Lanciato il manifesto di lacrime e sangue degli industriali
Marcegaglia candida la Confindustria alla guida del governo
Eliminazione delle pensioni di anzianità, riduzione della spesa sociale, privatizzazione dei servizi, vendita del patrimonio pubblico, meno tasse alle imprese

Nonostante la maxistangata di 54 miliardi di euro appena varata dal governo del neoduce Berlusconi, nonostante che essa contenga numerose richieste avanzate dal mondo imprenditoriale, a partire dall'ormai famigerato articolo 8 che cancella il contratto nazionale di lavoro, lo Statuto dei lavoratori e permette deroghe sull'insieme del diritto al lavoro, per il grande padronato non è abbastanza e ci vorrebbe a loro dire molto di più per abbattere il debito pubblico e stimolare la crescita economica. Per questo, la Confindustria, insieme ad altre associazioni padronali del commercio e dell'artigianato, delle banche e delle assicurazioni hanno redatto il 30 settembre un vero e proprio programma di governo in cinque punti che pomposamente hanno chiamato "Manifesto delle imprese per salvare l'Italia".
Quest'iniziativa del tutto inusuale e con pochi precedenti era stata annunciata da Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria in occasione della riunione di Confindustria della Toscana tenutasi a Firenze il 23 settembre scorso, con toni accesi quasi da comiziante. "Presenteremo al Governo - aveva detto - un documento, insieme con le altre associazioni di imprese, un manifesto delle imprese per salvare l'Italia, per cambiare le aspettative e tornare a crescere. Se il Governo - aveva aggiunto - vuole andare avanti sulle piccole cose non siamo interessati, noi scindiamo le nostre responsabilità perché vogliamo un cambiamento". Proseguiva affermando: "Non tolleriamo più la situazione di stallo in cui non si fanno le grandi cose per la paura di scontentare una parte di elettorato oppure un alleato. Ci stiamo giocando il paese. Non possiamo vivacchiare e non possiamo stare fermi". Ci vogliono "riforme strutturali" aveva tuonano la leader degli industriali, che incidano profondamente su pensioni, spesa pubblica, fisco, privatizzazioni, liberalizzazioni, infrastrutture ed energia. Ai sindacati, dopo aver incassato la firma definitiva sull'accordo del 28 giugno che permette ai contratti aziendali di derogare dal contratto nazionale e dalle leggi sul lavoro, la Marcegaglia chiede di più, fuori "dagli steccati ideologici", in materia di "flessibilità di incontro tra domanda e offerta di lavoro" ossia la libertà di licenziare senza ostacoli, indipendentemente dalla "giusta causa" prevista dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Che il nostro Paese stia attraversando la crisi economica e sociale più grave e devastante del dopoguerra è un dato evidente e incontestabile; che le politiche economiche e finanziarie varate dal governo, peraltro quasi esclusivamente a spese dei lavoratori, dei giovani, delle donne e in generale delle masse popolari è un'altra verità anch'essa incontestabile. Ma ci sarebbe da domandare: in questi anni mentre l'Italia andava a rotoli dov'erano Confindustria e le altre associazioni imprenditoriali? Quali e quante responsabilità hanno, in testa le banche e gli istituti finanziari, della crisi in atto? E dei miliardi di soldi pubblici che il governo ha regalato alle banche per impedire possibili e temuti fallimenti, cosa hanno da dire? Infine, che ricetta economica e sociale è quella proposta nel suddetto "Manifesto delle imprese per salvare l'Italia"?
Si tratta di una ricetta di stampo marcatamente neoliberista che si traduce in una politica di lacrime e sangue per i soliti noti, i lavoratori e i ceti meno abbienti, tutta a favore dei profitti dei padroni. Una ricetta che non sostituisce ma va ad aggiungersi al massacro sociale compiuto dal governo con le sue Finanziarie. Infatti rivendica l'ulteriore accentuazione e accelerazione nell'applicazione delle misure adottate. Non per caso, le proposte di Confindustria si incontrano e si integrano molto bene con i provvedimenti dettati dalla Banca centrale europea (Bce) al governo Berlusconi e già attuati in Grecia con le conseguenze tragiche, quasi apocalittiche che sono davanti a tutti.
Si deve salvare l'Italia, affermano non senza retorica i dirigenti confindustriali. Precisiamo. Ammesso e non concesso che il manifesto proposto sia in grado di cogliere questo obiettivo, essi pensano all'Italia capitalistica e intendono farlo con il sudore e sangue del proletariato.
