Marchionne indagato per aver violato i diritti Fiom
Cisl, Uil e Ugl assieme alla Fiat attaccano la decisione della procura di Nola

La Fiat continua a discriminare i lavoratori iscritti alla Fiom. Questo in estrema sintesi il succo della sentenza della procura di Nola, cittadina napoletana il cui tribunale è competente territorialmente per Pomigliano d'Arco, dove si trova lo stabilimento della casa automobilistica torinese. L'amministratore delegato Sergio Marchionne e il capo dello stabilimento campano, Sebastiano Garofalo sono stati rinviati a giudizio dopo la chiusura delle indagini preliminari. Se entro venti giorni i due non si faranno interrogare o non invieranno attraverso i loro legali una memoria, o questa non sarà ritenuta convincente, il PM chiederà il loro rinvio a giudizio.
Il tutto scaturisce dall'atteggiamento della Fiat che a Pomigliano e in tutti i suoi stabilimenti sta facendo la guerra a chi si oppone al modello Marchionne, ossia al metodo fatto di ricatti, salari minimi, ritmi disumani, diritti ridotti al lumicino, lanciato dall'AD della Fiat e fatto proprio da molti grandi e piccoli capitalisti italiani. Del resto la Fiat, storicamente, si è sempre distinta per il suo atteggiamento antisindacale, anticomunista e poliziesco. Proprio nella stessa Pomigliano l'azienda negli anni 70 fu indagata perché spiava e schedava gli operai e fatti analoghi sono avvenuti in seguito anche a Mirafiori.
È bene ricordare che la decisione della procura di Nola è scattata perché la Fiat non ha rispettato le precedenti sentenze. Quella di Torino del settembre 2011 che stabiliva che la Fiom ha diritto a fare sindacato a Pomigliano anche se non ha firmato il contratto aziendale e quella di Roma del giugno 2012 che stabilisce il rientro in fabbrica degli iscritti alla Fiom. Un rientro solo parziale, che ha visto un primo arrivo di 19 operai poi rispediti a casa, perché la Fiat ha preferito pagarli senza lavorare pur di non averli in azienda.
Questa è la situazione a livello giudiziario mentre per quanto riguarda quello politico e sindacale è comunque una vittoria per la Fiom. Nell'Italia capitalistica ci sono tanti modi per discriminare chi si oppone ai padroni, ma questo non si può fare legalmente, non si può eliminare il dissenso senza infrangere la legge. Una battaglia che la Fiom ha portato avanti da sola, con l'appoggio dei lavoratori e dei movimenti di lotta sparsi in tutta Italia. Il PD ha invece fatto finta di niente, mentre alcuni suoi esponenti di spicco hanno appoggiato apertamente il modello Marchionne, primo fra tutti il destro Matteo Renzi.
La dirigenza Fiat giudica la sentenza "sconcertante e paradossale" e ai padroni si accodano i sindacati collaborazionisti di Ugl, Uilm e Fim che sostengono come la battaglia della Fiom e dei lavoratori per difendere i loro diritti intralci il rilancio della fabbrica campana. Che certi sindacati affermino cose del genere, questo sì, è aberrante; secondo loro è colpa della Fiom se la Fiat licenzia, chiude stabilimenti e mette in cassa integrazione.
Intanto il clima si fa sempre più incandescente a Pomigliano perché tra i lavoratori c'è rabbia anche per l'accordo separato senza la Cgil stipulato poche settimane fa per gli occupati del gruppo Fiat. Un accordo insoddisfacente, che abbiamo criticato anche sulle pagine del nostro giornale, che gli operai hanno giustamente individuato come un accordo che di fatto riduce i salari. L' 11 aprile prossimo gli stessi sindacati che l'hanno firmato entreranno in fabbrica per convincere i lavoratori e non sarà certo facile.
Nel frattempo il sindacato Slai-Cobas ha chiesto che alle assemblee siano presenti anche i quasi 1.400 cassintegrati. Altrimenti il sindacato autonomo "denuncerà quei sindacati per atteggiamento antisindacale". Questo sì che è un paradosso ma purtroppo è lo specchio del livello di sottomissione e connivenza con i padroni a cui sono giunti Cisl, Uil e Ugl.

10 aprile 2013