Coerentemente con le relazioni industriali mussoliniane stabilite alla Fiat
Rappresaglia antisindacale fascista di Marchionne
Il nuovo Valletta licenzia 19 operai dello stabilimento di Pomigliano dando la colpa alla magistratura che l'ha obbligato a riassumere 19 operai FIOM ingiustamente discriminati
Il governo deve far ritirare i licenziamenti e la Fiat va nazionalizzata

Un atto illegale grave senza precedenti, una ritorsione antioperaia e antisindacale, una rappresaglia dispotica intollerabile la decisone del nuovo Valletta, Sergio Marchionne, di avviare la procedura di mobilità, e quindi licenziare 19 operai dello stabilimento Fiat di Pomigliano a seguito della sentenza della Corte d'appello di Roma che intimava all'azienda di assumere i primi 19 operai per un totale di 145 iscritti alla FIOM ingiustamente discriminati nelle riassunzioni della newco denominata Fabbrica Italia Pomigliano (FIP). Un atto annunciato da tempo ma non per questo meno grave. Infatti, già a luglio, all'indomani della sentenza di primo grado, Marchionne aveva dichiarato con l'arroganza fascista che lo contraddistingue: "se saremo costretti ad assumere le 145 persone (come stabilito dal tribunale, ndr) altre 145 saranno costrette ad uscire dal sistema".
Marchionne dunque non solo vuole mano libera negli stabilimenti Fiat con la cancellazione del contratto nazionale, sostituito con un contratto aziendale di stampo padronale e relazioni industriali mussoliniane, ma pretende anche di violare le leggi sul lavoro e di non rispettare, comunque sabotare le sentenze della magistratura che gli danno torto. La crisi, usata in questo caso in modo strumentale, e la ipotetica sovradimesionalità degli organici sono le tesi usate dal Lingotto. "L'ordinanza della Corte d'Appello di Roma del 19 ottobre scorso - si legge in suo comunicato - obbliga la FIP di Pomigliano d'Arco ad assumere i 19 dipendenti di Fiat Group Automobiles iscritti alla Fiom che hanno presentato ricorso per presunta discriminazione. L'azienda ha da tempo sottolineato che la sua attuale struttura è sovradimensionata rispetto alla domanda del mercato italiano ed europeo da mesi in forte flessione". Il che ha comportato l'uso della cassa integrazione per un totale di 20 giorni con altri 10 programmati per novembre. "La Fip - conclude - non può esimersi dall'eseguire quanto disposto dall'ordinanza e, non essendoci spazi per l'inserimento di ulteriori lavoratori, è costretta a predisporre nel rispetto dei tempi tecnici gli strumenti necessari per provvedere alla riduzione di altrettanti lavoratori operanti in azienda".

I pretesti della Fiat
Che i suddetti aspetti produttivi e organizzativi non centrino nulla e siano usati come copertura di un comportamento discriminatorio antisindacale emerge anche da una nota del Lingotto (anche se successivamente corretta a seguito delle reazioni contrarie suscitate) dove si afferma: " È importante ricordare le dure prese di posizione e le pesanti dichiarazioni con le quali i 19 ricorrenti hanno manifestato fin dall'inizio il loro giudizio negativo sull'operazione Nuova Panda".
Non c'è dubbio che si tratti di un'infame rappresaglia in stile fascista contro la sentenza di condanna stabilita dalla magistratura, oltretutto in seconda lettura, in perfetta coerenza con le relazioni mussoliniane istaurate in Fiat, con la complicità dei sindacati collaborazionisti FIM, UILM, UGL, FISMIC che, tra le altre cose, ha come conseguenza quella di mettere lavoratori contro lavoratori, di far scoppiare una "guerra tra poveri". A questo proposito occorre dire con chiarezza che quella raccolta di firme girata tra i reparti della fabbrica sostanzialmente contro il verdetto della magistratura e il dispositivo per la riassunzione degli operai FIOM discriminati è stata promossa, sotto banco, dall'azienda, e gestita direttamente dai capi reparto coperti dalla solerte acquiescenza dei sindacati collaborazionisti. Sono importanti le dichiarazioni di alcuni operai che hanno trovato il coraggio di parlare con un giornalista: "Abbiamo visto uno schifo" dice uno di loro. "La petizione è stata fatta dall'azienda ma presentata come ispirata dagli operai". E continua: "Un sindacalista mi ha spiegato tutto. All'inizio della settimana il direttore ha convocato i sindacati dicendo che occorreva fare qualcosa sulla vicenda delle riassunzioni". Perciò si sono attivati "i capi, i team leader e i sindacati, in particolare la Fim-Cisl: giovedì alle 6 di mattina c'erano già dei sindacalisti in fabbrica che facevano girare la petizione". Intimando agli operai di firmare senza nemmeno leggere il testo con l'intimidazione di essere segnalati, in caso contrario, all'azienda come futuri soggetti da discriminare e reprimere.

