All'incontro con i sindacati metalmeccanici
La Fiat del nuovo Valletta pretende obbedienza totale
Ma sul progetto "Fabbrica Italia", investimenti, produzioni e occupazione Marchionne non dice nulla


Ormai è diventata una litania arrogante, insopportabile, intollerabile quella del nuovo Valletta della Fiat, Sergio Marchionne, che in sostanza recita: voglio piena mano libera nella gestione degli stabilimenti e della forza-lavoro, pretendo piena condivisione, anzi piena obbedienza dai sindacati, tutti nessuno escluso, altrimenti chiudo tutto, metto a casa tutti e porto tutto all'estero. Sono passati ormai sei mesi da quando "il salvatore dell'industria italiana" annunciò a Torino l'ambizioso progetto "Fabbrica Italia" che sulla carta prevedeva, entro il 2014, la realizzazione di investimenti per 20 miliardi di euro in Italia, il raddoppio della produzione da 650 mila a 1,4 milioni di vetture, 10 nuovi modelli e il restyling di altre 6 vetture. Un progetto che a tutt'oggi è rimasto interamente sulla carta visto che del ciclopico investimento annunciato ancora non è stato speso un euro, visto che non esiste, o perlomeno non è stato ufficializzato e reso pubblico, un piano dettagliato, stabilimento per stabilimento, di investimenti, produzioni, occupazione. A parte quello di Termini Imerese di cui la Fiat ha già decretato la chiusura.
Eppure a ogni piè sospinto e in modo crescente Marchionne ha continuato a cantare lo stesso ritornello. Nonostante che, nel frattempo, con la complicità dei sindacati collaborazionisti Cisl, Uil, Fismic e Ugl e l'appoggio sperticato del governo del neoduce Berlusconi, tramite il solerte e servizievole ministro Sacconi, abbia ottenuto l'accordo separato alla Fiat di Pomigliano, la disdetta di Federmeccanica del contratto nazionale dei metalmeccanici e l'ultimo accordo separato che introduce le deroghe allo stesso contratto proprio per accogliere le richieste di Fiat. E lo ha ripetuto anche nell'incontro che si è svolto a Roma il 5 ottobre scorso, nella sede di Confindustria davanti ai vertici di Fim, Uilm, Fismic e, questa volta, anche della Fiom. A loro Marchionne non si è vergognato di ribadire per l'ennesima volta che: "Fabbrica Italia non partirà se non ci sarà l'impegno formale delle organizzazioni sindacali ad assumersi precise responsabilità del progetto" in quanto esso richiede "un elevato livello di garanzia in termini di governabilità degli stabilimenti". Insomma, come detto sopra, mano libera senza vincoli e senza ostacoli, piena obbedienza dei sindacati ai voleri aziendali.
E i diritti dei lavoratori? Chi se ne frega! Tanto è vero che la Fiat non esclude soluzioni per gli altri stabilimenti che potrebbero andare persino oltre Pomigliano e si è detta insoddisfatta delle deroghe contenute nell'accordo separato al contratto nazionale. Gioca costantemente al rialzo, mettendo così in difficoltà gli stessi sindacati collaborazionisti che fanno sempre più fatica a seguirla nel processo di distruzione dei diritti dei lavoratori. Anche perché non offre loro nessuna pezza d'appoggio non dice nel dettaglio stabilimento per stabilimento, quanti soldi mette e quando, quali e quante vetture intende produrre, quanti lavoratori occorrono. Se in questi mesi qualcosa ha detto e fatto ha avuto il segno negativo: è il caso della produzione della nuova monovolume promessa a Mirafiori e poi spostata in Serbia. E il caso della produzione della nuova Panda a Pomigliano che doveva iniziare per l'estate del 2011 e ora pare slittata all'inizio del 2012.
Ci sarebbero stati tanti buoni motivi per rovesciare il tavolo, mandare a quel paese il nuovo Valletta, l'esoso ed egocentrico Marchionne, e chiamare i lavoratori alla lotta. E invece le reazioni sono state di grande cautela, di fatto arrendevoli, specie da parte di Fim e Uilm che hanno ribadito la loro adesione alle pretese della Fiat anche se hanno chiesto di chiarire i particolari del piano industriale. Il segretario della Uilm, Rocco Palombella ha infatti detto che: "la Fiat non ha scoperto le carte perché vuole verificare la nostra determinazione ad andare avanti . Noi ci siamo, ma prima di dare disponibilità a realizzare certi percorsi vogliamo conoscere il progetto con i relativi investimenti". Il segretario di Fim, Beppe Farina, dal canto suo ha detto: "Non ci sarà una Pomigliano dappertutto". Gli eventuali accordi saranno legati alle esigenze della produzione dei singoli stabilimenti. "In ogni sito - ha aggiunto - si partirà da prodotto e investimenti solo dopo ci sarà la disponibilità alla flessibilità e alle esigenze poste dall'azienda".
Anche la Fiom, pur ribadendo le posizioni assunte sin qui, forse pressata dalla destra della Cgil di Epifani, ha abbassato i toni. In un comunicato della segreteria ha preso atto dell'intenzione della Fiat di procedere con l'applicazione dell'accordo separato di Pomigliano, senza escludere di andare oltre per gli altri stabilimenti, ha rimarcato l'assenza di risposte da parte di Marchionne di approfondimento del piano "Fabbrica Italia", ha ribadito la disponibilità al confronto ma senza prescindere da una soluzione per Termini Imerese, di essere pronta a trattare ma senza deroghe al Ccnl e senza mettere in discussione le libertà individuali, ha invitato la Fiat a rispettare i pronunciamenti della magistratura sui licenziamenti illegittimi. Per la Fiom è necessario convocare le assemblee nei luoghi di lavoro per dare la possibilità ai lavoratori della Fiat di conoscere e discutere il piano di riorganizzazione dell'azienda per ricevere da essi un loro esplicito mandato senza il quale "ogni confronto con l'Azienda rischia di rafforzare la dannosa pratica degli accordi separati".
Il gioco del rinvio (a chiarire nel dettaglio i termini del piano) e il gioco del rialzo (nella richiesta di adesione e collaborazione ai sindacati) portato avanti da Marchionne senza soluzione di continuità da aprile ad oggi, suscitano dubbi anche tra i più ben disposti verso l'amministratore delegato del Lingotto circa le reali intenzioni della Fiat, circa il suo progetto di rilancio industriale. Le domande sono le seguenti: la Fiat dice il vero o bluffa? È in grado di attuare il piano annunciato a suo tempo di investimenti e di raddoppio delle produzioni? I soldi li ha per fare tutto questo? Anche perché la crisi di mercato per la vendita delle auto continua a mordere in tutto il mondo e dunque anche in Italia.

13 ottobre 2010