Vediamo più nel dettaglio. Gli industriali avanzano la proposta di tagliare ulteriormente la spesa pensionistica, attraverso l'innalzamento dell'età pensionabile e l'abolizione delle pensioni di anzianità, perché, sostengono, quella italiana è più alta della media europea. Senza dire però una serie di cose e cioè che: la spesa previdenziale italiana è caricata di voci di altra natura di tipo assistenziale, come la cassa integrazione per esempio; il bilancio dell'INPS è in pari, anzi è in attivo riferito al lavoro dipendente; a seguito delle varie controriforme le richieste di pensionamento sono in sensibile calo (-24,1% quelle di vecchiaia e -19,3% quelle di anzianità nel 2010) e i giovani andranno in pensione con un assegno da fame, non oltre il 50% dello stipendio. Comunque i padroni pretendono che si vada in pensione tutti a 65 anni, anche le donne dei settori privati già dal 2012; coloro che vorranno andare in pensione anticipata a 62 anni di età con 40 anni di lavoro lo potranno fare ma con un assegno ridotto.
Nel punto che riguarda la "riforma fiscale" lo scopo degli industriali è di ottenere una riduzione cospicua del prelievo fiscale e contributivo per le imprese, accanto a un abbattimento sensibile dell'Irap. Ma anche incentivi e agevolazioni fiscali per i capitali reinvestiti e per la ricerca. In questo quadro e solo in questo sono disposti ad accettare una piccola, risibile patrimoniale dell'1,5 per mille.
Ma il piatto grosso del manifesto della Marcegaglia riguarda la vendita, o per meglio dire la svendita perché in tempo di crisi non può che essere così, del patrimonio pubblico e le privatizzazioni. Dismettere gli immobili pubblici e privatizzare le partecipazioni societarie e degli enti locali in modo che quest'ultimi possano utilizzare i proventi per opere pubbliche, manutenzione straordinaria e ristrutturazione del patrimonio esistente, è scritto più o meno nel manifesto.
C'è poi il boccone delle liberalizzazioni, dei trasporti e dei servizi pubblici locali, ivi compresa l'acqua nonostante che nel recente referendum vi sia stato un esito schiacciante di no. Liberalizzare i servizi professionali, "riformare" gli ordini professionali, semplificare gli atti amministrativi e normativi sono altre richieste. Infine il capitolo sulle infrastrutture in particolare quelle di "interesse europeo e nazionale" tipo l'Alta velocità e traforo in Val di Susa, sui quali andrebbero concentrate le risorse. Dove i padroni possono ottenere succulenti appalti pubblici, magari anche senza il certificato antimafia come proposto di recente dal ministro Brunetta.
Per quanto abnorme e contro natura, non stupisce la buona accoglienza che il manifesto degli industriali ha trovato tra i vertici sindacali collaborazionisti di CISL, UIL e, nel caso specifico, della stessa CGIL pur con qualche distinguo. Giacché molti punti che sopra abbiamo richiamato erano presenti nel "patto per la crescita" sottoscritto in estate dalle cosiddette "parti sociali" vedi il tema delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni, accanto al pareggio di bilancio da introdurre addirittura nella Costituzione, agli investimenti per le grandi infrastrutture, alla "riforma" della pubblica amministrazione e alla "modernizzazione" delle relazioni industriali sul modello Marchionne.
Concordando con l'analisi e la ricetta della Marcegaglia, a parte quelle sulle pensioni, Paolo Pirani, segretario confederale della UIL afferma: "Servono misure choc. Se il governo ha la forza di attuarle bene, altrimenti non vedo una strada alternativa alle elezioni". Mentre Vincenzo Scudiere, segretario confederale della CGIL ha giudicato "incoraggiante" il documento redatto dalle imprese e "importanti" le richieste ivi contenute. Interpellata, la stessa Susanna Camusso, segretaria generale della CGIL, ha dichiarato che un "fronte comune" tra sindacati e Confindustria non è affatto un'idea peregrina e ha ricordato la posizione comune delle "parti sociali" illustrata in agosto all'esecutivo che chiedeva al governo discontinuità che, dice la Camusso, va riaffermata "perché le manovre che si susseguono non indicano quale prospettiva e quale futuro per il paese".
Servile l'appoggio del PD al progetto padronale. "Il manifesto contiene proposte condivisibili - ha detto Fassino, responsabile del settore economia e lavoro - tante volte oggetto di emendamenti del PD".

5 ottobre 2011