Via libera del Senato. Il PDL non partecipa al voto e abbandona l'Aula
Lusi arrestato, l'ex tesoriere della Margherita è accusato di associazione per delinquere finalizzata all'appropriazione indebita
"Ho molte cose da dire ai giudici"

Il 20 giugno con 155 voti favorevoli, 13 contrari e un astenuto il Senato ha dato il via libera all'autorizzazione a procedere all'arresto nei confronti dell'ex senatore PD e ex tesoriere della Margherita, Luigi Lusi.
I votanti sono stati in tutto 195 perché il PDL, al culmine di una vera e propria guerra intestina tra i fautori del voto palese e quelli del voto segreto, ha deciso di uscire dall'Aula al momento del voto. Mentre l'Italia dei Valori, la Lega Nord, l'UDC, il gruppo API-FLI e il PD, di fronte alla grande indignazione popolare suscitata dalle scandalose ruberie di Lusi, hanno opportunisticamente dichiarato il voto favorevole dei propri gruppi.
Dei 13 senatori che hanno votato contro l'arresto, due appartengono al Gruppo Misto mentre tutti gli altri sono del "centro-destra". Fra questi spiccano Piero Longo, avvocato di Berlusconi, e Marcello Pera (che hanno partecipato al voto in disaccordo con la linea del gruppo) e Alberto Tedesco, l'ex senatore PD e ex assessore alla sanità pugliese con Nichi Vendola, ora passato al gruppo Misto, nei confronti del quale Palazzo Madama ha negato già due volte l'autorizzazione all'arresto: il 20 luglio 2011 in Aula e il 15 febbraio scorso in Giunta.
L'unico astenuto è stato Francesco Rutelli che, nonostante il suo pesante coinvolgimento nell'inchiesta, ha avuto anche la faccia tosta di dire che: "Sono parte offesa nel processo"; mentre Enzo Bianco, altro boss dell'ex Margherita chiamato in causa da Lusi, ha votato per l'arresto.
Per la prima volta nella storia repubblicana il voto si è svolto per chiamata nominale; non era mai successo che i senatori venissero chiamati ad uno ad uno per esprimersi con voto palese su una richiesta di arresto per un loro collega. Ad imporre il voto palese è stato il presidente del Senato Renato Schifani (PDL) nel tentativo estremo di salvare Lusi dalle patrie galere dopo il voto favorevole all'arresto espresso dalla Giunta per le immunità del Senato il 12 giugno scorso. Una decisione non scontata perché già in quella occasione il senatore pidiellino Ferruccio Saro aveva cercato di levare le castagne dal fuoco a Lusi presentando una relazione che identificava del "fumus persecutionis" negli atti dei magistrati romani titolari dell'inchiesta su Lusi.

Capo di un'associazione a delinquere
Individuato come il "capo di un sodalizio dedito ad attività di tipo predatorio. Un'associazione a delinquere votata alla spoliazione, non solo al saccheggio di soldi pubblici, ma alla delegittimazione di un partito" l'ex tesoriere della Margherita è stato tradotto poche ore dopo il voto nel carcere di Rebibbia e ora insieme a sua moglie, Giovanna Petricone, e ai due commercialisti, Mario Montecchia e Giovanni Sebastio, già agli arresti domiciliari dagli inizi di maggio, deve rispondere di "associazione per delinquere finalizzata all'appropriazione indebita, al riciclaggio, fraudolenta intestazione di valori ed altri illeciti strumentali a danno della Margherita" per aver depredato circa 30 milioni di euro di rimborsi elettorali dei quasi 80 complessivi affluiti nelle casse dell'ex Margherita dal 2007 al 2011.

Le minacce del boss Lusi
Subito dopo il voto, Lusi ha chiesto ai commessi il tabulato delle votazione e, sottolineando alcuni nomi, ha commentato che Rutelli almeno ha avuto la decenza di non votare, mentre "lo ha fatto Bianco e questo è incredibile... non accetterò il patteggiamento, andremo in dibattimento" perché ha minacciato: "non ho detto tutto" alla magistratura "ci sono ancora approfondimenti da fare con i pubblici ministeri. Se lo vogliono".
Una chiamata di correità rivolta a tutto il vertice dell'ex Margherita e del PD che Lusi ha ribadito anche durante il suo intervento in Aula sottolineando fra l'altro che: "Non è mai stato dato che dei dirigenti di partito inondino le Tv con dichiarazioni per cui non avrebbero mai saputo alcunché sull'attività gestionale del proprio partito. Non è credibile che il tesoriere da solo abbia preso ogni decisione di spesa per 314 milioni, usando tra l'altro per 90 volte il bonifico che è il più tracciabile dei pagamenti, questo non solo non è credibile ma non è materialmente possibile".

