle tasse sul lavoro dipendente, così come la lotta all'evasione fiscale e contributiva, così come l'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie e sui grandi patrimoni è importante, certo. Ma mancano del tutto le rivendicazioni di politica salariale da avanzare nei confronti del padronato; anzi se c'è qualcosa è a suo favore.
Sull'Irpef (imposta sulle persone fisiche) il documento sindacale chiede: un incremento delle detrazioni da lavoro dipendente e da pensione, uniformando anche la no tax area a 8.000 euro; la riduzione delle aliquote fiscali "con particolare riferimento alla terza aliquota (38%) da realizzarsi in un arco temporale pluriennale; un unico strumento di sostegno fiscale alla famiglia con figli "da realizzarsi attraverso la unificazione delle detrazioni per carichi familiari e l'assegno familiare"; la riduzione della tassazione sul Tfr e la riduzione dell'imposte sulla previdenza complementare.
A proposito degli aumenti contrattuali, Cgil, Cisl e Uil chiedono la riduzione delle tasse "per consentirne una redistribuzione immediata e visibile a favore dei lavoratori dipendenti" ma questa riduzione delle tasse interessa anche i padroni? Su ciò, furbescamente si tace. Inoltre propongono una diffusione generalizzata ed esigibile della contrattazione di secondo livello e la riduzione delle tasse sugli incrementi di reddito sui premi di risultato "come già avviato col protocollo del 23 luglio". E qui c'è un chiaro aggancio alla "riforma" del modello contrattuale attualmente in discussione con la Confindustria finalizzata a depotenziare il contratto nazionale e a incentivare la contrattazione aziendale e territoriale. Da notare che, secondo i dati del Cnel, nel 2006 solo il 10% delle aziende è stata in grado di fare la contrattazione di secondo livello.
Circa il federalismo fiscale, fermo restando che per i vertici sindacali rappresenta una realizzazione importante, a loro interessa che vi sia un tavolo di concertazione con gli enti locali e "il mondo della rappresentanza delle autonomie" affinché ciò non comporti nuovi oneri per i contribuenti.
Per gli affittuari, anche se incapienti, queste le richieste: estendere i benefici per i contratti a canale concordato su tutto il territorio nazionale; levare la detrazione Irpef per gli inquilini titolari di contratto a canale concordato; riduzione delle tasse per i locatori che affittano con canale concordato; obbligo del pagamento del canone con forme che ne permettano la tracciabilità. Per l'incremento di alloggi in locazione a canoni "compatibili con il reddito medio dei lavoratori" il documento sindacale suggerisce una politica di incentivi per i soggetti privati che investono su questo campo.
Tariffe e prezzi. L'attenzione è fissata sulle imprese che forniscono prodotti e servizi di "pubblica utilità", che godono delle riduzioni del cuneo fiscale. Le quali, si legge nel documento "devono provvedere ad una riduzione dei prezzi finali all'utenza corrispondenti ai benefici ricevuti". Inoltre, si parla di tariffa sociale nei "servizi di carattere economico generale" con il riconoscimento della condizione di disagio economico attraverso l'Isee. Infine il solito tavolo di concertazione sui prezzi con il governo, le parti sociali, le regioni e gli enti locali "per disincentivare/sanzionare gli aumenti speculativi".
Promuovere una vertenza nazionale interconfederale nei confronti del governo e delle associazioni padronali, per recuperare il potere d'acquisto perso e incrementare in modo sostanzioso le retribuzioni reali dei lavoratori dipendenti e delle pensioni medio-basse è senza dubbio una necessità pressante e urgente. A patto che essa sia condotta sulla base di una piattaforma rivendicativa discussa e approvata dai diretti interessati. C'è, sulla carta, l'impegno dei vertici confederali, di aprire la discussione in tutti i luoghi di lavoro. In questo senso vanno incalzati a mantenere la promessa in modo corretto e reale. È nel corso di questa discussione che, a nostro parere, va modificata pesantemente e integrata, per le parti che mancano, la piattaforma abbozzata in termini generici dai segretari di Cgil, Cisl e Uil.

Il mandato dei lavoratori
Va modificata nell'impostazione di fondo, superando quella concezione cogestionaria e neocorporativa che ingabbia i salari ai profitti, alla produttività, alla redditività, alle compatibilità economiche e finanziarie, al debito pubblico. Va modificata liberando la dinamica salariale dai tetti d'inflazione programmata decisi in sede politica e governativa. Va modificata tornando a chiedere un meccanismo di adeguamento automatico dei salari e delle pensioni dal caro vita ogni tre mesi. Senza la reintroduzione della scala mobile i salari sono condannati all'erosione costante. In ogni caso l'istituto del contratto collettivo nazionale di lavoro non deve essere indebolito ma rafforzato; diversamente si andrebbe a ulteriori progressive frammentazioni, diseguaglianze e riduzione complessiva dei trattamenti salariali.
Le rivendicazioni in materia fiscale sono importanti per ottenere una robusta redistribuzione del peso impositivo dal lavoro dipendente al lavoro autonomo, ai possessori di capitali e di patrimoni, ai titolari di rendite finanziarie. Mantenendo sempre in prima linea la lotta alla grande evasione fiscale e contributiva. Ma le proposte fatte nella piattaforma sindacale a noi paiono troppo timide, insufficienti. In particolare per quanto riguarda le modifiche delle aliquote Irpef e le esenzioni totali (no tax area), così come per gli incapienti c'è bisogno di richieste più forti capaci di portare un miglioramento effettivo. L'imposizione fiscale deve aumentare invece sulle grandi rendite finanziarie ancora oggi tassate solo al 12%. Un analogo ragionamento va fatto sugli altri capitoli della vertenza, casa, affitti, prezzi, tariffe.
Una battaglia vincente per un incremento generalizzato dei salari implica obbligatoriamente una lotta strenua contro i contratti di lavoro precari e contro il "lavoro nero". Passano da qui le forme di sfruttamento più brutali, la negazione dei diritti e delle tutele sindacali, le paghe da fame.

5 dicembre 2007