Instaurate le relazioni sindacali della terza repubblica
Lottiamo contro il nuovo modello contrattuale padronale e corporativo
Si impone lo sciopero generale di tutte le categorie di 8 ore con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi

L'incontro convocato a Palazzo Chigi il 22 gennaio scorso dal governo con i sindacati confederali Cgil Cisl, Uil, più l'ex sindacato fascista Ugl e con le associazioni padronali, Confindustria in testa aveva lo strano tema "Per un'economia sociale e di mercato". Di fatto doveva trattare i provvedimenti anticrisi da mettere tempestivamente in campo. Lo esigeva la necessità impellente dettata da una situazione economica, sociale e produttiva fortemente deteriorata con conseguenze dirompenti per le condizioni di vita e di lavoro delle larghe masse giovanili e popolari. Era naturale aspettarsi in quel tavolo investimenti, proposte a sostegno dell'occupazione, misure per gli "ammortizzatori sociali", risorse da destinare agli aumenti e i salari e delle pensioni, progetti per il Mezzogiorno.
Invece, cambiando le carte in tavola, i rappresentanti del governo (Letta sottosegretario alla presidenza del consiglio, Sacconi ministro del lavoro e del welfare, Brunetta ministro della funzione pubblica) hanno tirato fuori dal cappello il testo di un "Accordo quadro per la riforma degli assetti contrattuali" precostituito, blindato, immodificabile e chiesto ai presenti semplicemente l'adesione senza se e senza ma. Lo hanno firmato, oltre ai suddetti ministri, Confindustria, Confcommercio, Confapi, Confesercenti e le altre associazioni imprenditoriali, a parte Confsal, Ania e Abi che si sono riservate di siglarlo successivamente, lo hanno firmato (ma su questo non ci potevano essere dubbi) la Cisl di Bonanni, la Uil di Angeletti e l'Ugl della Polverini. Si è opposta alla firma la Cgil di Epifani.

Conseguenza degli accordi separati
Nell'agire del governo si può parlare di gravi scorrettezze nel metodo? Si può parlare di sorpresa nel blitz messo in essere nel corso della riunione? Nel primo caso certamente sì! Non si può annunciare un ordine del giorno e, col fatto compiuto, ribaltarlo sul momento. È un modo banditesco assolutamente inaccettabile, associato a un'arroganza brutale parimenti inaccettabile. Nel secondo caso invece, c'era da aspettarselo, era assai probabile che le cose sarebbero andate in questo modo. I fatti che si sono succeduti in questi mesi, in pratica dall'autunno del 2008 ad oggi, e le dichiarazioni esternate per esempio da Sacconi per il governo e dalla Marcegaglia per la Confindustria, dallo stesso Epifani nel corso di una conferenza stampa il giorno avanti l'incontro portavano diritto a questa sciagurata conclusione, per i lavoratori e l'unità del movimento sindacale. I fatti a cui si allude fanno riferimento alla lunga trafila di accordi separati firmati da governo, associazioni padronali e da Cisl, Uil e Ugl ma non dalla Cgil in dissenso con i contenuti di essi. Accordi per il rinnovo dei contratti del commercio, del pubblico impiego e della scuola, accordi per l'appunto sulle linee per la "riforma" del sistema contrattuale e delle relazioni sindacali, in sostituzione del famigerato patto del luglio 1993 sulla "politica dei redditi", con Confindustria per le grandi imprese, la Confapi per quelle piccole, Confcommercio per le categorie del terziario.
Sin dall'inizio di gennaio, il ministro Sacconi, ex socialista, ex craxiano e ora gerarca di Berlusconi, in più dichiarazioni pubbliche aveva espresso l'intenzione categorica di chiudere la "trattativa" sulla "riforma" della contrattazione entro gennaio, con o senza la Cgil. Il 21 gennaio, cioè alla vigilia dell'incontro, Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, riferendosi alle obiezioni della Cgil, affermava: "Non possiamo più perdere tempo. Gli altri sindacati stanno mostrando realismo e senso di responsabilità". Senza rispondere alle contestazioni di merito sui tempi e i contenuti della proposta di nuova contrattazione, aggiungeva questo insulto: "Mi auguro che Epifani non guardi ad altri obiettivi, come le elezioni europee". Questo fa comprendere le enormi pressioni esercitate sulla Cgil, non solo dal governo e dal padronato, non solo dai sindacati collaborazionisti di regime, ma anche da una parte molto consistente del PD di Veltroni per farla capitolare. Fa comprendere la violenta e intollerabile forzatura messa in atto: era quasi certo che la Cgil non avrebbe firmato, eppure sono andati avanti lo stesso. Forse i firmatari del nuovo "patto sociale" padronale e corporativo, pensano di ricalcare il modello Alitalia. In quella circostanza la Cgil in un primo tempo rifiutò la sua firma sull'accordo riguardante gli organici, i licenziamenti, i nuovi contratti di lavoro, in un secondo tempo aderì, ottenendo delle modifiche di scarso rilievo.

