Brutali cariche della polizia contro il corteo a Roma degli operai sardi e veneti
I manganelli del regime neofascista non piegano gli operai dell'Alcoa
Grazie alla dura lotta ottengono il ritiro della cassa integrazione

La lotta paga, eccome se paga. Specie se essa è condotta con grande unità e determinazione da parte dei lavoratori interessati; se gli obiettivi da raggiungere sono chiari; se attorno alla lotta costruisci un vasto fronte di solidarietà; se metti in campo tutte le forme di lotta necessarie per ottenere risultati positivi, che vanno dallo sciopero alla manifestazione di piazza, all'occupazione della fabbrica, al blocco stradale, al blocco ferroviario e aeroportuale, ai presidi e alle contestazioni collettive davanti alle sedi governative centrali e/o locali; se riesci anche in qualche modo ad attirare l'attenzione dei mass-media e così sensibilizzare l'opinione pubblica; specie se non ti fai intimorire e non ti pieghi di fronte alle azioni repressive padronali e poliziesche che puntualmente scattano appena la lotta sale d'intensità.
Pensando a ciò viene subito in mente la vertenza dei lavoratori dell'Insee, che si è conclusa positivamente proprio grazie all'unità e alla determinazione con cui è stata condotta questa lotta.
C'è in atto una lotta molto importante, quella dei lavoratori dell'Alcoa che in buona sostanza sta ripercorrendo la stessa strada ottenendo i primi risultati positivi i quali, pur non definitivi, sono premessa per raggiungere gli obiettivi sperati. Una vertenza molto delicata e complessa, questa, con una posta in gioco enorme da un punto di vista industriale, occupazionale e sociale. Si tratta dei due stabilimenti dell'Alcoa (di proprietà di una multinazionale americana) uno situato a Portovesme (Carbonia-Iglesias) e l'altro a Fusina (Venezia) che producono alluminio primario e coprono per il 18% il fabbisogno nazionale, che danno lavoro a 2 mila persone tra occupati direttamente e indotto. Si tratta di un'azienda a forte consumo energetico per il tipo di produzione e che fino ad oggi ha goduto di tariffe agevolate. Agevolazioni contestate dalla Unione europea con una multa pari a 270 milioni di euro e l'ordine per il governo italiano di cessare tali agevolazioni. Da qui la decisione ricattatoria della proprietà padronale americana di sospendere la produzione, mettere in cassa integrazione tutto il personale e, inevitabilmente, chiudere i battenti dell'azienda per poi magari delocalizzarla.

Deriva e ricatti padronali
Una deriva disastrosa questa che andava e va fermata in tutti i modi e con tutti i mezzi. Perché la chiusura dell'Alcoa e quindi la cessazione della produzione dell'alluminio assesterebbe un duro colpo all'apparato industriale italiano già in pessime condizioni. Perché la chiusura dello stabilimento sardo di Portovesme, oltre a metter per strada centinaia e centinaia di lavoratori con le loro famiglie, peggiorerebbe la condizione esistente caratterizzata da una estesa deindustrializzazione, il caso dell'Euroalluminia è lampante in questo senso, e da una disoccupazione pari al 35%. Così come la chiusura dello stabilimento di Fusina e il licenziamento dei lavoratori occupati, avrebbe esiti analoghi nella zona veneziana, di Mestre e Porto Marghera con numerose aziende già sbarrate, come la Sirma, e altre della siderurgia e della cantieristica navale in profonda crisi.
Si comprendono perciò molto bene la rabbia e la determinazione a lottare dimostrate dai lavoratori per scongiurare un percorso che porterebbe direttamente alla morte aziendale e occupazionale dell'Alcoa in Italia. Questa vertenza è iniziata da appena un mese. Ma i lavoratori, questa volta sostenuti da tutti e tre i sindacati metalmeccanici Fiom, Fim e Uilm, dagli enti locali in cui si trovano le due fabbriche e anche dalle giunte regionali di Sardegna e Veneto, non hanno davvero perso tempo. In rapidissima successione e in crescendo si sono riuniti in assemblea, sono scesi in sciopero, hanno organizzato cortei, hanno poi occupato gli stabilimenti fermando le merci sia in entrata che in uscita, bloccato strade e persino la centrale elettrica di Portovesme. Hanno chiesto con forza al governo centrale, alle regioni e ai comuni interessati ad assumersi le loro responsabilità. Per ben due volte sono scesi a Roma per manifestare davanti ai palazzi del potere politico: la prima il 18 novembre, la seconda il 26 dello stesso mese. La stampa ne ha dovuto parlare.
Lottare per che cosa? I lavoratori e i sindacati hanno messo subito in chiaro che non avrebbero accettato di discutere di cassa integrazione né di conseguente ristrutturazione, ma solo di ripresa della produzione e di salvaguardia totale dell'occupazione. "Riconfermiamo che non siamo interessati - si legge in un comunicato Fiom del 25 novembre - a discutere di questa procedura (della Cig, ndr) e che non siamo intenzionati ad accettare la fermata della produzione. Tutti sanno che la 'temporaneità' di cui parla l'Azienda sarebbe solo l'inizio della fine della produzione di alluminio primario in Italia. Vogliamo piuttosto affrontare e risolvere le questioni dell'approvigionamento energetico degli stabilimenti Alcoa per garantirne la continuità produttiva".

Puntuale la brutale repressione poliziesca
In ambedue le combattive manifestazioni indette da Fiom, Fim Uilm unitariamente, svolte a Roma per dire no alla chiusura degli stabilimenti e per la difesa dei posti di lavoro, sono scattate brutali e ingiustificate le cariche della polizia, i lavoratori sono stati picchiati con i manganelli, sono stati anche sparati gas lacrimogeni. Quella di reprimere le manifestazioni sindacali è diventata una costante del governo del neoduce Berlusconi e del regime neofascista imperante. Ma in ambedue le manifestazioni i lavoratori Alcoa hanno ottenuto dei risultati dall'azienda rappresentata dall'amministratore delegato, Giuseppe Toia, e dal governo rappresentato dal ministro per lo sviluppo economico, Claudio Scajola. La promessa strappata il 18 novembre volta a evitare la chiusura definitiva degli stabilimenti è durata però appena 24 ore, perché i problemi di fondo erano rimasti tutti sul tavolo. Più importante e consistente invece l'intesa raggiunta tra le parti il 26 novembre. Primo perché l'azienda ha ritirato il provvedimento di cassa integrazione che doveva entrare in vigore il 20 dicembre prossimo; ciò vuol dire, almeno nelle intenzioni, che non ci sarà fermata né riduzione della produzione. Secondo perché il governo si è impegnato a risolvere il problema energetico, nella quantità e nei costi. A questo proposito è stato deciso un tavolo tecnico. C'è una data per il prossimo incontro, il 9 dicembre prossimo. Circa la multa comminata dalla Ue è possibile un ricorso.
Ovviamente la vertenza non può dirsi chiusa. È stato fatto un passo in avanti. È stato individuato un percorso per portarla a buon fine. Ma non c'è da fidarsi, bisogna vigilare, non bisogna smobilitare. "Vogliamo i fatti - si legge nel comunicato della Fiom - continueremo a vigilare con la massima attenzione affinché questi obiettivi si realizzino compiutamente entro il mese di dicembre".

2 dicembre 2009