Lo sostiene il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso
La mafia italo americana ha stipulato un accordo con "Cosa nostra"

Nonostante la cattura dei boss di Corleone, la mafia siciliana è ben lungi dall'essere definitivamente sconfitta come qualcuno aveva sentenziato all'indomani degli arresti di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Al contrario, come risulta da un rapporto congiunto dell'Fbi e della Royal Canadian Mounted Police , "Cosa nostra" ha messo in atto negli ultimi tempi un progetto di ristrutturazione interna suggellata da una nuova intesa tra le famiglie orfane di Provenzano, la mafia italo americana e le cosche della 'ndrangheta calabrese.
Secondo quanto riferito dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso in una intervista su "la Repubblica" del 13 luglio scorso, il "padrino" che tiene a battesimo la nuova organizzazione è il boss siculo americano Frank Calì. È lui l'"ambasciatore" che sta trattando "un nuovo patto tra la mafia americana e Cosa nostra siciliana". Ed è in questo contesto che vanno inquadrate, secondo Grasso, le ragioni del ritorno a Palermo degli Inzerillo, i mafiosi sterminati nella guerra con i corleonesi.
L'esecuzione di Nicola Ingarao, avvenuta il 13 giugno scorso, il primo omicidio "pubblico" di mafia a Palermo, dopo quindici anni, lascerebbe supporre che col rientro degli Inzerillo superstiti, scampati alla guerra di mafia degli anni '80, si possa aprire una nuova stagione di sangue in Sicilia.
Questa è l'"opinione diffusa" con cui però io non sono d'accordo ha detto Grasso: "Prima di Ingarao, nel gennaio del 2006, scompare per 'lupara bianca' Giovanni Bonanno, reggente di Resuttana. Le evidenze investigative in nostro possesso dimostrano che quel delitto è il risultato di una decisione condivisa da tutte le componenti di Cosa Nostra. Voglio dire che non sempre un omicidio annuncia un conflitto. Al contrario, l'eliminazione di un mafioso può anche liberare il campo per rendere possibile un'ampia intesa di 'pace'. Se quella presenza diventa un punto di resistenza o di contraddizione, l'omicidio in quel caso non è prodromo di un scontro. Anche la morte di Ingarao si potrebbe spiegare così".
Per il momento l'unica cosa certa - ha chiarito Grasso - è che: "le famiglie mafiose hanno trovato un accordo. Quel che era considerato il problema degli Inzerillo si è assolutamente risolto. Non ne conosciamo i dettagli. Però abbiamo un riscontro concreto. Nel febbraio del 2006 il capomafia Salvatore Lo Piccolo invia un messaggio, un 'pizzino', a Bernardo Provenzano. Vuole rassicurare il corleonese che a Palermo non ci sono più contrasti per gli Inzerillo. E questo è un fatto. Il lavoro a Palermo della commissione antimafia servirà anche a verificare se ci sono nuove risultanze e di conseguenza capire che cosa è avvenuto dopo la cattura di Provenzano e che cosa può accadere ancora. Ma una cosa sento di poterla dire. Dalle indagini, quell'accordo c'è e tiene. Al punto che, se fino alla fine del 2005 alcune "famiglie" palermitane pensavano di preparare una serie di omicidi, tutto questo non è più attuale".
Questo perché, secondo il procuratore nazionale antimafia "Dentro Cosa Nostra tutti hanno l'interesse a lavorare per l'unità dell'organizzazione nella convinzione che soltanto insieme possono garantirsi la continuità. Non vogliono più commettere gli errori del recente passato. Hanno compreso che se vogliono avere un futuro devono intendersi, trovare dei compromessi. In questo momento, le famiglie di mafia sono alla ricerca di prospettive di pace e prospettive di investimento. Cosa nostra, diciamo così, si guarda intorno e ha la necessità di accumulare denaro, muoverlo là dove il rendimento può essere più favorevole. Nei mercati illegali, certo. Ma anche, se non soprattutto, in quelli legali dovunque offrano delle opportunità. Voglio fare un esempio. Sappiamo che Cosa Nostra vuole tornare a occuparsi del grande traffico internazionale di stupefacenti ma non con il ruolo e le funzioni del passato. Negli Anni Ottanta, in Sicilia sono state scoperte cinque raffinerie di eroina, quattro a Palermo e una vicino ad Alcamo. Ora lo stoccaggio degli stupefacenti si ipotizza che sia in Africa o nei Balcani. Non vogliono più prendersi questi rischi, i mafiosi. Troppo pericoloso fare ancora questo commercio".
Perciò: "Oggi i vertici dell'organizzazione non gestiscono in prima persona i traffici. O li delegano a figure minori o li consegnano, per così dire, in appalto ad altri clan, albanesi, nigeriani... Saranno questi ad andare incontro a venti anni di galera e più. I mafiosi di casa nostra si limitano a finanziare i carichi con carature e quote come nel contrabbando dei tabacchi degli Anni Cinquanta. Guadagneranno, nell'immediato, un po' di meno, ma il profitto è sicuro, protetto. Si può dire che abbiamo di fronte due canali, non coincidenti né sovrapponibili. In uno si muove il denaro. Nel secondo la droga. Il movimento del denaro non coincide nemmeno temporalmente con il movimento della droga. Ecco, Cosa Nostra oggi vuole entrare con tutto il suo peso nel circuito finanziario abbandonando ad altri il canale operativo".
Ecco qual è, secondo Grasso, la nuova strategia mafiosa che sta alla base del nuovo accordo fra la mafia italo americana degli Inzerillo e "cosa nostra".
Da una parte ci sono "Le "famiglie" americane che non hanno più interesse a fare grossi traffici di stupefacenti. Hanno l'interesse a controllare attività legali. Se, per ipotesi, controllano le attività ufficiali e legali del porto di New York, perché avere addosso la Dea o l'Fbi per un commercio di droga con i colombiani?". Dall'altra parte c'è cosa nostra che: "Per fare certi investimenti non si può più permettere di riciclare i suoi profitti in beni individuabili sul territorio, in immobili e terreni, come ha sempre fatto. Cerca nuove strade dovunque i ricavi del crimine possano diventare anonimi e puliti. La via verso gli Stati Uniti è solo una delle possibilità che si riserva. Secondo alcune indiscrezioni che non hanno trovato ancora un riscontro, ci sono 'famiglie' che potrebbero investire somme importanti nella rete commerciale del centro di Manhattan. Ma non ci sono solo gli Stati Uniti. Loro vanno dove la ricchezza ingrassa in sicurezza".
Perciò, conclude Grasso, io non credo che ci saranno né omicidi eccellenti né una nuova guerra di mafia.
"La strategia violenta come dimostrazione di forza per un'autoproclamazione di un nuovo vertice di Cosa nostra, credo che appartenga al passato". La mafia oggi: "Vuole denaro e per fare denaro deve essere unita, cercare mediazioni, stringere accordi. È proprio quello che, secondo me, la mafia siciliana sta cercando di fare. Queste scelte sono omogenee e in sintonia con l'interesse verso gli americani. E, si sa, gli americani hanno molto disapprovato i Siciliani per le uccisioni di Falcone e Borsellino. Quelli pensano solo agli affari".

5 settembre 2007