Intesa da contestare e rifiutare
Allo stato attuale si deve dare atto al leader della Cgil di aver tenuto le posizioni. "Il governo - ha detto Epifani - ha forzato in direzione di un accordo che sapeva non avrebbe avuto il consenso della Cgil". Un accordo che non può essere condiviso perché "restringe la contrattazione, quella nazionale è fortemente depotenziata in tutti i suoi aspetti; quella aziendale non viene estesa. Il testo - continua Epifani - contiene un principio di derogabilità ai principi generali che può rendere inesigibili le norme del contratto nazionale. A livello nazionale si procede, strutturalmente, a una riduzione del potere d'acquisto. E non abbiamo firmato perché c'è una norma sul diritto di sciopero assolutamente inaccettabile in quanto le parti dovrebbero stabilire che solo chi rappresenta la maggioranza ha la possibilità di proclamare gli scioperi". Gli diamo atto della posizione contraria assunta, ma allo stesso tempo lo invitiamo a promuovere la mobilitazione che una prova di forza di questo genere richiede. Anche se non abbiamo certo dimenticato la piattaforma del febbraio 2008 messa a punto con Cisl e Uil proprio sulla "riforma" della contrattazione che, in una certa misura, andava nella direzione analoga all'intesa separata sottoscritta il 22 gennaio 2009.
A proposito degli effetti deleteri dell'intesa sul potere d'acquisto dei lavoratori, uno studio dell'Ires-Cgil ha appurato che simulando i meccanismi previsti dall'intesa nel periodo contrattuale 2004-2008 i lavoratori avrebbero perso in media 1.352 euro, mentre le imprese avrebbero guadagnato complessivamente 15-16 miliardi di euro.
Dal punto di vista dei lavoratori e dei loro interessi economici, sindacali, contrattuali l'intesa padronale e corporativa non può che essere contestata e rifiutata. Perché depotenzia, come si è accennato, il ruolo e la funzione del contratto nazionale; introduce la triennalità della durata del Ccnl anche per la parte economica (fino ad ora era biennale), assume un meccanismo per la rivalutazione dei salari chiamato IPCA (Indice dei prezzi al consumo in ambito europeo) depurato però dagli aumenti dei prodotti energetici che impedisce un recupero soddisfacente del potere d'acquisto perso a causa dell'inflazione. Perché sposta aumenti contrattuali sul salario variabile per incentivare gli straordinari e aumenti di produttività da realizzarsi con aumenti di ritmo di lavoro. Perché tutta la retorica sulla contrattazione aziendale è un puro inganno, visto che la stragrande maggioranza dei lavoratori è nell'impossibilità di praticarla. Perché è assolutamente inaccettabile (ed anche incostituzionale) che la titolarità del diritto di sciopero sia monopolio dei sindacati cosiddetti maggiormente rappresentativi. Perché l'estensione abnorme degli enti bilaterali oltre ad assumere un ruolo legalmente illegittimo cambia radicalmente la natura del sindacato trasformandolo in una corporazione di stampo mussoliniano.
Diverso, ovviamente, il giudizio dei firmatari dell'accordo, definito, un po' da tutti "storico". Il primo a dirlo è Sacconi, il principale artefice dell'operazione: "L'accordo per la riforma degli assetti contrattuali - sostiene - ha una portata storica, non solo perché sostituisce le intese sottoscritte il 23 luglio 1993, ma soprattutto perché sostituisce per la prima volta il tradizionale approccio conflittuale nel sistema di relazioni industriali con quello cooperativo". "L'accordo quadro infatti - aggiunge - promuove lo spostamento del cuore della contrattazione dal livello nazionale alla dimensione aziendale e territoriale ove, anche grazie alla detassazione del salario di produttività, le parti sono naturalmente portate a condividere obiettivi e risultati". Anche da queste parole emerge con chiarezza il progetto complessivo del governo di "riforma" delle relazioni sindacali e contrattuali in Italia di cui la presente intesa è parte integrante.

