Per avere mano libera sindacalmente e per piegare la Fiom
Marchionne insiste nel ricatto: Alfa all'estero

Per la Fiat non si può più investire in Italia! È bastato che la consulta desse ragione alla Fiom per scatenare nuovi ricatti e minacce di abbandonare definitivamente l'Italia. Non è la prima volta che l'Amministratore Delegato (AD) del Lingotto minaccia di andarsene all'estero se non vengono accolte le sue richieste anche se, a dirla tutta, la Fiat già adesso produce la maggioranza delle sue auto fuori dal nostro Paese.
L'AD della Fiat non ha digerito la sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale l'esclusione della Fiom dagli stabilimenti del gruppo perché ha rifiutato di firmare il contratto (come hanno fatto invece Fim e Uilm). Contratto che recepisce il cosiddetto "modello Marchionne" che pretende la completa subordinazione dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali alle direttive e ai ricatti aziendali.
Costui vuol far credere che la crisi della fabbrica torinese dipenda dalle "incertezze" delle attuali normative che regolano le relazioni industriali, le quali non soddisfano gli appetiti di Marchionne e della famiglia Agnelli. Per Marchionne il calo delle vendite sarebbe colpa della Fiom e dei lavoratori e non della crisi economica capitalistica che ha colpito duro il settore auto con l'aggravante dell'immobilismo della Fiat che mantiene una gamma di modelli vecchia che per sua stessa ammissione non intende rinnovare finché in Europa permane la crisi.
Stavolta come arma di ricatto è stata usata l'Alfa Romeo, attualmente prodotta e assemblata a Mirafiori, in altre fabbriche del Piemonte e a Cassino, nel Lazio. Un marchio che la Fiat intende rilanciare minacciando il suo completo trasferimento all'estero, magari in Usa dove la storica casa automobilistica milanese ha sempre avuto una buona rete di vendita e una discreta fetta di mercato, o anche in un qualsiasi Paese che non sia l'Italia, dove a suo dire i capitalisti, poveracci, non possono lavorare.
L'obiettivo principale di questo ricatto è chiaro: piegare la Fiom additandola come la responsabile delle chiusure e dei licenziamenti costringendola a firmare l'accordo sottoscritto dai crumiri di Cisl e Uil. Poi la Fiat deve anche chiedere allo Stato di far pagare alla collettività le migliaia di lavoratori dei suoi stabilimenti che sono in cassa integrazione e magari chiedere altre agevolazioni finanziarie che i vari governi della repubblica le hanno sempre concesso con facilità.
La Fiat, si sa, batte sempre cassa, piange miseria e chiede sacrifici agli operai ma non ci ha pensato due volte a sborsare più di trenta milioni di euro per assumere il controllo del Corriere della Sera, il quotidiano del grande capitale che oltretutto è pieno di debiti. Ma Marchionne preferisce spendere i soldi per condizionare l'opinione pubblica e i partiti borghesi anziché alzare le paghe da fame dei suoi dipendenti o investire in qualche nuovo modello.

2 ottobre 2013