La raccolta delle firme promossa dall'azienda
Ma i lavoratori non ci stanno a farsi mettere gli uni contro gli altri perché sanno che i loro destini sono legati, che gli interessi comuni si possono difendere solo con l'unità. Commovente la testimonianza di Sebastiano Onofrio, ex Rsu di Pomigliano e uno dei 19 da reintegrare. "Mi sono posto il problema che per far entrare me ci sarà qualcun altro a dover uscire, ma noi non abbiamo alcuna responsabilità nei licenziamenti annunciati da Marchionne e questo lo sanno beve anche i tanti lavoratori che sono nella 'newco' perché la Fiat sta facendo quello che ha sempre fatto".
Questa volta Marchionne l'ha fatta davvero grossa: la sua ritorsione antisindacale come risposta a una sentenza della magistratura non ha precedenti dal dopoguerra, nemmeno nei licenziamenti politici degli anni '50 attuati, sempre in Fiat, dal suo predecessore Valletta ed è perciò andato incontro a un coro di critiche di parte sindacale e anche di parte politica, forse anche perché a primavera ci saranno le elezioni politiche. I primi a reagire sono stati, come era logico aspettarsi, i dirigenti FIOM.
Giorgio Airaudo, della segreteria nazionale e responsabile del settore auto, giudica l'iniziativa della Fiat "chiaramente ritorsiva, chiaramente antisindacale e chiaramente illegittima... La Fiom respinge con forza ogni licenziamento poiché tutti i lavoratori devono rientrare al lavoro e invita tutti i sindacati a respingere questo ulteriore tentativo di dividere i lavoratori". Per Maurizio Landini, segretario generale FIOM, "è un atto illegale di una gravità senza precedenti... Sergio Marchionne conferma così la sua strategia e i suoi metodi antioperai e antisindacali, fino all'eliminazione fisica del dissenso dagli stabilimenti Fiat". "La politica della Fiat - prosegue Landini - si fonda sul ripetuto attacco alle libertà e alle leggi. Il presidente Monti deve intervenire contro questo vulnus". E chiude con la seguente proposta: lo sciopero europeo del 14 novembre assuma tra i suoi obiettivi la lotta contro i licenziamenti e la manifestazione della Campania si svolga a Pomigliano. Sergio Bellavita, esponente di rilievo della "Rete 28 aprile-opposizione in Cgil" dal canto suo chiede "uno scatto di tutta la Cgil per riaprire la vertenza contro il piano Marchionne. Nazionalizzare gli stabilimenti Fiat senza dare un solo euro alla proprietà. Riaprire gli stabilimenti di Termini Imerese e dell'Iribus di Avellino. Solo l'intervento pubblico - aggiunge - può fermare la distruzione di un patrimonio industriale e occupazionale che è già nostro per tutti gli aiuti di stato concessi nella lunga storia della fabbrica".

Il governo latitante
Questa volta si sono fatti sentire, si fa per dire, anche i sindacalisti collaborazionisti di CISL e UIL. Ma solo perché i 19 che la Fiat ha intenzione di mettere in mobilità inevitabilmente saranno operai iscritti a questi sindacati. Il segretario CISL Bonanni ha chiesto a Marchionne di fermare la procedura di licenziamento e alla FIOM di mettere fine alla cause legali e firmare il contratto aziendale Fiat per rientrare, a suo dire, in fabbrica come rappresentanza sindacale; che vorrebbe dire buttare a mare due anni di lotte e piegarsi al diktat di Marchionne.
È vero, sia il ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, che il ministro del welfare, Elsa Fornero hanno rilasciato delle dichiarazioni critiche sull'iniziativa della Fiat. Ma da qui a sostenere che il governo è sceso in campo contro l'avvio da parte di Marchionne delle procedure di licenziamento per 19 operai di Pomigliano, ce ne corre eccome! Infatti, non risulta esserci nessuna convocazione da parte di Palazzo Chigi non solo per impedire che questa vigliaccata dei licenziamenti come rappresaglia si compia, ma anche per chiedere conto alla Fiat circa le sue prospettive produttive e occupazionali e di presenza in Italia.
Su questo fronte non c'è davvero da star tranquilli. Rimanendo a Pomigliano va ricordato che Marchionne si era impegnato a riassumere tutti i 4.400 dipendenti messi in cassa integrazione prima di creare (artificialmente) la newco Fip. Ad oggi ne sono stati riammessi meno della metà. Gli altri dovrebbero rientrare entro la metà del 2013, dopodiché scatterebbe la mobilità e quindi il licenziamento. La conferenza stampa di Marchionne di qualche giorno fa aumenta se possibile le preoccupazioni: oltre a dichiarare una volta di più la cancellazione del fantomatico piano "Fabbrica Italia" con annessi 20 miliardi di investimenti e il raddoppio della produzione dell'auto in Italia, Marchionne ha detto che fino al 2014 non sono previsti né investimenti né lancio di nuovi modelli e comunque di voler concentrare gli sforzi nella costruzione di modelli della gamma alta con i marchi dell'Alfa e Maserati i cui volumi di produzione, anche nelle ipotesi migliori, non possono che essere ridotti.
Niente manfrine. Il governo deve intervenire tempestivamente con autorità per impedire questi licenziamenti illegittimi e illegali. Noi stiamo con la FIOM quando rivendica il rientro in fabbrica dei 145 operai iscritti FIOM discriminati dall'azienda e di tutte le operaie e gli operai rimasti ancora fuori dalla Fiat di Pomigliano, quando rivendica il diritto di ogni lavoratore di scegliere il sindacato che preferiscono senza per questo essere perseguitato e discriminato e più in generale il riconoscimento della rappresentanza e dell'agibilità sindacali negli stabilimenti Fiat, e quando chiede alla Fiat un tavolo di trattativa per discutere del piano industriale che tenda non alla smobilitazione ma al rafforzamento della presenza della Fiat in Italia, recuperando anche i siti di Termini Imerese e dell'Iribus di Avellino. Ma le possibilità che ciò avvenga, considerata la strategia degli Agnelli e del loro manager in capo, proiettata in altre parti del mondo, sono poche per non dire nulle. Perciò la Fiat va nazionalizzata senza indennizzo per salvaguardare questo patrimonio industriale, occupazionale e professionale da rilanciare anche nell'ambito di un piano di riconversione industriale e riprogettazione produttiva privilegiando il trasporto collettivo pubblico.

7 novembre 2012