Relazioni sindacali da terza repubblica
Un progetto di stampo neocorporativo e neofascista da terza repubblica che passa, appunto dallo smantellamento della contrattazione collettiva nazionale, a favore di quella aziendale e territoriale di segno federalista, dalla subordinazione dei salari alla competitività, alla redditività delle imprese e ai profitti capitalistici, dalla possibilità ampia di deroghe per le imprese dagli accordi contrattuali e dalle leggi sul lavoro, dall'avvento della bilateralità in sostituzione della contrattazione classica, dal monopolio della rappresentanza sindacale in favore dei sindacati asserviti al sistema e dalla limitazione fino alla cancellazione di fatto del diritto di sciopero. Un progetto che è scritto nel cosiddetto "libro verde" del ministero del welfare di cui è titolare Sacconi e nel disegno di legge n.803 presentato nell'estate 2008 in parlamento dal "centro-destra", avente come tema "la partecipazione dei lavoratori nell'impresa" e che ha come finalità la complicità tra lavoratori e padroni, tra sindacati e imprese, più in generale "l'abbandono di atteggiamenti conflittuali e antagonistici a favore di atteggiamenti cooperativi e agonistici".
Entusiasta la Marcegaglia che definisce (anche lei) l'intesa una "firma storica". Tra i vertici sindacali collaborazionisti è il leader della Cisl Bonanni a cantar vittoria. Non per caso, egli è stato il maggior sostenitore, all'interno delle tre confederazioni, di una "riforma" contrattuale che avesse le caratteristiche dell'intesa sottoscritta, che si fondasse sulla cogestione e sulla "cooperazione" sociale. La "riforma" del modello contrattuale è "un obiettivo storico - dice - inseguito per tanti anni, un accordo di grande valore politico, economico ma anche contrattuale". Poi invia un invito peloso alla Cgil quando afferma: "Spero che la Cgil aderisca, molto, molto presto".

La mobilitazione dei lavoratori
La risposta è venuta tempestivamente dai lavoratori metalmeccanici, chimici, del pubblico impiego. Si registrano proteste spontanee un po' in tutta Italia. Le prime fabbriche a proclamare un'ora di sciopero sono state la Piaggio e lo stabilimento della Marcegaglia in provincia di Bergamo. Iniziative analoghe in Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Campania. Prese di posizioni fortemente contrarie sono venute dalle aree programmatiche di sinistra della Cgil "Rete28aprile" e da "LavoroeSocietà"; anche SdL si è fatta sentire per affermare il suo No all'intesa che cancella il contratto nazionale. Il vertice nazionale della Cgil ha annunciato due iniziative: la richiesta del referendum sindacale sull'accordo, senza il quale non ha alcuna legittimità; una dura risposta di lotta da attuare dopo lo sciopero generale del 13 febbraio già programmato dai metalmeccanici e dai lavoratori pubblici.
Sono propositi condivisibili, che noi del PMLI appoggiamo con forza. Per essere efficace e incidere davvero la mobilitazione non può però risolversi "semplicemente" in una manifestazione a Roma da effettuarsi di sabato e addirittura in aprile, ma deve prevedere lo sciopero generale di 8 ore di tutte le categorie con manifestazione sotto Palazzo Chigi, da indire in tempi più stretti e ravvicinati. Intanto insistiamo sul referendum.
Di ragioni ce ne sono da vendere. Se non è questo il momento, quando?

28 gennaio 2009