Un patto fra ladroni
Accuse che Lusi ha ribadito e documentato nell'interrogatorio fiume del 23 giugno durato oltre sette ore durante il quale ha consegnato ai magistrati romani una serie di carte tra cui due lettere di Rutelli a Lusi e due e-mail, 10 pagine in tutto, del senatore all'attuale leader dell'Api e riguardano la spartizione dei rimborsi elettorali ottenuti dalla Margherita dopo lo scioglimento e la fusione con i DS nel Partito democratico avvenuta nel 2007. Secondo quanto riportato da vari organi di stampa, nelle missive Rutelli dispone come deve essere distribuito un milione e mezzo di euro che Lusi deve prelevare dalle casse della Margherita: 600mila euro sono per lui, il resto distribuito tra altre personalità legate alle varie correnti interne del partito fra cui l'ex ministro Enzo Bianco e il berlusconino di Firenze Matteo Renzi.
In una delle email invece, si parla dell'indicazione "concordata" secondo la quale il denaro del partito sarebbe stato separato seguendo il patto "60/40″ (60 per cento e 40 per cento in proporzione alle correnti) e soprattutto sarebbe stato convogliato su associazioni e fondazioni per dare meno nell'occhio. Infine per quanto riguarda le operazioni immobiliari Lusi ha detto che Rutelli non solo ne era a conoscenza, ma le ha anche agevolate suggerendo di costituire la società offshore attraverso la moglie di Lusi che è cittadina canadese. Lasciando tra l'altro intender che ville e appartamenti, beni in Canada, a Roma, Genzano, Capistrello, Ariccia, erano si tutti intestati a sé e ai suoi familiari, ma in realtà erano a disposizione dei boss politici rutelliani.
Insomma un vero e proprio patto spartitorio fra ladroni che vede coinvolti in prima persona non solo Rutelli ma tutto il vertice dell'ex Margherita e quindi anche del PD.

Sesta richiesta di arresto in parlamento
Lusi è il sesto parlamentare di questa legislatura destinatario di una richiesta di arresto per fatti gravi e infamanti legati a ruberie e corruttele.
Tra i casi più eclatanti degli ultimi tre anni ricordiamo quello del boss Nicola Cosentino, deputato PDL, che già nel dicembre del 2009 si era salvato dall'arresto richiesto dalla magistratura di Napoli per collusione alla camorra, mentre a gennaio 2012 si è salvato grazie ai voti determinanti della Lega Nord e dei Radicali nonostante il pronunciamento favorevole all'autorizzazione della Giunta di Montecitorio.
Poi c'è il caso di Marco Milanese il cui arresto è stato respinto dalla Camera a settembre 2011 salvando dall'accusa di associazione a delinquere, corruzione e rivelazione di segreto d'ufficio l'ex braccio destro dell'allora ministro per l'Economia, Giulio Tremonti.
Mentre all'inizio di giugno lo stesso Senato, ribaltando il verdetto della Giunta per le immunità, ha respinto la richiesta di custodia cautelare ai domiciliari nei confronti del senatore PDL, Sergio De Gregorio, accusato di una truffa da 23 milioni di euro di finanziamenti pubblici nell'inchiesta sull'Avanti, in cui è indagato anche l'ex direttore Lavitola.
Altri due precedenti altrettanto eclatanti riguardano il deputato del PDL, Alfonso Papa, e il senatore allora del PD, Alberto Tedesco. Un anno fa, il 20 luglio 2011, la Camera decideva per l'arresto di Papa, indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P4. Mentre pochi giorni dopo il Senato, grazie ai voti di Lega Nord e del PDL salvava Alberto Tedesco dall'arresto richiesto dalla Procura di Bari nell'ambito di un'inchiesta sulla malasanità regionale pugliese del governatore Nichi Vendola.

27 giugno 2012